A dicembre 2017, nell’editoriale che presentava il focus di Benecomune.net sul REI scrivevamo: “Si apre una nuova fase. Con la pubblicazione del decreto legislativo n.147 del 15 settembre 2017, l’Italia ha per la prima volta nella sua storia una legge sulla povertà. Il Reddito di Inclusione (REI) è una misura unica nazionale di contrasto alla povertà, che sostituisce il Sia (sostegno per l’inclusione attiva) e l’Asdi (Assegno di disoccupazione)”. Una misura quindi storica ma che veniva introdotta con un grave ritardo, a denotare la mancata percezione delle sofferenze degli italiani e delle crescenti reazioni che si diffondevano nel Paese, palesatesi con il voto del 4 marzo 2018, in termini di forte critica verso i partiti tradizionali e le istituzioni. Il Rei rappresentava una misura innovativa, valida nella sua impostazione; non si sottodimensionava il numero effettivo di poveri ma nei fatti la sua introduzione è risultata tardiva e priva delle adeguate coperture.
Il contratto stipulato fra le varie forze dell’attuale governo prevede, come noto, una diversa misura per il contrasto della povertà: il Reddito di cittadinanza, fortemente voluto dal M5S. Questa misura assume come riferimento un target più esteso: 9,4 milioni di individui poveri o a rischio di povertà, verso i quali operare in termini anche redistributivi, integrandone il reddito mensile fino a un massimo 780 euro per un single (o meglio 500 euro più il costo dell’affitto della casa, se non se ne è proprietari).
Proprio mentre scriviamo ci giunge la notizia che il Senato ha approvato in prima lettura il ddl AS 1018 per la conversione in legge del dl 28/1/2019 n.4, recante “disposizioni urgenti in materia di Reddito di cittadinanza e di Pensioni”, mentre il tema sta da diversi giorno attirando particolare attenzione sia sui mass media che nel dibattito politico.
L’Alleanza contro la Povertà è intervenuta con suggerimenti e proposte di modifica del decreto legge n. 4 del 28 gennaio scorso realizzando tra l’altro un documento ad hoc. Secondo l’Alleanza, con il Reddito di cittadinanza si stanziano sicuramente risorse maggiori di quelle destinate al REI, ma le risposte rischiano di essere peggiori per i poveri nel nostro Paese.
Le maggiori preoccupazioni riguardano l’eccessiva enfasi lavoristica, la marginalizzazione delle famiglie con minori e degli stranieri, le tempistiche strettissime per l’implementazione della misura, il rapporto Stato-regioni. L’auspicio dell’Alleanza è che il confronto, iniziato con l’audizione e la presentazione degli emendamenti in Senato, possa proseguire nell’interesse delle persone e delle famiglie che vivono in povertà in Italia.
Roberto Rossini, il portavoce dell’Alleanza, ha messo a fuoco i temi cruciali su cui intervenire con adeguate correzioni. “Si è più volte sottolineato che il Rdc si configura come uno strumento che persegue due obiettivi ambiziosi: dare una risposta a quanti vivono in povertà e stimolare l’occupazione con investimenti significativi sulle politiche attive per il lavoro. Tuttavia, non necessariamente le due condizioni, l’essere povero e non avere un lavoro, sono tra loro correlate. Tant’è che negli altri paesi europei i due fenomeni sono affrontati con approcci diversi. La condizione di povertà – osserva Rossini- può essere la conseguenza di numerosi aspetti che riguardano la condizione umana (di salute, economici, familiari, abitativi) ed è improprio ricondurla alla sola assenza di lavoro. Se pensiamo a situazioni di dipendenza, di carichi familiari difficili, di malattia, il problema non è l’offerta di lavoro. Il problema è che queste persone non sono in grado di lavorare, ma hanno comunque bisogno di tutta una serie di prestazioni di carattere piscologico, sanitario ed educativo che li aiuti ad uscire dalla loro condizione di deprivazione materiale e sociale.
Così come è disegnato il Rdc è eccessivamente sbilanciato sull’aspetto occupazionale, trascurando uno dei principi cardine della lotta alla povertà, ovvero la necessità di un approccio multifattoriale. La scelta di basare l’impianto della misura principalmente sul tema del lavoro ha generato una serie di criticità relative ai criteri per la distribuzione delle risorse, al disegno delle risposte e al sistema di governance che non valorizza adeguatamente il contributo dei diversi attori, pubblici e privati, impegnati nella lotta contro la povertà”.
