E’ per queste ragioni che questa Legge di Bilancio è così importante, non solo perché si colloca in un particolare momento storico del nostro Paese dal punto di vista economico, politico e sociale, ma perché dovrebbe rappresentare l’occasione per fare un salto culturale nel rilancio dell’economia italiana, anche in rapporto con l’Unione Europea, mettendo al centro le persone come le imprese.
Innanzitutto il nostro Paese ha bisogno di una forte ripresa degli investimenti pubblici, ottenendo maggiore spazio e margine dall’Unione Europea, ma soprattutto privati. La crisi economica in questi anni è stata anche un alibi per tanti imprenditori che sono fuggiti dall’impresa verso l’estero e la rendita reinvestendo gli utili delle loro imprese, lontano da esse. Oggi c’è bisogno di un cambio di passo, di tornare a scommettere nel nostro Paese, nella competitività del nostro sistema produttivo, con forti investimenti, in particolare in ricerca e sviluppo, nel back reshoring e nel capitale umano dei lavoratori, come la Fim sostiene da anni promuovendo la formazione continua come diritto soggettivo.
Siamo soddisfatti che Industry 4.0 e la nuova fabbrica della Quarta Rivoluzione industriale trovino uno spazio centrale nel rilancio degli investimenti di questa finanziaria: quando fummo i primi a parlarne, più di due anni fa, molti ci etichettarono come “futurologi”. Invece Industry 4.0 è già, in molti contesti produttivi, una realtà che deve essere da traino per l’intero sistema: sono dunque positive le misure per l’iper e il super ammortamento, la proroga e il rafforzamento della Nuova Sabatini per gli investimenti nelle Pmi, il sostegno alle start up innovative e le misure a favore della ricerca e dello sviluppo delle competenze, anche tramite la possibilità di attingere da parte delle risorse accantonate da Inail, Fondi e Casse Pensioni.
Siamo inoltre d’accordo sulla riduzione della pressione fiscale sulle imprese per avvicinare il nostro sistema di tassazione a quello medio europeo, poiché non possiamo dimenticare che molte delle nostre vertenze hanno (e sempre di più avranno) un respiro sovranazionale, e l’Italia da questo punto di vista deve recuperare in competitività e in capacità attrattiva, anche per gli investitori stranieri. Vanno in questa direzione, e dunque sono positive, anche le misure previste dalla legge sul rafforzamento della contrattazione di secondo livello, sull’allargamento delle soglie e della platea dei premi di produttività e sul welfare contrattuale.
In Italia anche le imprese hanno bisogno di fare sistema per aumentare la produttività: le norme vanno orientate per allargare, anche con il sostegno della contrattazione territoriale, le buone prassi di contrattazione della produttività e del welfare integrativo contrattuale verso una più estesa platea (soprattutto PMI e microaziende). Certo, la contrattazione ha un ruolo parziale per questo rilancio, ma va rilanciata per compiere il passaggio successivo, di cui ancora il governo non fa cenno, quello verso la partecipazione strategica dei lavoratori.
Questa Legge di Bilancio comincia inoltre a rendere operativo il positivo accordo sulle pensioni raggiunto tra governo e sindacati confederali. Non è quella revisione della legge Fornero che auspicavamo, ma sono primi, buoni passi per fare recuperare al sistema previdenziale italiano quel minimo di equità intergenerazionale per cui il nostro torni ad essere un Paese civile, equo e a misura anche dei giovani, che ci auguriamo diventino operativamente i protagonisti della fase due dell’intesa e che sono quelli che – nel presente e nel futuro – sono maggiormente esposti al rischio povertà ed incertezza. Bene dunque che la previdenza complementare, ad esempio, sia potenziata, anche se avremmo voluto che fosse resa obbligatoria, proprio perché sappiamo quanto la vita lavorativa soprattutto dei giovani possa essere discontinua nell’attuale contesto.
