Pensateci un attimo: quanti sono ancora i ‘territori liberi’ dove persone di opposta fede politica, di diverso credo religioso, di diversa età e cultura possono discorrere tra loro con pari competenza e soprattutto senza chiudersi in impenetrabili steccati ma generando quella atmosfera di libero confronto filosofico che è uno dei vanti della nostra civiltà?
Pochi, veramente pochi purtroppo; uno di questi è senza dubbio il calcio. Non me ne vogliano le lettrici, loro hanno ambiti in cui noi maschi non possiamo entrare (ho moglie e due figlie, so di cosa parlo), ma sinceramente in una società che (giustamente) esalta ‘tutto ciò che è femminile’ sento il bisogno di parlare di questa che è una delle ultime ‘ridotte’ della chiacchiera tra maschi.
Primo Levi scrive nel romanzo La Tregua a proposito di Mordo Nahum, ebreo di Salonicco incontrato dopo la liberazione da Auschwitz ‘.. possedeva l’adatta attrezzatura: sapeva parlare italiano e (ciò che più importa e manca a molti italiani stessi) sapeva di cosa parlare in italiano. Mi sbalordì, si dimostrò esperto di ragazze e di tagliatelle, di Juventus e di musica lirica…’
Il calcio, almeno fino a dieci-venti anni fa, era l’equivalente moderno e democratico delle gesta dei cavalieri. Lealtà, spirito di sacrificio ma anche gioco di squadra e collaborazione. Parlare di calcio non era solo parlare di uno spettacolo, tutti avevamo tirato un calcio al pallone in strada o in oratorio, tutti avevamo una squadra del cuore che ci ricordava una identità. E certo, i calciatori erano passati al vaglio impietoso di azzardate valutazioni tecniche, ma in sottofondo ciò che conta(va?) era la statura morale.
A tal proposito consiglio ai lettori i profondi racconti di calcio di Federico Buffa dove possiamo venire a conoscenza di episodi come questo: ‘Prima della partita, in spogliatoio, Armando Picchi ha qualcosa da dire per tutti, in particolare per Sandro Mazzola. Se lo prese da parte e gli disse: “Sandro, guarda che tuo padre ti sta guardando da lassù“.
Cosa è rimasto di tutto ciò? Cosa è rimasto di questo territorio libero?
Saremmo portati a rispondere ‘Niente!’, la sopravvivenza di tale territorio è troppo in opposizione al pensiero dominante che annulla differenze e identità e irride a lealtà e fede. E’ ormai comune sentir parlare di squadre di calcio come di finanziarie, per cui sarebbero i soldi, la costruzione di uno stadio e i diritti televisivi a garantire il successo. Appariscenti giornaliste sportive si danno da fare per seppellire definitivamente il ricordo di sconvenienti discorsi maschili, tifoserie violente sostituiscono l’arguta schermaglia poetica della tribuna Tevere dell’Olimpico della mia giovinezza dove tra laziali e romanisti si ingaggiavano gare di pungente e geniale retorica degne dell’antica Roma.
Ma, come è arcinoto, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, e i giocatori leali e appassionati sono ancora gli eroi: Francesco Totti (nella foto) è stimato e apprezzato da tifosi di tutte le squadre (… perché è attaccato alla maglia, fa del bene e non crea scandali ..) e così era per Gaetano Scirea e tanti altri.
Degli altri si parla solo di tecnica, ma la separazione tra bene e male (e il bene è sempre l’unico vero bene: lealtà e fedeltà) è netta. Questo ‘zoccolo duro’ non muore anzi, la globalizzazione ha fatto sì che un tassista a Singapore, qualche anno fa, mi abbia fatto i complimenti per il mio concittadino Francesco Totti.
C’è speranza, la scorza dura e triste dei diritti televisivi e dei calciatori stelle del rock è solo una copertura che non ferma lo scorrere carsico e inesorabile della leggenda del gioco più bello del mondo.
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