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La modalità con cui si attua il reddito di cittadinanza in Italia rischia di creare una sorta di trappola della povertà sia per l’elevato ammontare del beneficio, che scoraggia l’accettazione di un lavoro, sia per la prevedibile limitata “offerta di lavoro congrua” che i CPI sapranno proporre sia per la debolezza delle azioni a supporto del rafforzamento di capabilities per l’uscita strutturale dalla situazione di povertà

Il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 e la relativa legge di conversione 28 marzo 2019, n. 26, introducono in Italia il cosiddetto Reddito di cittadinanza, nella modalità di una politica che intende simultaneamente rappresentare una misura per contrastare la povertà e per garantire il diritto al lavoro.

Lo strumento, nelle intenzioni del governo, dovrà essere fortemente collegato a percorsi di politica attiva del lavoro. Infatti, oltre all’obbligo di partecipare per un massimo di 8 ore settimanali a progetti a titolarità dei comuni, utili alla collettività, il beneficiario dovrà partecipare ad azioni di ricerca attiva del lavoro e non potrà rifiutare più di tre offerte di lavoro congrue, pena la perdita del lavoro. Chi ha bisogno di un percorso formativo potrà siglare il patto per la formazione con enti di formazione accreditati, anche attraverso azioni promosse dai fondi interprofessionali.

La via italiana al reddito di cittadinanza ha tre elementi di criticità: l’ammontare elevato del beneficio che può trasformarsi in una sorta di trappola della povertà; la difficoltà per i Centri per l’impiego (CPI) di fare un’efficace azione di matching; la debolezza delle misure di rafforzamento delle capabilities dei beneficiari del reddito di cittadinanza.

La trappola della povertà

Molti analisti internazionali, tendenzialmente favorevoli all’introduzione di un reddito minimo, evidenziano tuttavia che se il suo ammontare è troppo alto, scoraggia il reinserimento della persona nel mercato del lavoro. Infatti, se il beneficio si avvicina troppo al livello dei salari, disincentiva il lavoro. Se una persona ha un reddito pari a zero riceve 780 euro, se invece lavora riceve solo un’integrazione al reddito fino alla soglia di 780 euro. Ciò disincentiva un’attività lavorativa con un reddito sotto o vicino ai 780 euro. L’Inps ha infatti rilevato che il 45% dei dipendenti privati nel Mezzogiorno ha redditi di lavoro netti inferiori a quelli garantiti dal reddito di cittadinanza. Ciò, sempre a parere dell’Inps, fa pensare che gli effetti di scoraggiamento al lavoro saranno rilevanti.

Si potrà determinare quindi un effetto contrario rispetto a quello che si intendeva perseguire, per cui le persone beneficiarie del reddito di cittadinanza non si attiveranno per cercare lavoro o per aumentare le proprie competenze per l’occupazione, ma resteranno intrappolate nella povertà e nella dipendenza dai servizi di welfare, con il rischio che la distanza tra i poveri ed il resto della società sia destinata ad aumentare.

 

Inefficacia dei Centri per l’impiego

L’attuale debolezza dei servizi al lavoro nell’accompagnare le persone alla ricollocazione rischia che il reddito di cittadinanza si riduca ad una semplice misura assistenziale, lasciando inattuata la sua componente di attivazione.

E’ impensabile che le attuali strutture dei CPI siano in grado di prendere efficacemente in carico un’ulteriore importante platea di quasi un milione di persone, che per altro rappresentano una fascia di lavoratori tendenzialmente deboli, visto che oggi non sono in grado di supportare neanche i disoccupati ordinari.

In tale contesto è sicuramente positiva la previsione di un potenziamento dei CPI con 4mila nuove assunzioni nel 2019, 3mila per il 2020 e 4.600 nel 2021, che porterebbero il personale dei CPI a quasi 20mila unità a fronte delle 8mila attuali. Tuttavia è bene sottolineare come i Centri per l’impiego solo recentemente siano stati orientati allo sviluppo del supporto ai disoccupati per la ricerca attiva del lavoro, venendo da una storia che li vedeva soprattutto incaricati di gestione amministrativa.