Durante l’iter della Legge di Bilancio chiediamo che vengano date risposte più chiare rispetto ai lavori usuranti, definendolo per mestiere, piuttosto che per settore, che vengano ampliate le categorie dei lavoratori che possono accedere all’Ape agevolata e che venga ridotta l’anzianità contributiva minima richiesta; ciò con particolare riguardo a quella prevista per i disoccupati (30 anni di contribuzione minima) e per chi svolge lavori gravosi (36 anni di contribuzione minima).
Non ci rassegniamo all’idea che non si possa mettere mano alle cosiddette “pensioni d’oro” e i vitalizi, quelli per cui l’assegno pensionistico è pagato solo in minima parte da quanto si è versato: ce lo ricordano tutti i giorni i lavoratori in ogni assemblea, è una questione di giustizia e di credibilità, il simbolo di un Paese di cicale che ha reso poveri i figli, in cambio del consenso dei padri.
Più che sui bonus, che – come si è visto – hanno stimolato più i risparmi che i consumi, bisognerebbe puntare sulla riduzione delle tasse per rilanciare l’economia.
Un esempio che ha funzionato è quello collegato all’efficientamento energetico. Ci sono alcune proposte interessanti, come quella formulata da Legambiente, che prevede la rimodulazione dell’IVA sui prodotto di riuso e di riciclo ecologicamente sostenibili.
C’è un tema inoltre sul quale da tempo stiamo insistendo con il Governo e che non trova risposte sufficienti e corrette neanche in questa Legge Finanziaria: quello dell’evasione fiscale. E’ una questione di giustizia e di civiltà: se vogliamo aiutare i veri poveri, dobbiamo usare tolleranza zero verso i falsi poveri.
Il prossimo anno deve essere l’anno della riforma fiscale. Semplificare fisco e meno tasse sul lavoro e per chi le ha sempre pagate. In un Paese in cui solo il 4% dichiara un reddito superiore ai 50 mila euro c’è un problema evidente: tra questi ci sono tantissimi furboni che evadono e tolgono qualcosa a tutti, soprattutto ai tanti lavoratori dipendenti, ai pensionati e ai lavoratori autonomi o ai professionisti che pagano regolarmente le tasse e che hanno redditi reali ben inferiori.
Non sarà certo la pseudo cancellazione di Equitalia, proposta dal Governo, a cambiare le cose: quello che serve è invece l’introduzione di una vera e propria cultura della legalità, che passa anche dal rispetto e dall’autonomia del lavoro dell’ Agenzia delle Entrate, che in questi anni ha svolto un lavoro straordinario, ma che è stata spesso attaccata, se non bloccata, da una parte di politici anche in importanti ruoli istituzionali, che han finto di non conoscere o per lo meno sottovalutato, ai soli fini populisti, il ruolo strategico e fondamentale della stessa, sia in termini di assistenza ai contribuenti che in termini di contrasto all’evasione.
Se l’aggio che applica Equitalia viene cancellato, significa che i costi di funzionamento della riscossione, invece che pagarle gli evasori le pagheranno i contribuenti onesti. La rottamazione delle cartelle e l’iniziale estensione della volountary disclousure ai contanti puntava sulla necessità, comprensibile, di far cassa, ma indebolisce la certezza del diritto e delle pene per i troppi evasori, che continuano a sperare che nell’attesa sia più facile “farla franca”. Ci sono milioni di lavoratori e pensionati che non decidono col commercialista, ogni mese che reddito dichiarare. Vanno rispettati di più. Altrimenti farà fatica a cementarsi una cultura diversa da quella attuale in cui chi è più furbo (a danno degli onesti) vince.
Un Paese che si rispetti invece fa della cultura della legalità il suo fiore all’occhiello, per colpire i furbetti e valorizzare gli onesti. Gli strumenti già ci sono, ad esempio le banche dati, da integrare e far dialogare. Adesso mettiamoci tutti la volontà, fino in fondo. E’ il momento di selezionare insieme poche sfide da sostenere tutti insieme.