Il panorama delle nuove forme di illegalità ambientale si esprime in diverse e variegate formule che  devono essere individuate ed affrontate a livello investigativo e giudiziario. Percepire a fondo tali aspetti, senza lasciarsi attrarre solo dal concetto di “ecomafia”, ci consente di immettere sul campo strategie e programmi di prevenzione e contrasto aggiornati e proporzionati

Quali sono i rischi ambientali che vanno urgentemente affrontati? I rischi maggiori derivano dal fatto che oggi da ogni reato ambientale deriva un inevitabile danno per la salute pubblica. La fisionomia dei crimini ambientali è in rapida evoluzione e con fatica la nostra legislazione, con un “jet lag” culturale e politico che ci fa soffrire di un “mal di fuso” cronico e storico rispetto alla velocità di viaggio di chi delinque, non riesce ancora a cogliere gli aspetti salienti di questa abile flessibilità delinquenziale che garantisce sempre più rinnovati ed inaccessibili forme di pianificazione delle strategie illegali a diversi livelli.

Per luogo comune, ormai siamo tutti concentrati sulla c.d. “ecomafia” e rischiamo, focalizzandoci solo su questo unico concetto, di perdere di vista altri aspetti collaterali (ed addirittura propedeutici).

L’evoluzione della fisionomia dei crimini ambientali (ormai strettamente connessi con i crimini a danno della salute pubblica) nel nostro Paese sta assumendo aspetti particolari ed imprevedibili, e tale evoluzione non appare recepita fino in fondo in molti settori istituzionali. Nelle scuole di polizia – invece – oggi il quadro è chiaro e si stanno raffinando strategie operative di contrasto aggiornate ai tempi…

Si è verificato un fenomeno in base al quale interi gruppi di soggetti hanno sostanzialmente e di fatto ignorato o disapplicato le leggi che iniziavano a susseguirsi in questo settore, oppure hanno in massa varato forme interpretative ed applicative di fatto del tutto avulse dalle regole normative ma diventate – stante la diffusione – prassi elevate a principio condiviso.

Nasce quella che possiamo definire una “criminalità ambientale per condivisione sociale” parallela ad una “criminalità ambientale associata” fatta di persone “per bene”. Si veda – a titolo di esempio manualistico – la disapplicazione sistematica di fatto della legge sui vincoli paesaggistici-ambientali soprattutto in sede di sanatorie (al tempo illegittime) che ha aperto il vulnus al sacco di coste ed altre aree pregiate del nostro territorio. Oppure la realizzazione delle grandi discariche sotterranee che poi oggi vengono alla luce.

Non si tratta ancora di organizzazioni criminali come oggi la nostra cultura moderna ci ha evidenziato, ma di sodalizi associativi di fatto limitati o diffusi che si contraddistinguono per una presenza di elevata illegalità permanente e con danni ambientali spesso incalcolabili.

Il confine con i settori malavitosi iniziano ad essere labili e fragili ed il tessuto costitutivo di tali sodalizi è troppo giovane e fragile per poter essere impermeabile alle future e già incombenti infiltrazioni della criminalità organizzata “militare”.

La “criminalità ambientale associata” fatta di persone “per bene” è riuscita, nonostante la concorrenza spietata della “criminalità ambientale organizzata” di tipo militare (c.d. “ecomafia”) non solo a sopravvivere ma addirittura a potenziarsi ed evolversi. Ed ha attirato nuovi adepti, nuovi soci, nuovi fiancheggiatori e nuove contiguità in un magma indistinto ma sempre più diffuso che si è steso sul territorio nazionale in proporzione di velocità direttamente collegato all’emergere di interessi, affari e lucri di ogni genere che – incredibilmente ed inaspettatamente – le illegalità ambientali hanno sempre più consentito, fino ad esplodere negli inevitabili danni micidiali per la salute pubblica.

Dunque oggi non esiste solo la cosidetta “ecomafia” intesa come (inevitabile) infiltrazione della criminalità organizzata nel malaffare dell’ambiente, ma esiste parallela e non meno perniciosa “borghesia criminale ambientale” che opera in questo sciagurato settore. Ed è la più pericolosa. Perché è composta da persone insospettabili, colte, accreditate in molti ambienti che contano ma – soprattutto – che si trovano dentro i sistemi di vario tipo e – direttamente o indirettamente – possono condizionare culture, prese di posizione, principi, scelte di ampio respiro.

Ma c’è un altro aspetto che sta emergendo e che non va sottovalutato: il “franchising criminale ambientale”, frutto diretto dell’operato della nuova “borghesia criminale” sopra citata che opera nel campo dei delitti contro il territorio e la salute pubblica.

Oggi alcune dinamiche di violazioni di norme e regole ambientali sono seriali e sistematiche, basate su una maturazione di esperienza storica operata anche dai “colletti bianchi” che forniscono supporto ai vari livelli della delinquenza ambientale. Si tratta di un vero e proprio “avviamento aziendale” che costituisce il patrimonio culturale ed operativo di chi delinque nel settore non in modo occasionale, ma sistematico e continuativo. Magari non propriamente “organizzato” od “associato”, ma certamente strutturato e pianificato anche se in modo rudimentale. Non siamo nei reati associativi, ma la coesione e le contiguità sono forti e decise.

