Il perdurare della crisi economica ha contribuito ad aumentare in modo preoccupante il numero di persone che non hanno le risorse economiche necessarie per conseguire uno standard di vita definito dall’Istat “minimamente accettabile”.
L’Alleanza contro la povertà in Italia, nata nel 2013 per cercare di dare una risposta al ritardo con cui il nostro Paese ha affrontato il tema dell’esclusione sociale, in questi anni ha lavorato per promuovere politiche contro la povertà assoluta innovative ed efficaci.
L’Italia era l’unico Paese europeo ancora privo di una misura nazionale universalistica a sostegno di chiunque si trovi in condizione povertà assoluta: questa condizione nel 2016 interessava 1 milione e 619mila famiglie e 4 milioni e 742mila individui (il numero più alto dal 2005 ad oggi). Sempre nel 2016 erano a rischio di povertà ed esclusione sociale 17,5 milioni gli individui (il 28,7% degli italiani). All’interno di questa ampia fascia della popolazione convivono ovviamente situazioni dalla diversa intensità di deprivazione materiale. Peraltro, il rischio di cadere nella povertà riguarda una quota sempre più significativa di italiani: non esistono più categorie o luoghi più svantaggiati di altri, perché la povertà è diventata trasversale alle aree geografiche, alle generazioni, alle tipologie familiari, alle nazionalità e finanche alle condizioni occupazionali. In altre parole, negli ultimi anni la crescita dei poveri non si è concentrata tra i gruppi già più colpiti, ma si sono allargati i confini dell’indigenza e dell’esclusione.
Con l’introduzione del Reddito d’Inclusione (Rei), anche l’Italia si è finalmente dotata di una misura nazionale, strutturale, contro la povertà assoluta. Si tratta di un provvedimento cruciale per il nostro Paese: l’Alleanza contro la povertà in Italia non si è limitata ad elaborare e a proporre un piano strutturale e universale rivolto a chi versa in condizioni d’indigenza ma, attraverso un dialogo costante e costruttivo con le forze politiche e le istituzioni competenti, ha raggiunto l’obiettivo di rendere il tema della lotta alla povertà una questione prioritaria per il Paese.
Non solo si è tenuta alta l’attenzione sul tema della povertà, ma si è contribuito alla definizione di un nuovo modello di welfare, che fa leva sul protagonismo delle reti sociali, della società civile, del terzo settore e dei sindacati. La vera novità introdotta dal Rei è rappresentata dal nuovo modo di pensare l’intervento pubblico in tema di povertà, finora fatto di misure sperimentali e quindi revocabili.
Molta strada è stata fatta. Ma i passi da compiere sono ancora molti, se si vuole evitare che la riforma rimanga incompiuta. Innanzitutto c’è un problema di risorse, ancora insufficienti per raggiungere tutta la platea di persone in povertà assoluta e rendere la misura adeguata sia per quanto riguarda l’importo dei contributi economici erogati ai beneficiari, sia relativamente alla disponibilità di servizi.
Dal 1 luglio sarà superato il vincolo della “categorialità”, a favore di una logica universalistica, e potranno ricevere il Rei tutti i soggetti al di sotto delle soglie economiche attualmente previste (circa uno su due). Ma bisogna però evitare che si incrementi l’utenza senza prevedere risposte adeguate nell’importo dei contributi economici e nei percorsi d’inclusione sociale. Raggiungere sempre più persone è certamente un fattore positivo, ma si rischia di non dare loro una reale possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita. Difatti, gli importi che andranno a percepire gli utenti del Rei, pur rilevanti per chi ha redditi estremamente bassi, non consentono ancora ai beneficiari di raggiungere la soglia di povertà (link) e di soddisfare adeguatamente le proprie esigenze primarie (alimentazione, casa, vestiario, trasporti ed altre necessità di base).
I trasferimenti monetari assicurano le risorse economiche necessarie a tamponare l’indigenza e a raggiungere uno standard di vita minimo, ma è fondamentale potenziare i percorsi di inclusione sociale e lavorativa, essenziali per rendere disponibili competenze e strumenti con cui ri-progettare l’esistenza dei beneficiari, consentendo loro di uscire dalla povertà o quantomeno di massimizzare l’autonomia personale.
Senza un finanziamento adeguato dei servizi, difficilmente il Rei potrà incidere sulle condizioni di vita delle persone: è questa la vera sfida del Rei, perché è così che è stato pensato e disegnato. I servizi sono parte integrante della misura, che altrimenti si ridurrebbe a mero trasferimento monetario. Il carattere inclusivo del reddito di inclusione è il vero punto di svolta nella lotta alla povertà e all’emarginazione sociale.
