Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un ritorno prepotente della violenza sulla scena pubblica e privata. Molti si interrogano attorno alla recrudescenza del fenomeno. Esseri umani, che condividono la medesima natura, paiono sempre più estranei gli uni agli altri e troppo spesso le loro relazioni sono improntate all’asimmetria e all’ingiustizia. Ciò avviene a livello delle relazioni fra i popoli e le culture, ma anche a livello dei rapporti umani più abituali e concreti.
La violenza è fondamentalmente una mancanza di dialogo, cioè di un confronto argomentato per esprimere sentimenti e discutere visioni delle cose, non necessariamente contrapposte. Il dialogo è indispensabile per mettere al mondo idee ed elaborare stereotipi. L’individualismo esasperato della nostra epoca e la natura sempre più virtuale dei rapporti hanno ridotto lo spazio per l’esperienza dell’altro, che allena al dialogo: basato su un’amnesia, che di fatto cancella o dimentica chi, rispetto a me e alla mia volontà, è “altro”, fa sì che quest’ultimo possa essere ridotto solo al silenzio. Lo sanno bene le donne, che sperimentano spesso la mancanza di riconoscimento della dignità e della valorizzazione della differenza di cui sono portatrici.
Il dialogo si contrappone alla violenza; è una forma di apprendimento e arricchimento reciproco, presuppone l’intersoggettività e la dignità degli interlocutori, riconosce e rispetta la differenza, come parzialità. Insegna che la ragione e il significato non stanno nell’ “ordine dell’uno”, ma affiorano nel rapporto e nella comunicazione fra le parti. Anche tra i generi esiste un’intersoggettività da riconoscere: una relazione paritaria che «deve evitare la fusionalità, il possesso e l’esercizio del potere, con la riduzione dell’altro ad oggetto. La violenza sulle donne nasce dalla non accettazione di questa relazione paritaria»1. Essa è il segno di una sperequazione, storicamente data, nella relazione di potere tra maschile e femminile. Attraverso la violenza di genere si rinnova la posizione subordinata delle donne rispetto agli uomini e se ne calpestano i diritti umani: i comportamenti violenti degli uomini aggrediscono fondamentali libertà e sicurezze femminili, producendo ferite anche non visibili.
La violenza è spesso un fatto di famiglia o del luogo di lavoro, e ciò comporta la difficoltà di prevenire il fenomeno, che, nascosto, finisce per apparire solo quando l’esito è tragico e irreparabile. Per effetto dell’individualismo imperante, individui, coppie e famiglie si sono ritrovate sempre più sole e schiacciate dal peso del ruolo culturale, sociale ed economico assegnato, specie nel nostro Paese, dove il familismo è ancora fortemente radicato.
Il fenomeno della violenza sulle donne affonda le proprie radici in una cultura ricca di pregiudizi e di tenaci convinzioni circa il ruolo che la donna deve occupare nel lavoro o in famiglia. Un retaggio tanto radicato che spesso è molto difficile rendersi conto di stare esercitando o subendo una qualsiasi forma di violenza e di violazione di diritti. «Se ancora oggi la violenza ha una direzione e un sesso, questo interroga fortemente la società sui suoi limiti culturali, politici, di tessitura di relazioni»2. Gli stereotipi di genere mostrano una rigidità evolutiva della società, che riguarda anche i media e il mondo politico: purtroppo, ciò non ha indotto ad interrogarsi sulla cultura che li ha generati e alimentati, così che il dibattito pubblico si affanna intorno alle conseguenze della violenza e non ne coglie le cause. Il nostro è un Paese in cui le asimmetrie di genere contraddistinguono ancora tutti i settori della vita sociale, lavorativa, privata e politica, senza suscitare un particolare stigma sociale.
Siamo immersi in un contesto culturale che ancora costruisce rappresentazioni del femminile e del maschile basate su un profondo squilibrio tra i sessi e che talvolta producono violenza senza l’uso della forza, come accade nel caso della colpevolizzazione della vittima di violenza o di molestie. Un contesto culturale che ha determinato un’emergenza sociale: basti considerare che, secondo l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, il costo annuo in Italia delle violenze sulle donne è quantificabile in 26,5 miliardi di euro, quasi quanto una finanziaria.
