Il 25 marzo i leader europei si ritroveranno a Roma per ricordare i sessant’anni dalla firma dei Trattati di Roma del 1957. A suo avviso questo evento può essere un tappa per porre le fondamenta di un rilancio del progetto dell’Unione, divenuto tanto più urgente dopo eventi come la Brexit, la crescita dei partiti euroscettici e l’elezione di Trump.
Me lo auguro. In molti stiamo lavorando perché sia così. Oggi siamo sollevati dalla buona notizia delle elezioni olandesi. Il partito di centrodestra del premier Mark Rutte (Vvd, liberal democratico) ha vinto le elezioni politiche in Olanda conquistando 33 seggi ed è riuscito a mantenere una maggioranza relativa mentre il partito xenofobo è in una situazione di emarginazione: si è fermato a 20 seggi su 50 ossia meno dei partiti “xenofobi” di casa nostra. Juncker ha commentato dicendo: “un voto per l’Europa contro gli estremisti”.
Mi sembra che lo spirito dei capi di governo che si sono riuniti in questi giorni sia quello giusto. Il parlamento europeo sta facendo un lavoro preparatorio eccellente. Indubbiamente vi sono molti nodi da sciogliere, su cui attualmente non si trova un accordo, ma è necessario un rilancio forte del progetto europeo in uno scenario sicuramente dominato da forti elementi di incertezza. Purtroppo in questi due anni la legislazione europea è stata sotto scacco di una prudenza che ha paralizzato l’azione. La prima parte della legislazione ormai è andata e restano solo due anni prima delle elezioni europee della primavera del 2019. L’UE ha legiferato molto poco per non disturbare il grande manovratore britannico con i risultati che abbiamo visto. In sostanza l’Europa si è messa in una situazione di stand by per due anni e mezzo evitando di intervenire in ambito legislativo per non ledere la sovranità nazionale dei singoli stati. Sembra che tutto sia rinviato a settembre, dopo le elezioni tedesche. Così però si rischia la paralisi, non si va avanti.
Il 2 marzo Juncker ha presentato al Parlamento europeo il Libro Bianco sul futuro dell’Europa per aprire una riflessione su come l’Ue a 27. Un documento, che secondo il Presidente della Commissione europea, deve costituire una base per la discussione al vertice di Roma del 25 marzo. La prima impressione è che, rispetto ai cinque scenari indicati, si chieda agli Stati Membri di sceglierne uno, senza indicare preferenze o priorità. In sostanza non si mette mano ad una riforma strutturale. Ci si attendeva qualcosa di più. Speriamo in un colpo d’ala a Roma ma ad oggi rimangono diversi dubbi sui tempi e si rischia seriamente di arrivare all’autunno nella situazione attuale.
Oggi all’Europa serve qualcosa di più. Serve una nuova tappa (dopo l’unione monetaria ed economica) caratterizzata da un’unione sociale che, valorizzando il principio di sussidiarietà, renda esplicita la dimensione della protezione. E’ necessario che su alcune politiche ci sia un cambio di passo. A partire dal tema della sicurezza e della difesa. L’Europa si deve far carico della propria difesa considerandola come un’occasione d’integrazione e anche di risparmio. Basti prendere, ad esempio, le politiche di gestione dei rifugiati per accorgersi che in Europa non ci si muova in una direzione comune ma si tenda a scaricare la gestione di questo tema sui paesi periferici. Inoltre sarebbe necessario un rafforzamento delle politiche economiche ed industriali che punti sull’economia circolare e sull’energia. Se l’Europa non sarà in grado di creare meccanismi di protezione dei sui cittadini si rischia di dare spazio a scelte e prassi estremiste.
Il CESE, istituito nel 1957 dai Trattati di Roma, elabora pareri su tutta una serie di questioni di portata europea, destinati al Parlamento europeo, alla Commissione e al Consiglio dei ministri. La commissione che Lei presiede, e il CESE nel suo complesso, su quali temi sta lavorando nell’ottica di rilanciare il progetto europeo?
