Viviamo un periodo storico ricco di cambiamenti repentini, che hanno portato al superamento dello schema classico con cui si contrapponevano destra e sinistra. Gli avvenimenti politici dell’ultimo periodo (tra cui Brexit ed elezioni americane) hanno messo l’Europa (e l’Italia) di fronte ad una riflessione non procrastinabile sulla propria identità e sulla natura del progetto di società che vogliamo perseguire.
La globalizzazione, i flussi migratori, la situazione geopolitica internazionale ci dicono che abbiamo bisogno di elaborare una nuova visione del mondo ed un nuovo progetto di società. Abbiamo un compito particolarmente difficile: elaborare le rotte di navigazione per vivere il presente e costruire il futuro, in un momento in cui le mappe a nostra disposizione sono superate.
Elemento centrale della discussione politica non è più una semplice dicotomia destra/sinistra, semmai la riflessione su concetti come inclusione/esclusione, dialogo/chiusura, identità/alterità. A questo proposito, nei giorni scorsi, la Commissione Europea ha presentato il “libro bianco” sull’Europa. Un documento atteso, forse un po’ deludente perché troppo schematico, didascalico e perché non riconosce sufficiente importanza al ruolo delle istituzioni democratiche europee. Esso, tuttavia, ha il pregio di aprire una discussione ampia sul futuro del Vecchio Continente, in un momento in cui emerge con forza come l’Europa non abbia saputo, nel complesso, essere all’altezza dei valori, dei sogni e delle speranze in essa riposti da coloro che erano usciti dagli orrori della guerra mondiale.
Abbiamo il dovere, oltre al diritto, di essere presenti in questa discussione, facendo crescere alcune consapevolezze. Tra esse, quella che il progetto dell’Unione Europea è percepito, fuori dall’Europa, come indispensabile al mondo. l’Europa è vista come un punto di riferimento in quanto luogo in cui i Diritti sono stati garantiti e dove, negli ultimi sessant’anni, si è affermata una concezione del “vivere insieme” che mette al centro la pace, la democrazia, la protezione sociale, la sostenibilità ambientale.
A fronte di molte cose che vanno ripensate, dobbiamo dire con forza che nel mondo si guarda a noi Europei con l’aspettativa di un contributo e di una “presenza” indispensabili sulla scena internazionale. Certamente, le sfide dell’oggi impongono una strategia globale, perché travalicano, appunto, gli orizzonti nazionali. E l’Europa è l’unico strumento che noi europei abbiamo per recuperare sovranità. L’Europa ci tutela e ci fa essere “modello” di una particolare concezione del “vivere insieme”, che serve a noi e al mondo stesso.
Questi fattori ci chiamano ad una grandissima responsabilità. Abbiamo il dovere di riflettere su ciò che non ha funzionato e che dunque va cambiato perché il progetto dell’Unione possa trovare nuova forza e freschezza. Dobbiamo procedere a un rilancio coraggioso dell’Unione, cambiando la direzione di marcia fino ad oggi seguita, caratterizzata da una governance politica spesso frenata da interessi intergovernativi da derive nazionalistiche e da una governance economica imperniata ancora troppo su austerità, ristrettezza dei bilanci, sia a livello nazionale che europeo, e poco su investimenti, sviluppo e crescita.
Assume dunque particolare valenza l’imminente vertice di Roma del 25 marzo 2017, per il Sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, un appuntamento che dovrebbe segnare un punto di svolta per un rilancio e un rinnovamento del processo di integrazione politica europea. Saremo chiamati nei prossimi mesi a definire gli sviluppi da dare al processo di integrazione e a definire che Europa vogliamo.
Non partiamo da zero in questo lavoro: infatti nonostante le difficoltà dell’Unione Europea nel rispondere alle sfide del continente e a livello globale, abbiamo fatto alcuni passi avanti costituiti dall’approvazione di alcune misure che tendono a tradurre concretamente l’idea di un’Europa che deve essere capace di rispondere ai bisogni delle persone. Passi avanti che hanno visto il nostro Paese protagonista.
Penso ad esempio: all’estensione del Piano Juncker, con il raddoppio di durata e risorse del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) e di cui l’Italia è ad oggi uno dei principali beneficiari; al Piano europeo per gli investimenti esterni, per un nuovo quadro di Partenariato con i paesi terzi nell’ambito dell’Agenda europea sulle migrazioni (che riprende in parte il Migration Compact presentato dall’Italia), in favore di investimenti per i paesi africani di maggiore flusso e transito; all’attivazione della Guardia di frontiera e costiera europea per la protezione delle frontiere esterne. Ed ancora: alla strategia che muove i primi passi verso un nuovo quadro di partenariato per la cooperazione, con un forte focus sul Mediterraneo centrale e sulla Libia, con il Piano d’azione di La Valletta, di aiuto pubblico allo sviluppo per l’Africa – in linea con le proposte italiane e il recente memorandum Italia-Libia – al fine di contenere la pressione dei flussi dall’Africa e sostenere la capacità libica di gestione delle proprie frontiere; all’adozione della Global Strategy per rafforzare il ruolo dell’Europa nel settore della politica estera, sicurezza e difesa, lanciata dall’Alto Rappresentante Mogherini. Ed infine al documento dei cinque Presidenti, che parte anche dalla necessità di una unione economica protesa verso politiche di crescita, di occupazione e di protezione sociale.
Dobbiamo dunque continuare nella consapevolezza che quanto fatto non è sufficiente e che non si può restare fermi, soprattutto dopo la Brexit e i venti populisti che soffiano sempre più forte. Bisogna andare avanti in una direzione precisa, che è quella dell’ulteriore e più coerente sviluppo del processo d’integrazione (anche a più velocità) e del rafforzamento della legittimazione democratica delle Istituzioni Europee. E’ importante rilanciare questo progetto per il futuro, non solo nostro, ma delle generazioni a venire, cercando di essere all’altezza della storia e del ruolo che il nostro Paese ha avuto nella costruzione dell’Europa. L’Italia, uno dei grandi Paesi fondatori, che crede tuttora nel progetto europeo, nonostante le sue evidenti difficoltà, deve essere protagonista della battaglia perché l’Europa cambi passo e adotti una diversa politica economica, basata su crescita e protezione sociale.
Penso infatti che se saremo capaci di ritrovare l’orgoglio europeo che abbiamo perduto e l’orgoglio italiano per il contributo che abbiamo dato alla costruzione europea, saremo anche capaci di rilanciare l’Europa e di fare in modo che ciascuno di noi la senta come la sua casa perché è una casa in cui si vive bene.