Il Rei è stato disegnato non per assistere le persone, ma per aiutarle a superare l’esclusione sociale e a partecipare alla vita attiva di una comunità. L’inserimento nel mercato del lavoro e un’occupazione dignitosa sono strumenti essenziali per proteggere le persone dal rischio di povertà: l’attivazione degli utenti nei patti di inclusione deve poter offrire opportunità reali e le condizionalità poste ai destinatari della misura devono tradursi anche in impegni da parte delle amministrazioni pubbliche coinvolte.
È urgente rafforzare l’integrazione tra politiche attive del lavoro, istruzione, formazione professionale, salute e politiche sociali per sostenere i comuni a cui è affidata la gestione della misura. “Ricostruire welfare” in tutti quei contesti territoriali che hanno subito processi di impoverimento istituzionale e sociale rappresenta la vera sfida nella lotta alle povertà. Non bisogna, infatti, dimenticare che l’Italia è un Paese profondamente diseguale da nord a sud, con un profondo gap nei sistemi di welfare delle diverse regioni.
Oggi si prevede che il 15% dei finanziamenti statali contro la povertà sia destinato ai Comuni per la costruzione di percorsi d’inclusione da realizzare insieme al terzo settore, ai Centri per l’Impiego, le parti sociali e altri soggetti sociali. Tuttavia, si tratta di una percentuale insufficiente per garantire l’attivazione di specifici interventi definiti in base ai bisogni manifestati dai beneficiari e solo a partire dal 2020 verrà portata almeno al 20%.
La riuscita del Rei andrà quindi valutata tenendo conto del contesto complessivo dei servizi di welfare e funzionerà se anche il terzo settore, le parti sociali e tutta la società civile saranno pienamente coinvolti. La vera posta in gioco è dunque il nuovo welfare che vogliamo costruire nel nostro Paese e le risorse da stanziare costituiscono un elemento fondamentale, anche se non decisivo. L’Alleanza è ben consapevole che l’introduzione del Rei incontrerà significative difficoltà attuative, specie nella sua fase iniziale. Se così non fosse, non si tratterebbe di una riforma innovativa. Il punto è disegnare un percorso nel quale le inevitabili criticità realizzative possano essere affrontate nel modo migliore, e risolte progressivamente.
Perché il percorso iniziato con l’introduzione del Rei giunga ad effettivo compimento, l’Alleanza propone di adottare un Piano nazionale triennale (2018-2020) contro la povertà, che consenta la definizione di una misura adeguata e che arrivi a tutti i poveri assoluti. A regime il Piano necessita di 7 miliardi di euro annui. È evidente che la strada da compiere è ancora lunga. Infatti, anche se la legge di bilancio 2017 prevede fondi aggiuntivi (300 milioni di euro nel 2018, 700 milioni per il 2019 e 900 milioni per gli anni successivi; tenuto conto delle risorse del PON Inclusione, dal 2020 si arriva a quasi 3 miliardi di euro) e a partire dal 2020 la quota strutturale da destinare ai servizi dovrebbe passare dal 15% al 20 % del Fondo povertà, il Rei può e deve essere ancora migliorato.
La sostenibilità del Piano è garantita proprio dal suo carattere graduale che assicura: 1) adeguati tempi di apprendimento e di adattamento organizzativo ai soggetti chiamati a fornire la misura nei territori (Comuni, terzo settore, Centri per l’impiego, ecc.); 2) la possibilità di sviluppare in base a risorse certe la necessaria rete dei servizi locali; 3) la possibilità di diluire nel tempo lo stanziamento dei 5,1 miliardi ancora necessari a raggiungere la soglia dei 7 miliardi annui che garantirebbero una risposta adeguata contro la povertà assoluta in Italia.
Mettere in sicurezza le persone in povertà assoluta, significa iniziare a costruire un nuovo welfare per tutti, poveri e non: la povertà non è un fatto individuale. C’è una responsabilità che deriva da come funziona il sistema. Con il Rei si sta provando a definire un sistema di welfare più ordinato, che parte dagli ultimi, più moderno e attento all’aumento delle diseguaglianze. Non è solo questione di giustizia sociale.
Sconfiggere la povertà significa promuovere la crescita economica e migliorare le condizioni della società nel suo complesso. L’Alleanza non considera dunque esaurito il suo percorso, iniziato nel 2013, e continuerà a chiedere le risorse necessarie alla definizione di un Piano di contrasto alla povertà in tempi ragionevoli.
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