Le Acli sono sempre state un po’ globali. Nate in Italia nel 1944, sono attive in 30 Paesi del mondo, con esperienze antiche ed iniziative nuove. Dalla presenza lungo le strade dell’emigrazione italiana (in Europa, Sudafrica, Americhe e Australia), a quelle della cooperazione e promozione sociale in Europa e Oltreoceano, l’Associazione si è costantemente impegnata per un allargamento degli orizzonti dei popoli e delle culture. Inoltre diffonde da molti anni il pensiero che l’immigrazione non è un problema, ma un’importante risorsa, sia dal punto di vista economico, sia demografico, sia culturale. In questo senso la questione mobilità è nel DNA delle Acli.
Eppure oggi il tanto agognato Trattato di Schengen, simbolo di libertà e movimento, è in pericolo. Da qualche anno la mobilità è di fatto negata, quanto meno per un’ampia fetta di popolazione. Era questa l’Europa sognata, quella che pensava di abbattere ogni muro e che aveva perfino auspicato di utilizzare l’esperanto come unica lingua fra tutti i paesi? Probabilmente no. L’Unione si sta rivelando sempre più fragile. Infatti, in pochi anni ha mutato paesaggio. Ci sono oggi nell’area Schengen e in 13 Paesi europei, circa 1.000 km di muri; giusto per dare una misura… Il famoso muro di Berlino, abbattuto solo 30 anni fa, era lungo circa 160 km.
Ma anche il discorso umanitario, prerogativa dell’Europa, è in pericolo. Nel momento in cui è stato necessario applicare i diritti umani e civili per tutte e tutti – dopo averli solennemente scritti e enunciati – sembra infatti che siano rimasti “diritti di carta”. La gestione dei rapporti euro africani in merito alla questione immigrazione ha mostrato tutta la fragilità di quella parte di mondo che sembrava aver fondato la sua identità sulla civiltà del diritto, sulla libertà e sull’uguaglianza.
Dall’aumento dei respingimenti alla scarsa volontà di cambiare il Trattato di Dublino, dalla indisponibilità ad accogliere chi per settimane erra per il mare Mediterraneo all’ipocrita esternalizzazione delle frontiere, l’Europa è rimasta muta di fronte al fenomeno migratorio.
Anzi, l’orientamento securitario tanto internamente che esternamente all’UE, ha prodotto importanti contraddizioni fra pratiche di controllo dei flussi e il rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali in materia di asilo, intorno al quale l’Unione aveva creato la sua immagine in termini di “potenza civile”. Sono infatti proprio le misure di sicurezza preventiva, il cui obiettivo è di impedire ai migranti di arrivare sulle nostre coste, che rendono fragili l’accesso alla protezione internazionale e accentuano la vulnerabilità dei migranti, che non avendo la possibilità di raggiungere regolarmente le nostre terre, sono necessariamente consegnati alle mafie e agli scafisti, con tutto quello che ne consegue.
A tutto ciò e ai nuovi muri culturali prima ancora che di cemento o di filo spinato, occorre rispondere con decisione e fermezza riannodando i fili di un lavoro silenzioso e lungo che Movimenti, Associazioni del volontariato e singoli cittadini hanno in questi anni, fuori dal clamore dei media, costruito. Proprio per questo motivo, le Acli, pensando che il sentimento umanitario non debba finire in minoranza, sono state promotrici – su scala Europea – della Campagna Welcoming Europe che prevedeva un’ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei) rivolta alla Commissione, per cambiare alcune norme in materia di tutela dei diritti e migrazioni. In particolare, l’ICE aveva tre obiettivi: rafforzare i corridoi umanitari per i rifugiati, decriminalizzare gli atti di solidarietà, tutelare le vittime di abusi alle frontiere.
Gli stessi contenuti sono inseriti anche nella Campagna nazionale #IoAccolgo di cui le Acli fanno parte insieme a 42 associazioni laiche e cattoliche con l’obiettivo di rispondere in primis all’urgenza di non consegnare il dibattito pubblico e la narrazione sull’immigrazione ad un’Italia e ad un’Europa minoritaria e non rappresentativa della sua storia e del presente che prende forma in un’ossessione securitaria senza eguali dal dopoguerra ad oggi.
L’assillo della sicurezza e della demarcazione dei confini, da quello degli Stati a quelli perimetrali di casa nostra, sembra essere una delle psicosi del secolo dalla quale non riusciamo a liberarci. E’ questo nuovo tormento epocale il padre e l’alleato migliore di chi chiede maggiore sicurezza e di chi maneggia con padronanza l’argomento per capitalizzare consensi. A ragione o a torto, l’unica risposta che i governi europei e quello italiano sembrano trovare nei confronti di persone che emigrano da Paesi distrutti dalle guerre e dalle tirannie, è il respingimento senza appello. Meglio ancora se fatto nei Paesi di partenza. E la politica che dovrebbe emancipare i cittadini dalle paure indotte cosa fa? In alcuni casi le ignora e in altri le usa.
