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Il conflitto è inevitabile: la vita ne è impastata. All’uomo spetta decidere se imparare ad affrontarlo a livello interiore o se disertarlo dentro e viverne tutta la tensione fuori. Se vuoi la pace fuori, preparati alla guerra dentro: non è una strategia militare, ma un antico e intenso avvertimento spirituale

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Si vis pacem para bellum. Il celebre motto latino deriva molto probabilmente da una massima di Publio Flavio Vegezio, che recita «Qui desiderat pacem, praeparet bellum» (De re militari, Prologo del Libro III). Chi desidera la pace, dunque, prepari la guerra. L’idea trova forse un antecedente nel libro del Siracide, in cui si legge un ammonimento simile: «Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» (Sir 2,1). L’uomo che intende mettersi sulle tracce del «Dio della Pace» – come si esprimerà anche Paolo di Tarso (1Ts 5,23) – sappia che dovrà affrontare aspre battaglie, e diventare esperto in una lotta che si combatte nelle regioni dell’interiorità.

L’antropologia cristiana antica ha rappresentato le dinamiche della vita spirituale ricorrendo proprio alla metafora bellica e individuando nella vittoria sulle provocazioni malvagie la chiave di volta per affrontare anche i contrasti esteriori: «Non è un avversario esterno che dobbiamo temere – scrive Giovanni Cassiano –: il nemico è in noi stessi e contro di noi combatte ogni giorno una guerra interiore. Vinto lui, tutti i nemici esterni perderanno la loro forza, e tutto sarà pacificato». (Le Istituzioni cenobitiche, Libro V, § 21).

Si potrebbe osservare come ogni prospettiva antropologica si strutturi attorno al problema della comprensione delle dinamiche conflittuali che ciascuno sperimenta dentro di sé. Già nel IV Secolo a.C. Platone aveva imboccato questa via, proponendo di decifrare la lotta interiore come un contrasto tra diverse facoltà, un contrasto che si manifesta in particolare dinanzi alle decisioni da prendere. Tre componenti – la ragione, la parte irascibile e quella concupiscibile – si attivano ogni volta che qualcosa attrae la nostra attenzione e ci spinge ad agire. Dall’esito del loro contrasto e dal disporsi delle loro alleanze scaturiscono le nostre scelte: quando la nostra risolutezza (l’irascibile) si allea con la ragione e tiene a bada il desiderio (il concupiscibile), allora ci disponiamo al bene. Quando invece la risolutezza dà man forte al desiderio, le sorti della guerra si invertono, la ragione capitola e noi ci troviamo trascinati in percorsi di cui – col proverbiale senno di poi – ci rammaricheremo. Così Platone, nel celebre dialogo “Repubblica”.

T. Špidlik ha riassunto così il cuore della prospettiva monastica: si possono distinguere «cinque stadi di penetrazione della malizia nel cuore: 1) la suggestione, 2) il colloquio, 3) il combattimento, 4) il consenso, 5) la passione» (L’arte di purificare il cuore, Lipa, Roma 1999, p. 16): si intuisce come il combattimento rappresenti un momento psicologico-spirituale centrale, quasi a ricordare che specialmente dinanzi alle decisioni controverse non è possibile evitare il momento della lotta, della lacerazione. Non è possibile sottrarsi alla pressione dei pensieri ambigui, che letteralmente muovono guerra e turbano la quiete dell’anima.

Quale che sia la soluzione interpretativa, la lezione costante dell’antropologia si condensa senza dubbio in una consapevolezza: la possibilità di vivere in pace nel mondo e nelle relazioni esteriori dipende a livello radicale dalla capacità di ciascuno di attraversare i propri contrasti interiori. Ne viene una lezione da non trascurare ancora oggi: chi tende a creare situazioni conflittuali fuori di sé, negli ambienti in cui vive, è colui che ha lasciato entrare in se stesso ogni cosa ed è tiranneggiato interiormente dalle passioni. Viceversa la persona intimamente vigilante, che affronta con consapevolezza i propri conflitti interiori e trova la via della libertà e della pace dentro di sé, diventa progressivamente più capace anche di ricomporre i dissidi relazionali.

Il conflitto è, in fondo, inevitabile: la vita ne è impastata. All’uomo spetta decidere se imparare ad affrontarlo a livello interiore o se disertarlo dentro e viverne tutta la tensione fuori.

Se vuoi la pace fuori, preparati alla guerra dentro: non è una strategia militare, ma un antico e intenso avvertimento spirituale.

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