Il tema del lavoro dei giovani, in Italia, continua ad essere al centro di studi e ricerche di varia natura e, soprattutto, chiave di lettura dello stato di salute del nostro Paese. Ci si preoccupa di dare ai giovani una pensione minima, mettendo in secondo piano che oggi il loro desiderio è quello di trovare un lavoro per vivere la loro vita e coltivare i loro sogni. Stentano invece ad affermarsi risposte strutturali rispetto ai bisogni reali ed ai diritti dei giovani, in chiave di raggiungimento dell’autonomia e di sviluppo delle loro potenzialità, a servizio del Paese.
Siamo convinti – e lo ripetiamo da molti anni – che oggi più che mai servano un buon sistema educativo e delle serie politiche attive per il lavoro. Qualche passo avanti è stato fatto ma il Paese ha bisogno di rafforzare la propria infrastruttura formativa a partire dalla formazione per i giovani e di dare a tutti i ragazzi che lo chiedono, un’adeguata offerta di istruzione e formazione professionale (IeFP) e tecnica terziaria (ITS) in tutte le regioni italiane. Anche le forme di apprendimento duale (apprendistato formativo) recentemente sperimentate nella filiera della IeFP vanno assolutamente rese stabili ed ampliate con risorse da trovare, come già annunciato, nella attuale legge di bilancio.
Credo sia significativo che la prima proposta indirizzata dalla Chiesa italiana al Governo, al termine della Settimana sociale dei cattolici italiani di Cagliari, proprio sabato scorso, sia stata quella di rimettere il lavoro al centro dei processi formativi. “Per ridurre ulteriormente e in misura più consistente la disoccupazione giovanile – si osserva – occorre intervenire con gli incentivi all’assunzione e in modo strutturale rafforzando la filiera formativa professionalizzante nel sistema educativo italiano”.
E sempre più urgente, inoltre, aiutare i giovani nelle loro esperienze sostenendo una mobilità (anche tra regioni italiane) e una flessibilità sempre più spinte, ma operando in modo che non diventi una costrizione la scelta di lasciare il Paese. I giovani Italiani devono essere messi in grado di scegliere l’Europa e devono essere accompagnati in ogni decisione, ma in modo che la loro vita, pur attraversata dai repentini cambiamenti, sia sempre dignitosa.
I risultati della recentissima ricerca dell’Iref (l’Istituto di ricerche educative e formative delle Acli) “Il ri(s)catto del presente. Giovani italiani, expat e seconde generazioni di fronte al lavoro e al cambiamento delle prospettive generazionali”, presentati in anteprima all’incontro nazionale di studi di Napoli, offrono utili indicazioni per riflettere, per orientare le scelte, per avanzare proposte che riguardano il complesso rapporto giovani-lavoro nel nostro Paese.
Con questo focus di BeneComune vogliamo in particolare soffermare la nostra attenzione sull’atteggiamento dei giovani verso il lavoro, sulla loro percezione rispetto alla precarietà e ai diritti.
Nel capitolo 9 del report di ricerca si legge in modo significativo: “Per almeno due generazioni di lavoratori, l’idea che si possa derogare rispetto ai diritti è inammissibile, tuttavia la crisi economica ha costretto tanti lavoratori ad accordi al ribasso, concessioni, rinunce e sacrifici. Si è andata diffondendo l’idea che quando il lavoro manca o è a rischio si possa e, in alcune situazioni, si debba accettare qualsiasi cosa. La domanda che ci poniamo è quanto la cultura del “lavoro in deroga” sia penetrata nell’immaginario lavorativo dei giovani. (…)
La disponibilità a derogare sui diritti e al ‘lavoro nero’ sembra essere parte di una più generale cultura della precarietà, alla quale i giovani degli anni ’90 sono stati socializzati durante la loro crescita: a forza di sentirsi ripetere che trovare lavoro è difficile hanno fatto propria l’idea che lo spettro della disoccupazione vada scacciato mettendo da parte la questione dei diritti. I giovani all’estero pur avendo ricevuto gli stessi stimoli negativi hanno, presumibilmente, fatto esperienza di un mercato del lavoro che funziona con logiche differenti, nel quale la disoccupazione è un’eventualità ma non una condanna (…)”
I ragazzi degli anni ’90 hanno elaborato una visione del mondo del lavoro contrassegnata da un crudo realismo: per lavorare bisogna essere disposti a fare compromessi ed accettare le regole del gioco, che per quanto ingiuste, sono inaggirabili”.
Queste considerazioni ci provocano e nello stesso tempo ci spingono ad approfondire la riflessione, a farci delle domande e a cercare delle risposte. Ci chiediamo in particolare: quali nuovi significati stanno attribuendo i giovani al lavoro? Che posto occupa nella loro vita l’esperienza lavorativa? I giovani sono disposti a derogare alcuni diritti fondamentali pur di avere un lavoro? Quale cultura del lavoro oggi sembra emergere? Quale concezione del lavoro stanno consegnando gli adulti alle nuove generazioni?
Iniziamo con Gianfranco Zucca, curatore della ricerca Iref “Il ri(s)catto del presente”, che osserva come in questa ricerca “era dedicato un ampio spazio a una particolare forma di lavoro in deroga, derivante dalla volontà dei giovani di perseguire il personale progetto professionale. La survey metteva in mostra come ci fosse un’ampia disponibilità da parte degli intervistati a derogare rispetto ai propri diritti e a lavorare in condizioni penalizzanti a patto di poter fare il lavoro che piaceva. Lavorare più ore degli altri, nel tempo libero o nel fine settimana, essere pagati poco o per nulla sono tutte concessioni che una buona parte dei giovani sarebbe disponibile a fare pur di dare forma alle proprie aspirazioni professionali”.
Per Luca Grion (filosofo, Università di Udine) “bisogna educare i giovani al coraggio del nuovo: sia esso inteso come l’inatteso e l’imprevisto, sia esso inteso come il nuovo da costruire, senza nostalgie per un passato ormai consegnato agli archivi della storia”.
Tonino Cantelmi (psichiatra, Università LUMSA) osserva come sia “compito degli adulti restituire la certezza del futuro ai nativi precari, così tanto deideologizzati e così tanto abituati al provvisorio da non essere in grado neanche di balbettare il loro “no” allo scippo del futuro”.
Maurizio Sorcioni (Anpal Servizi) sottolinea come “per garantire una migliore transizione al lavoro dei giovani occorre ampliare significativamente la loro partecipazione alle politiche attive sfruttando meglio i servizi, i percorsi di apprendistato duale, sostenendo l’alternanza scuola lavoro, garantendo una maggior partecipazione a programmi di formazione professionale proprio per avvicinare sistematicamente i giovani alle imprese”.
Luca Raffaele (Next nuova economia per tutti e Progetto Cercatori di LavOro), soffermandosi su alcuni dei risultati della Settimana sociale di Cagliari, osserva come sia una scelta decisiva quella di “costruire una Mappa dei volti delle buone pratiche, che non ha la presunzione di essere perfetta ed esaustiva, ma ha permesso di delineare e far conoscere le persone e le storie di esperienze di tutela e promozione dei diritti del lavoratore”.
Concludiamo con un’intervista a Giacomo Carta, il nuovo coordinatore dei giovani delle Acli.
Prossimamente daremo voce direttamente ai giovani, pubblicando alcune interviste in profondità realizzate da IREF durante la ricerca.
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