A ben vedere ogni epoca può essere identificata con una tipologia esemplare, non si tratta di potere o di prestigio ma di un tipo umano che riassume in se le virtù considerate come ‘ideali’ o comunque di ‘riferimento’ dalla società.
Non è difficile individuare l’atleta come figura di riferimento nell’antichità classica, il ‘cavaliere’ nella cultura cortese del basso Medioevo e il tecnologo (ingegnere e imprenditore) nell’epoca della rivoluzione industriale.
Il Cristianesimo ha re-interpretato questi ruoli, per cui sono ben visibili il riferimento al santo come ‘atleta di Dio’ nelle lettere di san Paolo (‘corona della vittoria’, ‘fine della corsa’), la palma (simbolo del martirio) era l’equivalente delle odierne medaglie sportive (a cui ci si riferisce ancora come ‘palmares’) mentre l’estrema unzione è un ricordo della preparazione degli atleti alla gara (agone da cui agonia). Allo stesso modo l’intera vicenda di San Francesco è una perfetta declinazione del cavaliere medievale e dell’amore cortese (con Madonna Povertà al posto della Dama). I santi sociali dell’Ottocento (Francesca Cabrini, Giovanni Bosco…) sono a loro volta impregnati di spirito imprenditoriale con la sostituzione del profitto materiale con il bene delle anime e il conforto dei poveri.
I nostri tempi hanno smesso di considerare il tempo del lavoro come fondamentale per la definizione della persona; la diffusione planetaria di magliette con su scritto ‘Thanks God is Friday’ e lotterie che promettono di diventare ‘Turista per Sempre’ identificano il tempo in cui veramente possiamo affermare la nostra personalità come quello dedicato allo svago. Tralasciando l’implicita disperazione sottesa (i giorni da lunedì al venerdì sera sono così tremendi?) qui non ci troviamo di fronte all’otium latino (un periodo di tranquilla meditazione filosofica da passare in una villa suburbana al Tuscolo o vicino Tivoli) ma a qualcosa di declinabile nella società di massa che si traduce in ideali ‘democratici’ dove si prefigura una umanità globalizzata che si diverte allo stesso modo negli stessi posti. Allo stile delle mete più celebri (Rimini, Lloret de Mar, Ibiza, Mykonos…) si vanno uniformando (almeno a grandi linee) una moltitudine di aree del pianeta. Questo consente di incontrare la stessa densità di locali (uno a pochi metri dall’altro nelle località considerate ‘di pregio’) favorente la stessa svagatezza leggera a misura di diversi segmenti di mercato, per cui il turista colto privilegerà ‘le città d’arte’ (in via di snaturamento, con poche luminose eccezioni, proprio a causa del turismo), il ‘progressista’ le città considerate più ‘metropolitane e all’avanguardia’ (Berlino, New York…), l’amante dell’esotico si dirigerà a Bali o a Ceylon…
Credo che la cultura cristiana non incontri soverchie difficoltà per santificare questo tipo umano trasformandolo in ‘pellegrino’ (a ben vedere un classico di Cattolicesimo e Ortodossia) inserendo delle significative correzioni di cui le principali sono:
- La valorizzazione del percorso per arrivare alla meta (al contrario di aerei super veloci e/o super economici): un lungo cammino che ricapitola il percorso della nostra vita verso la meta agognata della salvezza.
- La non uniformità delle mete che valorizza il ‘genius loci’ piuttosto che l’interscambiabilità, per cui il santuario del Divino Amore ha un carisma molto diverso da quello della Sacra di san Michele o del sacro speco di Subiaco.
La faccenda sembra già in moto e le statistiche sull’affluenza ai santuari sono lì a dimostrarlo.
Alla sana domanda del lettore che mi chiederà: “E se voglio semplicemente andare al mare” risponderò con il consiglio (sottovoce) di puntare verso la Liguria di Levante (ecco tre mete d’eccezione anche visitabili a buon mercato: parco di Portofino, Palmaria, le Cinque Terre) dove il particolare carattere degli abitanti (lunga tradizione di pirateria) ha salvato il territorio dalla massificazione e dal cemento. Le passeggiate nei boschi con il premio finale di un bagno in acque limpide sono quanto più si avvicina all’esperienza del pellegrinaggio.
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