In realtà, andando oltre il tam tam social, la sensazione è che da circa un ventennio anziché combattere la povertà e l’esclusione sociale, si è passati a combattere i poveri, i diseredati e, soprattutto, gli immigrati, alimentando il mantra della sicurezza e del decoro. E dire che qualche secolo di battaglie per la giustizia sociale e la Costituzione ci avevano inequivocabilmente insegnato che i veri elementi di una società indecorosa erano e sono proprio la povertà e l’esclusione. Punti di vista dirà qualcuno. Visioni sulla centralità della vita e sui diritti umani diciamo noi perché ciò che spacciamo per civiltà non si tramuti in barbarie contro persone particolarmente vulnerabili per la loro condizione soggettiva e perché privi di ogni forma di cittadinanza e di diritto.
Come scriveva giustamente Wolf Bukowski nel suo libro La buona educazione degli oppressi. Piccola storia del decoro. “Essi sono colpiti da divieto d’accesso o di permanenza, e sono sempre irregolari da qualche punto di vista (permesso di soggiorno, di lavoro, autorizzazione commerciale…) perché le regole sono confezionate precisamente per escluderli. Ogni strategia di sopravvivenza che mettono in campo viene considerata, quando non direttamente criminale, come minimo indecorosa”.
I migranti, ossia coloro che arrivano dalle aree periferiche del mondo, diventano il perfetto capro espiatorio su cui catalizzare i problemi economici, ambientali, politici e sociali che l’Occidente non è più in grado di gestire, perché incapace di cambiare un paradigma che, da tutti i punti di vista, si è mostrato alla fine dei giochi fallimentare.
E’ chiaro che l’enfasi sulla sicurezza non fa altro che alimentare la paura dei comuni cittadini, aumentando quel divario fra “noi” e “voi”, divario che porta ad azioni di disprezzo, odio e razzismo. Ed è proprio questa separazione che ha profondamente eroso la cultura dell’accoglienza, fino addirittura a criminalizzarla, prima a suon di tweet, poi attraverso i vari decreti sicurezza Uno e Bis. Infatti, il legame fra immigrazione e sicurezza, che risiede più nell’immaginario che nella realtà dei fatti, produce risultati straordinari a chi specula sulle paure.
Dal canto nostro siamo convinti che serva un nuovo racconto sulle migrazioni, scritto con rigore e serietà e, possibilmente, da mani che hanno saputo tendersi verso l’altro in segno di accoglienza e rispetto. La campagna è stata lanciata il 13 giugno scorso a Roma in una Piazza di Spagna occupata da manifestanti che hanno indossato una coperta termica in segno di solidarietà con quanti vengono tratti in salvo nel Mediterraneo.
Nella sua articolazione territoriale, #IoAccolgo sostiene la promozione di comitati aperti alle organizzazioni promotrici e ai cittadini per diffondere le ragioni di fondo e le buone prassi che in tutto il Paese ogni giorno raccontano fatti di solidarietà e accoglienza. E’ certamente un’occasione per dibattere, incontrare e discutere nelle piazze, come nelle scuole e nei luoghi dell’impegno civile, di immigrazione fuori dal clamore dei comizi di parte; la modalità attraverso la quale le organizzazioni promotrici provano a “ridurre il danno” prodotto dall’impatto del decreto Sicurezza che, contrariamente al suo principio ispiratore, aumenta l’insicurezza di tutti.
In altre parole, questa è la Campagna di coloro che scelgono di accogliere piuttosto che respingere, avendo in mente tre obiettivi: dare visibilità a tutti quei cittadini solidali che nel mare magnum della paura incitata spariscono senza avere la possibilità di manifestare che un’altra via è possibile; promuovere il protagonismo dei migranti, invitandoli a prendere parola e a partecipare, raccontando in prima persona cosa avviene in Libia e nei viaggi della speranza e, prima ancora nei loro paesi d’origine; e infine l’obiettivo più difficile da raggiungere: provare a sensibilizzare i cosiddetti moderati disimpegnati, quelli che non condividono esplicitamente le politiche anti-migranti, ma che non si mettono in gioco per contrapporre una visione diversa, scivolando nell’indifferenza.
In Odio gli indifferenti Gramsci diceva “ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare,…”. Ed è proprio contro questo pericoloso laissez-faire che Papa Francesco ci stimola ad essere protagonisti del nostro destino, lottando contro la “globalizzazione dell’indifferenza”.
Chi ha promosso la Campagna Io accolgo pensa che l’indifferenza non debba vincere sulla possibilità di un cambiamento che si gioca sulla pelle delle persone. Altresì siamo convinti che non è, come qualcuno la dipinge, così nera la notte. Il Paese ha risorse civili e di civile resistenza, oltre che un antico sedimento di umanità e solidarietà, che nessuna strategia politica potrà cancellare.
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