Perché parlare di violenza? Perché dobbiamo farlo, dobbiamo affrontare anche i temi spinosi e difficili. Lo facciamo approfondendo, proponendo chiavi di lettura e di interpretazione diverse, così da offrire a tutte e tutti un’occasione per riflettere, capire, dar senso e individuare, se possibile, spazi, modi e tempi per arginare, secondo coscienza, un male che se ne sta accucciato davanti ad ogni nostra porta, nessuna esclusa

Perché scegliere di parlare, in questo numero di BeneComune, di violenza? Se ci guardiamo attorno la sfiducia, la fatica, la paura aleggiano. Siamo stanchi. Stanchi della guerra. Stanchi della violenza. Ci ripugna ciò che vediamo. Ci disgusta ciò che sentiamo.

Percepiamo attorno a noi lo spettro della paura, figlio dello stato di minaccia che sentiamo avvolgerci. Le guerre sono alle porte … e per fortuna sono lì. Se rimaniamo a casa possiamo pur sempre chiuderci dentro, sperando così di essere al sicuro. Sarà vero?

Siamo sicuri che basti rinchiuderci dentro delle mura protettive per salvarci dalla violenza? Il male, come una bestia selvatica, sta accovacciato fuori dalla nostra porta: riusciremo a non farlo entrare?

La violenza abita la vita degli uomini e delle donne. Fin dall’inizio. Fin da quando l’uomo ha dovuto fare i conti con l’altro, con il fratello. Una storia maschile marchiata dall’ambivalenza tra bene e male. Dove il rapporto con il fratello, colui o colei che ci fa uscire dalla solitudine, è un susseguirsi di gerarchie e di preferenze che trasformano l’altro non più nel fratello ma in un concorrente, un avversario da eliminare.

Lo sanno bene i genitori alle prese con la nascita del secondo figlio o figlia. Ce lo ricorda la Bibbia nel racconto di Caino e Abele. La storia della prima coppia di fratelli segnata dalla violenza e dalla morte, il cui protagonista principale è Caino: il primogenito, l’agricoltore, il colpevole, con tutto il suo portato emotivo, a cui Dio stesso parla. Abele è l’aggiunto, il secondo, il pastore e nel racconto biblico non pronuncia parole. Tuttavia, è amato da Dio che apprezza la sua offerta, più di quella del fratello maggiore.

Tutto parte da qui: perché Dio preferisce l’offerta di Abele rispetto alla mia? Caino accusa il colpo e questa cosa la patisce: “Bruciò molto a Caino e il suo volto cadde” si legge in Genesi. È arrabbiato, deluso, geloso al punto che il suo volto cade: ad indicare uno stato di prostrazione rabbiosa. Riuscirà a rialzarsi, a risollevare la testa? Dio non lo abbandona solo nella sua sofferenza cattiva, ma lo accoglie così com’è e lo interroga, ponendogli davanti due opzioni: da una parte il bene e dall’altra parte il male. Entrambe hanno il potere di modificare i suoi sentimenti interiori ma anche di trasformare la sua disponibilità alla relazione con Abele. Il bene potrebbe aiutarlo a risollevare il suo volto e a guarire la sua interiorità ferita riavvicinandosi ad Abele.

Il male accovacciato fuori dalla sua porta invece rischia di devastare la casa di Caino nel caso lui lo lasciasse entrare. Entrambe le soluzioni sono date alla libertà di Caino. Sappiamo come andrà a finire. Caino non risponderà a Dio e non parlerà con Abele ed ucciderà suo fratello. Anche dopo questo terribile omicidio Dio, però, non lo lascerà solo e continuerà ad interrogarlo: “Dov’è tuo fratello?”. “Non lo so” è la prima risposta. Solo più tardi Caino entra in dialogo con Dio e quando Caino risponderà a Dio la parola del Signore rimetterà in moto il travagliato percorso della storia.

La storia di Caino e Abele ci dice che la fraternità non è un cammino privo di ostacoli, né un giardino privo di spine ma è un orizzonte che spinge ognuno di noi a riconoscere le resistenze che nutriamo per l’altro e che condizionano i nostri comportamenti. La violenza, la rabbia, la delusione, sono sentimenti che ci portiamo appresso. Non possiamo negarli ma piuttosto dobbiamo imparare a guardarli, comprenderli, soppesarli. Per quanto ci spaventino dobbiamo conviverci e lasciarci guidare dalle domande che la nostra coscienza ci pone, senza chiudere gli occhi. È il cammino faticoso dell’umanizzazione: l’unica strada percorribile che ci permette di scegliere tra la via del bene o quella del male. Un compito sociale: perché il male non è una questione individuale, ma concorre a determinare il clima entro cui viviamo e conviviamo. Per questo motivo è anche una responsabilità collettiva che dobbiamo assumerci tutti.

Concludo così rispondendo alla domanda iniziale: perché parlare di violenza? Perché dobbiamo farlo, dobbiamo affrontare anche i temi spinosi e difficili. Lo facciamo approfondendo, proponendo chiavi di lettura e di interpretazione diverse, così da offrire a tutte e tutti un’occasione per riflettere, capire, dar senso e individuare, se possibile, spazi, modi e tempi per arginare, secondo coscienza, un male che se ne sta accucciato davanti ad ogni nostra porta, nessuna esclusa. Buona lettura!

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