Questo «massacro del femminile»3 come categoria dell’essere è appunto la negazione della possibile convivialità delle differenze, di rapporti simmetrici e più giusti. «In particolare, la violenza tra le pareti domestiche, che costituisce la forma più diffusa di violenza di genere, mette in luce in modo esplicito come il problema si inscriva in primo luogo nella dimensione relazionale. Tale problema è cioè correlato alla qualità delle relazioni sociali e dunque può essere affrontato, sia dal punto di vista teorico, sia dal punto di vista degli interventi concreti»4, con una maggiore attenzione alle pratiche sociali e ai modelli culturali, oltre che agli interventi di ordine pubblico e repressivi.
Un’autentica parità di genere trova spesso di fronte a sé un maschile particolarmente sulla difensiva, che non si riconosce come soggetto aggressivo, ma che si sente destabilizzato e talvolta risponde attaccando. C’è un’opera educativa e formativa da esercitare anche tra gli adulti per far capire che la violenza può essere agita da chiunque ma che è possibile imparare a gestire le tensioni e sviluppare interazioni umane armoniose. Ciò pone l’esigenza di un intervento precoce, per cercare di realizzare i presupposti di una relazione futura tra uomini e donne senza prevaricazioni o sudditanze. Una cultura della parità di genere non può prescindere da un progetto educativo e dialogico avviato dalla prima infanzia, che rimuova gli stereotipi sessisti e promuova nuove relazioni improntate ad una dimensione ecologica5.
Per affrontare con un altro passo il contrasto alla violenza contro le donne è importante la costruzione di una responsabilità collettiva. Rinnovare l’alleanza tra le istituzioni, le imprese, il sindacato, il mondo della scuola e dell’informazione, il mondo dell’associazionismo e di tutte le agenzie educative. E serve il concorso degli uomini. Se le donne hanno imparato da tempo a coniugare autorealizzazione e relazionalità, forse questo passaggio non è ancora del tutto riuscito agli uomini, vale a dire che «l’attenzione all’alfabetizzazione emotiva e alla valenza relazionale non sono state ancora pienamente assunte nel progetto educativo»6. Per loro si pone la sfida di superare modelli machisti e sviluppare una nuova virilità.
Le donne hanno storicamente più dimestichezza con questi aspetti, perché portano in dote l’esperienza e la convinzione dell’essere “relative”, ovvero di esistere ma in relazione ad altri. E, a partire da ciò, l’abitudine ad integrare le prospettive, a connetterle tenendole in equilibrio, esercitando quel «potere di unire»7 che riconosce, accoglie e valorizza le differenze come una irrinunciabile ricchezza. La capacità femminile di (ri)creare comunità anche nei contesti più difficili, dove tensioni e conflitti, violenza e rifiuto hanno provocato fratture e separazione è nota e documentata; tuttavia, è spesso un’azione svolta nel silenzio, tanto preziosa, quanto sottotraccia e, a livello generale, non trova un’adeguata rappresentanza nei luoghi decisionali e ai tavoli delle trattative. Ma è proprio la sua maggiore confidenza con la capacità di mediazione, con la solidarietà con i gruppi che non hanno voce, che fa dell’universo femminile un elemento imprescindibile per lo sviluppo e la cura di relazioni giuste. Pensando al mondo di oggi e alle guerre in corso, credo che la facoltà delle donne di affermare la propria visione delle cose abbia molto a che fare con i destini del mondo e con la possibilità di costruire convivenza, solidarietà civile e dialogo inclusivo.
Da parte sua, il Coordinamento Donne ACLI opererà sempre per l’affermazione della rivoluzione epistemologica per cui la diversità non stabilisce una gerarchia tra un più e un meno, ma solo una differenza, che, se assunta, arricchisce. Per consegnare alle giovani generazioni un mondo diverso da quello ereditato, in cui pluralismo e differenza siano principi fondamentali cui ispirarsi e da valorizzare. In cui la dignità di ogni essere umano e la differenza femminile siano considerate una risorsa, all’interno di relazioni dialoganti, come forma di esperienza umana che supera ogni violenza.
Note
1 Cfr. Mion C. (2013), Ecologia della relazione donna-uomo, www.edscuola.eu.
2 Cfr. Farina F. (2013), Sulle violenze di genere, «Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza», Vol. VII, N.2 (maggio-agosto), pp. 43-64.
3 Cfr. Farina M.G. (2018), Donne in dialogo, una riflessione ed un manifesto, www.dols.it.
4 Cfr. Garreffa F. (2010), Per una critica di genere all’idea di sicurezza, «Quaderni di sociologia», n. 53, pp. 129-151.
5 Cfr. Mion C. (2013), Ecologia della relazione uomo-donna.
6 Ivi.
7 Cfr. Pulcini E. (2003), Il potere di unire. Femminile, desiderio, cura, Bollati Boringhieri, Torino.