Tale riorientamento dei Centri per l’impiego necessita di un intervento organizzativo e di potenziamento del personale non solo di tipo quantitativo ma anche di tipo qualitativo. Infatti, gli attuali 8mila dipendenti dei CPI oggi vedono una forte presenza di personale con competenze di tipo amministrativo e gestionale, mentre sono pochi gli operatori che sappiano effettivamente supportare le persone nella ricerca del lavoro. Inoltre i CPI non hanno una rete capillare di relazione verso le imprese, tanto che sono rare le aziende che si rivolgono ai CPI per coprire le proprie vacancies, rendendo quindi estremamente limitata la capacità di fare matching da parte di queste strutture.

Sono invece stati ridotti a circa 270 milioni nel prossimo triennio i fondi per il reclutamento – con contratti di collaborazione – di nuovi collaboratori precari di Anpal servizi – i cosiddetti Navigator – che, dopo un serrato confronto con le Regioni, è previsto che si occuperanno di assistenza tecnica alle Regioni.

 

Debole investimento per superare le condizioni che determinano la povertà

Forse l’elemento più debole della componente attiva del reddito di cittadinanza è quello che riguarda il superamento delle cause che hanno determinato lo stato di povertà. Come mostrano le analisi e le teorie di Amartya Sen sulla disuguaglianza, la povertà è un effetto e non la causa di una carenza di capabilities (capacità di fare e di essere). Tale carenza diventa un ostacolo spesso insuperabile per consentire alle persone di trovare soddisfazione nella propria vita. L’assenza di capabilities di cui parla Sen, spesso si è creata negli anni, non raramente già dall’infanzia. Questi beni capitali sono scuola, famiglia, reti sociali, talenti lavorativi…

Per intervenire strutturalmente sulla povertà ci dovrebbe quindi essere un investimento su questi capitali personali, che richiedono tempo ed azioni strutturali e non il mero matching con il mondo del lavoro. In tal senso il reddito di cittadinanza dovrebbe supportare temporaneamente la persona nella ricostruzione delle proprie capabilities, sulla base di interventi integrati e all’interno di una rete di supporto, finalizzato alla piena autonomia e orientato alla realizzazione di sé.

In questa prospettiva l’attuale previsione normativa del reddito di cittadinanza appare velleitaria, perché è orientata all’immediato inserimento lavorativo, come se ciò potesse avvenire con una pura azione di matching, in assenza di un piano di rafforzamento delle capacità delle persone. Tale ambizione raggiunge l’apice quando prevede di riconoscere un incentivo alle imprese che assumono i destinatari del reddito di cittadinanza solo a fronte di una assunzione a tempo indeterminato.

Per aumentare l’occupabilità delle persone si devono prevedere percorsi lungi di coaching, di rimotivazione, di istruzione e formazione. Il decreto legge su questo punto introduce interventi insufficienti. I meccanismi previsti per il cosiddetto “patto per la formazione” sono palesemente inadeguati alla situazione delle persone beneficiarie del reddito di cittadinanza. Il rischio è che gli enti di formazione non si possano assumere il rischio di realizzare a proprie spese percorsi formativi che verrebbero finanziati solo nel caso di assunzione a tempo indeterminato, da mantenere per almeno 36 mesi, in un mercato del lavoro volatile, dove lavoratori competenti, non in situazione di povertà, vengono assunti in larga parte con contratti a tempo determinato di breve durata.

L’apertura del “patto di formazione” ai fondi interprofessionali potrebbe attivare alcune linee di finanziamento più sostenibili, ma i fondi interprofessionali potranno dedicare solo poche risorse a tali interventi, per evitare il rischio di defocalizzare il proprio intervento dalla formazione continua dei lavoratori.

In conclusione, la modalità con cui si attua il reddito di cittadinanza in Italia rischia di creare una sorta di trappola della povertà sia per l’elevato ammontare del beneficio, che scoraggia l’accettazione di un lavoro, sia per la prevedibile limitata “offerta di lavoro congrua” che i CPI sapranno proporre sia per la debolezza delle azioni a supporto del rafforzamento di capabilities per l’uscita strutturale dalla situazione di povertà.

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