La processione del Venerdì Santo di Chieti è una delle più antiche e suggestive d’Italia, quest’anno ero lì con mia moglie in visita ai parenti e ne ho tratto grande giovamento spirituale, provo a sintetizzare qualche suggestione, consiglio comunque caldamente i lettori a programmare una gita in Abruzzo per la prossima Settimana Santa e, giusto per farvi un’idea, date una occhiata a questo video.
Bisogno primario dell’essere umano è essere riconosciuto dai suoi simili, tale riconoscimento è alla base di gran parte delle nostre attività (anche di quelle lievemente folli e spesso deleterie come la ricerca affannosa di nuovi ‘seguaci’ (followers) sulle piattaforme informatiche sociali come Instagram o Facebook).
Per essere efficace e confermarci nella nostra piena dignità, il riconoscimento ci deve integrare in una comunità viva e reale (non solo virtuale) da cui ci sentiamo accolti e a cui contribuiamo. Nei secoli la Chiesa ha svolto questa funzione in maniera egregia (la parola ‘Religione’ deriva proprio dalla spinta a ‘legare insieme’ un popolo), e i riti della Settimana Santa riunendo il popolo nella celebrazione dell’evento fondamentale del Cristianesimo sono il momento topico del nostro riconoscimento.
Per sentirsi ‘parte di qualcosa’ non abbiamo bisogno di discorsi edificanti o di rispettosi omaggi a grandi del passato o illustri pensatori, abbiamo bisogno di emozioni condivise, di musica, canti, teatro, di trascendere la fertilità per ricordarci di qualcosa di più profondo e inesprimibile che ci affratella, in una parola abbiamo bisogno di Bellezza. Nel Capitolo sesto del suo bellissimo libro ‘Eretici’ Chesterton così si riferiva alle chiassose processioni dell’Esercito della Salvezza nell’Inghilterra del secolo scorso: “La storia attesta universalmente che solo il misticismo ha la minima possibilità di essere compreso dalla gente. Il buonsenso deve essere custodito come un segreto esoterico nell’oscuro tempio della cultura. E così, se la filantropia dei salutisti e la sua autenticità può essere un valido argomento di discussione medica, l’autenticità della loro banda di ottoni è indubbia, poiché una banda di ottoni è puramente spirituale e cerca solo di risvegliare la vita interiore. Lo scopo della filantropia è fare del bene; lo scopo della religione è essere buona, anche solo per un istante, tra il fragore degli ottoni”.
Questi concetti i borghesi dei primi del Novecento non potevano accettarli e purtroppo siamo ancora lì, con dei moralissimi borghesi dei primi decenni del ventunesimo secolo (ahimè molti anche credenti) che guardano con sufficienza i riti della fede popolare vagheggiando una fede intima e basata sulla introspezione. Tale fede borghese sarebbe niente di più che filantropia e buoni sentimenti una cosa mortifera insomma.
Ma a Chieti tutto si ricompone: la processione si forma dentro al Duomo e sfila per la città con duecento tra orchestrali e coro che suonano una musica straordinaria (Il Miserere di Selecchy, composto nel Settecento e copiato da Mozart e Verdi), con migliaia di incappucciati (il cappuccio nasconde la figura umana, siamo tutti penitenti, dal ricco al povero, dal bambino al vecchio, ma lascia trasparire l’anima dai fori per gli occhi) che sfilano con i simboli della Passione. Nessuno va fuori tempo, neanche dai bambini si alza un minimo fiato, un lazzo o uno scherzo…il momento è solenne, ci si sta integrando in un corpo vivo.
Tutti i chietini (anche atei, mangiapreti, miscredenti vari) sono orgogliosi della loro processione e ne menano giusto vanto, in maniera inesprimibile (mistica, appunto) sentono che sono ‘parte di qualcosa’, non c’è astratto razionalismo che tenga, qui tutti siamo posti davanti all’essenziale.
Fino a che ci saranno processioni come questa, non dobbiamo avere paura, anche quando la predica del nostro parroco ci sembra un articolo di giornale pieno di melense ovvietà, il corpo profondo della Chiesa cammina lentamente al suono del Miserere e noi ci sentiamo piccoli, un pochino timorosi e pieni di Grazia.
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