Il sistema del “franchising criminale ambientale” è basato su anni ed anni di (preziosi) studi dei “buchi neri” del nostro (anemico e vacillante) sistema giuridico posto a tutela dell’ambiente e della salute pubblica hanno anche qui permesso, soprattutto ai “colletti bianchi” contigui e collusi, di individuare con precisione millimetrica ogni punto debole della nostra legislazione e ogni varco aperto da elaborazioni giurisprudenziali buoniste ed “ermeneutiche”, orientamenti dottrinari variegati, “scuole di pensiero” pilotate, furbate tollerate o condivise, “interpretazioni” malevole e strumentali, apatie amministrative e cedimenti politici. E quanto altro. Un preziosissimo “avviamento aziendale”, qui addirittura diviso in settori ed aree specifiche, con conseguenti elaborazione di modelli comportamentali orizzontali che poi, proiettati dalla “casa madre” trasversale in modo verticale sulle singole e diversificate realtà operative locali, hanno creato una rete di singole cellule operative illegali che agiscono mutuando – ciascuna per il proprio business – i criteri del meccanismo generale.

L’unica forma di contrasto per questo nuovo fenomeno criminale è un’azione di prevenzione e repressione sistematica all’origine della produzione dei rifiuti destinati fin dal primo momento a destinazioni illecite nazionali transfrontaliere.

Vi sono – poi – attività “pulite” che si affiancano a quelle “sporche”, avvalendosi degli introiti delle seconde assicurandosi così la possibilità di sopravvivere anche agli incerti del mercato ed alle congiunture economiche sfavorevoli, ma anche di contare su un vantaggio rispetto alla concorrenza, la disponibilità di liquidità, e di espandere gli affari. Si tratta di un meccanismo delinquenziale che si caratterizza – infatti – per una vocazione colonizzatrice ed una struttura variegata di crescente complessità, che però riconosce nell’aspetto culturale/giuridico il vero elemento focale. Ed ecco perché l’apporto dei “colletti bianchi” e dei fiancheggiatori culturali appare essenziale in questo quadro.

L’aspetto culturale e di principio è un caposaldo per tutti: per chi delinque e per chi deve operare i controlli a loro carico. Tale “franchising” è quindi permeabile alla società e riesce sapientemente a coniugare la fortissima vocazione a farsi impresa, anche attraverso i tentativi di infiltrazione nell’economia locale, con l’osservanza delle tradizioni di illegalità più radicali e fisiologicamente endogene. E’ un fenomeno caratterizzato da soggetti con elevate qualità criminali (specializzati nei vari settori), culturali (contano sulla promozione strumentale di “principi” diffusi e godono di consenso poiché offrono servizi e guadagni), istituzionali (collusioni, corruzioni, contiguità e bacini elettorali), economiche (beneficiando di lucro elevato a costi bassissimi e rischi minimi, hanno una spinta all’accumulazione, si impadroniscono di fette rilevanti del mercato con concorrenza sleale verso le aziende sane che soffocano), forte interazione sociale nella zona grigia, rete di connivenze a tutti i livelli, straordinaria capacità di adattamento, metamorfosi, mimetismo.

E’ molto forte il rischio che questa tipo di nuova criminalità ambientale associata si diffonda e si potenzi. Noi non possiamo continuare a considerare come criminali ambientali soltanto i trasportatori illegali e gli smaltitori illegali che operano materialmente tali attività sul territorio, perché chi conferisce a loro i rifiuti, e cioè l’imprenditore/produttore iniziale, è il primo anello della catena ed è il soggetto criminale principale ed originario dal quale si origina poi tutta la successiva filiera illegale. Quando continuiamo a vedere rifiuti aziendali che vengono smaltiti illegalmente in tanti modi, ed in particolare mediante sotterramenti e bruciature fuorilegge, non dobbiamo pensare che la responsabilità è da addebitare unicamente agli autori materiali di questi sotterramenti e bruciature, ma c’è all’origine a livello perfettamente consapevole e dolosamente responsabile la realtà di un imprenditore che ha conferito in piena scienza e coscienza i propri rifiuti a tali soggetti con il fine unico e palese di attivare lo smaltimento illegale.

Correttamente e giustamente la recente normativa ha ampliato la responsabilità in materia ambientale anche all’azienda in se stessa, con il pagamento di quote in via amministrativa nel caso in cui gli illeciti ambientali penali operati dall’imprenditore o suo delegato abbiano comunque prodotto un vantaggio per l’azienda. Con tale estensione di responsabilità per aziende ed enti si vuole colpire proprio la fonte e l’origine della filiera illegale, e questo conferma che la stessa normativa implicitamente riconosce l’esistenza di una “imprenditoria criminale ambientale” che deve essere colpita nel suo centro con la dovuta e logica proporzione sanzionatoria attraverso una dosimetria equilibrata verso gli illeciti commessi nel settore in esame.

Nei casi più rilevanti tale normativa arriva fino alla chiusura dell’azienda quando l’attività è criminale in senso stretto; mentre negli altri casi vengono equilibrate le sanzione in base alla responsabilità dolosa o colposa dell’imprenditore. Dunque, la legge oggi implicitamente riconosce che esiste potenzialmente una forma di illegalità aziendale sistematica della quale possono originarsi responsabilità economiche anche per l’azienda stessa in via amministrativa.

In sintesi appare evidente come il panorama delle nuove forme di illegalità ambientale si esprime in diverse e variegate formule che – necessariamente – devono essere individuate ed affrontate a livello investigativo e giudiziario. Percepire a fondo tali aspetti, senza lasciarsi attrarre solo dal concetto di “ecomafia” storico in senso stretto, ci consente di immettere “sul campo” strategie e programmi di prevenzione e contrasto aggiornati e proporzionati, ma soprattutto al passo con i tempi e con la flessibilità delle entità criminali che operano nel settore ambientale con forti danni per la salute pubblica.

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