Come Benecomune.net stiamo seguendo con grande attenzione l’iter parlamentare del Reddito di Cittadinanza; per questo abbiamo chiesto ad importanti esperti di commentare il testo del decreto legge (e gli emendamenti fino ad ora approvati) in due fasi temporali, in modo da dare una valutazione esauriente. Iniziamo ora a pubblicare alcuni contributi, mentre gli altri li pubblicheremo nella seconda metà di marzo aggiornando cosi la riflessione critica rispetto alle modifiche che eventualmente saranno apportate dopo la discussione alla Camera.
Intanto vogliamo iniziare a proporre alcuni spunti di riflessione che hanno un carattere generale e che ci aiutano ad inquadrare alcune delle questioni su cui stiamo dibattendo, alcuni punti critici che speriamo vengano risolti.
Emanuele Ranci Ortigosa (Direttore Scientifico dell’Istituto per la Ricerca Sociale – IRS e Direttore Welforum) osserva come oggi di fronte al Reddito di Cittadinanza, che ha perfezionato il suo iter legislativo ed è stato formalizzato e disciplinato, “preoccupazioni e speranze si intrecciano. Ciò che concretamente accadrà potrà avvallare le une o le altre. Forse, passata la competizione elettorale, ci sarà più spazio per riflessioni e azioni più meditate, meglio predisposte e quindi più produttive di risultati per le famiglie in difficoltà“.
Andrea Luzi sottoliena “come il Reddito di Cittadinanza e la Pensione di Cittadinanza, introdotti nella legislazione italiana, siano due misure di civiltà. Il RdC rappresenta un importante ausilio per le famiglie in difficoltà, ma contemporaneamente mira al reinserimento nel mondo del lavoro e all’inclusione sociale dei componenti del nucleo familiare in stato di necessità“.
Per Eugenio Gotti (Fondatore di Noviter ed esperto di politiche per l’istruzione, la formazione e il lavoro) “la modalità con cui si attua il reddito di cittadinanza in Italia rischia di creare una sorta di trappola della povertà sia per l’elevato ammontare del beneficio, che scoraggia l’accettazione di un lavoro, sia per la prevedibile limitata “offerta di lavoro congrua” che i CPI sapranno proporre sia per la debolezza delle azioni a supporto del rafforzamento di capabilities per l’uscita strutturale dalla situazione di povertà”.
Antonio La Spina (Docente di Sociologia e di Valutazione delle politiche pubbliche presso l’Università LUISS di Roma) osserva come “occorrerà riflettere a fondo su quanto peso dare alla riduzione della povertà e quanto alla creazione di lavoro. Quest’ultimo peraltro va generato anzitutto attraverso la politica industriale e di sviluppo. Dopo il ReI, il RdC è un altro passo avanti significativo, che è stato compiuto in via d’urgenza, appunto per decreto-legge. Con calma e attenzione si potrebbe rimettervi mano, per incrementare i benefici generati dalle risorse messe in campo e contenere certi possibili effetti collaterali negativi”.
Il nostro direttore, Leonardo Becchetti (Docente di Economia Politica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”), sottolinea come “la ricchezza di un paese non sta nelle banconote stampate ma nella somma di competenze, sudori e qualità tecnologica delle proprie imprese. Se non facciamo molta attenzione a curare i limiti della misura (RdC), non ci occupiamo nel contempo di sostenere le ragioni della creazione di valore e di ricchezza, rischiamo di non riuscire affatto a realizzare l’obiettivo di migliorare le condizioni degli ultimi e degli scartati, che il reddito di cittadinanza lodevolmente si pone”.
Fabrizio Benvignati (Responsabile dell’Ufficio Studi del Patronato Acli e componente dell’Osservatorio giuridico delle Acli nazionali) osserva: “Resta il dubbio che i “Redditi minimi condizionati” siano una risposta immediata ma non una soluzione duratura al problema della povertà, mentre i “Redditi di Cittadinanza” siano forse una soluzione duratura ma non sostenibile nell’immediato per l’estensione della platea. E se si provasse a prendere il “meglio” dei due “sistemi” e prevedere un percorso che li “coordini” rispetto all’obiettivo finale della lotta integrale alla povertà invece di farne due teorie inconciliabili?”.
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