Già per i nativi d’America si era "ricevuta la terra in prestito dai nostri figli"; ciò nonostante, difficile risulta ancor oggi diffondere tale consapevolezza in una società dei consumi sempre più assimilabile a società dei rifiuti, cioè dello scarto dei flussi di energia, materia e informazione che alimentano gli insediamenti umani , emissioni da sfruttamento intensivo delle risorse finite del Pianeta alla ricerca di una perenne ‘crescita economica’ quantitativa, in spregio alla nozione di limite intrinseca alla citata finitezza del Pianeta.
Necessita ora privilegiare la prevenzione, disaccoppiare nella produzione output di beni e input di materie prime, fare efficienza (intesa come fare di più con meno), aderire ad un’etica di convivenza piuttosto che di dominio su persone e natura, fare proprio il valore ‘ambiente casa di tutti’.
Ciò significa interrogarsi su quale sarà il destino di un prodotto (bene/servizio) alla fine del suo primo ciclo d’uso, su quali saranno le emissioni solide, liquide e gassose che il suo ciclo di vita genererà, promuovendo l’ecodesign secondo l’approccio noto come economia circolare per ridurre l’intensità energetica per unità di prodotto, attuare schemi cogenerativi energy cascading, rifasare i motori elettrici, recuperare emissioni a basso livello entalpico per teleriscaldare e raffrescare abitazioni, strutture di servizio, opifici, migliorare l’impatto ambientale delle lavorazioni sostituendo materie prime ed additivi da cui derivino rifiuti pericolosi e ottimizzando il riciclo di scarti all’interno del processo, nello scenario chiamato green economy, che dovrebbe vedere moderna imprenditorialità e programmazione pubblica degli insediamenti produttivi dare vita ad innovativi ecodistretti basati su attività industriali ‘in cascata’ dove i rifiuti di un’azienda siano materia prima per un’altra.
Al posto poi di inquinanti strutture di smaltimento di rifiuti si deve porre mano ad una rete di fabbriche dei materiali, localizzabili in aree industriali e artigianali dismesse, ove si estraggano nuove materie prime da flussi di residui e sottoprodotti raccolti in modo differenziato all’origine, dalle case agli opifici fino alle strutture del terziario.
Tali fabbriche includono anzitutto ateliers ed attività artigianali orientate alla riparazione ed al riuso di prodotti e merci direttamente ri-fruibili, attività sottese ed accompagnate da momenti di formazione che consentano di trasferire a giovani addetti conoscenze e tecnologie materiali e quindi mestieri che la dilagante virtualizzazione rischia di disperdere in via definitiva con il progressivo venir meno degli anziani detentori di tali ‘saper fare’.
A seguire, la fabbrica ospita impianti di recupero di materia, dal rifiuto urbano residuante dalla Raccolta Differenziata ‘porta a porta’, costituiti da due sezioni parallele di trattamento, una che lavora il sottovaglio della selezione meccanica, frazione residua che contiene ancora componenti fermentescibili resa “inerte” attraverso un processo di “stabilizzazione meccanico-biologica”, l’altra che tratta il sopravaglio recuperandone, attraverso una combinazione sequenziale di tecnologie quali separatori balistici, magnetici, lettori ottici, i materiali costitutivi da ri-circolare a processi di trasformazione industriale.
Impianti di questo tipo sono flessibili, poco costosi e perfettamente adattabili ad andamenti incrementali della raccolta differenziata.
Manutenzione e Innovazione sono così le parole-chiave di un nuovo paradigma della sostenibilità dello sviluppo.
Obiettivo prioritario del nuovo paradigma è anzitutto il blocco di quella “erosione urbana” che tramite ”impermeabilizzazione e cementificazione” devasta il suolo, la risorsa limitata più scarsa di cui disponiamo, e perciò da tutelare in vista di una sua migliore valorizzazione agricola ed ambientale anche in ambito urbano, con corridoi e cinture verdi, orti urbani, parchi e boschi planiziali che fungano da cortina vegetativa contro l’inquinamento dell’aria, in particolare contenendo emissioni inquinanti da infrastrutture autostradali, ferroviarie, aeroportuali, portuali.
Si calcola che l’aggressione quotidiana al suolo agricolo italiano si traduca in un consumo di circa 100 ettari/g di greenfield, per far posto a nuove costruzioni civili, industriali e infrastrutturali (grandi e piccole opere), edificazione favorita sia dall’incultura dominante sia da un regime fiscale utile solo a sostenere i precari bilanci comunali con oneri di urbanizzazione correlati ad una cementificazione ipertrofica che lascia contestualmente andare alla malora edifici anche di pregio in aree rurali, urbane e periurbane.
Vanno ora perseguiti prioritariamente manutenzione e rinaturazione del territorio, consentendo che si costruisca, come in Germania, solo su terreni già edificati (brownfields) mentre il regime fiscale va innovato come accaduto in Francia, con la deduzione dal reddito imponibile di tutti i costi per ristrutturazione degli immobili esistenti, se locati per 6 anni.
La disincentivazione di nuova edificazione e la riqualificazione dell’ambiente costruito anche sul piano dell’arredo e dell’ornato urbano, dovrebbero essere sottese da strumenti di premialità, quale un più facile accesso al credito, e da politiche di formazione mirante a creare nuova imprenditoria nel campo del facility management (efficienza energetica, teleriscaldamento, gestione di verde privato e pubblico) e di settori artigianali quali l’edile, il termoidraulico, l’elettrotecnico, della rinaturazione e di disegno del paesaggio.
La strategia di manutenzione e de-cementificazione del suolo deve investire anche gli areali esterni alle conurbazioni, con la diffusione di moduli di presidio locale attivo nel campo della ingegneria naturalistica dei versanti collinari e montani e dei bacini idrografici, dal proibire e sanzionare ogni nuovo insediamento in aree esondabili e dall’abbattere insediamenti già realizzati in spregio a tale norma, al ridurre i prelievi dagli alvei fluviali grazie alla promozione di buone pratiche di recupero da detriti e macerie di demolizione di materiali certificati come sostitutivi di quelli lapidei pregiati oggetto dell’escavazione che tante ferite ha sin qui inferto al paesaggio ed all’ambiente italiani.
Manutenzione significa anche bonifica delle aree contaminate da sversamenti di rifiuti, da dismissione di insediamenti produttivi, da ricaduta di inquinanti gassosi e liquidi, consentendo solo per quelle derelict areas certificate rigorosamente come ‘messe in sicurezza’ eventuali ri-destinazioni d’uso coerenti con le previsioni urbanistiche vigenti a scala locale.
Manutenzione ed innovazione devono, infine, anche investire infrastrutture cruciali il cui degrado è ormai intollerabile, quali la ferroviaria (da rilanciare attribuendo la priorità a pendolarità e trasporto merci), l’elettrica (priorità a SmartGrid per favorire efficienza energetica e valorizzazione di fonti rinnovabili), l’acquedottistica (ove si registrano dispersioni di oltre il 50% rispetto al 10% considerato fisiologico), la fognaria/ depurativa, la telematica (priorità alla banda larga).
Investire in progetti coerenti con la logica della battaglia allo spreco e del perseguire crescente efficienza nell’uso delle risorse limitate è precondizione di scenari di vero cambiamento che assuma come centrale la persona e non il denaro.