Come CESE esprimiamo pareri su tutti i temi di interesse del Parlamento europeo. Cerchiamo di individuare gli spazi non sfruttati nei Trattati utilizzando lo strumento della cooperazione rafforzata. Come noto il CESE è composto da 350 membri proventi dai 28 Stati membri dell’UE che rappresentano molte categorie espressione interessi economici, sociali e culturali nei rispettivi paesi. La dimensione sociale è presente in 1/3 dei Trattati. Oggi è giunto il momento di sviluppare un pilastro europeo dei diritti sociali, che tenga conto della diversità delle società europee. Abbiamo dato parere favorevole sul pacchetto clima ed energia che ha raccolto le indicazioni della Cop 21 e che fissa l’obiettivo vincolante a livello dell’UE di portare la quota di consumo energetico soddisfatto da fonti rinnovabili almeno al 27% entro il 2030. Abbiamo giudicato positivamente il rilancio del pacchetto sull’economia circolare che come noto pone un nuova attenzione al ciclo di vita del prodotto: dalla produzione e il consumo fino alla gestione dei rifiuti. Un modello di economia che sperimenta nuovi modelli di produzione e di consumo. L’Europa è consapevole che non può costruire il nostro futuro su un modello “usa-e-getta”.
Oggi l’Unione europea viene spesso considerata un intralcio e una delle cause delle difficoltà che imbrigliano l’azione dei Governi nazionali, rendendola poco efficace. Come mai? Si possono riconquistare i popoli ad un progetto europeo volto al futuro e ad una missione di pace e di sviluppo sociale nel mondo?
Dobbiamo cominciare ad intensificare il ritmo di messa in opera, in alcuni settori chiave, di decisioni e azioni che rispondano alla domanda di sicurezza espressa dai cittadini europei. Ad esempio in ambito economico va realizzato un più forte sostegno alle piccole e medie imprese che spesso hanno difficoltà ad accedere al credito. Servono delle politiche di merito in ambito sociale ed economico che rendano più efficienti ed efficaci i sistemi di controllo e che favoriscano la partecipazione democratica. In Italia ad esempio la riforma delle Costituzione, proposta da governo Renzi, andava in questa direzione cercando di superare il contenzioso Stato-Regioni. Questo discorso non riguarda solo l’Italia ma anche molti altri Paesi europei. Ad esempio sull’immigrazione esiste una legge europea che però non vien applicata. I Paesi hanno deciso di non applicarla.
E’ innegabile che alcune modifiche vadano realizzate. Sicuramente il fiscal compact va corretto e oggi dopo 5 anni si può fare con cognizione di causa. E’ necessaria una partecipazione strutturale e ordinaria dei parlamenti nazionali alle costruzione ex-ante delle decisioni del Parlamento Europeo. Dall’altro lato è del tutto evidente come i governi delle singole nazioni devono correggere il tiro superando un sorta di schizofrenia per cui quando si torna a casa, nelle sedi parlamenti nazionali, si spara a zero sull’Europa. La Gran Bretagna per trent’anni ha sparato a zero sull’UE e poi ha deciso di fare il referendum. Stesso discoro si può fare rispetto alle scelte di premier ungherese Viktor Orban e alle dichiarazioni inaccettabili del presidente turco che scaricano ogni responsabilità sull’Europa in tema di sicurezza.
Perché il progetto di costruire un’unione politica dell’Europa sta segnando una sorta di fallimento? Cosa sta minando il progetto dell’unione monetaria ed economica dell’Europa?
Io non parlerei di fallimento. No è un termine appropriato. Quello che è certo è che bisogna cambiare la narrazione sull’Europa. I passi avanti sono stati enormi. L’UE ha messo in campo strumenti finanziari senza precedenti. Ha messo sul tavolo per salvare dal disastro finanziario e dal debito pubblico paesi come la Grecia, 2 mila miliardi di euro. Una cifra superiore di 3 volte al bilancio dello Stato greco. Sicuramente è necessaria una riflessione sull’architettura istituzionale dell’Europa e sulla velocità del processo di integrazione. Ci sono dei rischi di rottura e senza dubbio bisogna farsi carico degli sprechi. Vi sono sicuramente elementi di presenza. Come afferma lo studioso Mario Telò il regionalismo politico sta aumento in tutto il mondo e forme di integrazione regionale sono aumentate di dieci volte rafforzandosi soprattutto sul versante del Sud-Est asiatico e dell’Africa. In ambito europeo il CEFTA si muove in questa direzione e poi è quella delle cooperazione rafforzata. Oggi l’integrazione europea rappresenta il punto più avanzato di questo processo.
Come è possibile rinnovare e rilanciare il patto fondativo che è alla base dell’UE? Che ruolo può avere il recupero delle radici cristiane?
Credo ci sia la necessità di lavorare su tre direttrici. In primo luogo è necessario un recupero serio e non ideologico delle ragioni fondamentali dell’Unione Europea (artt. 1,2, 3 del Trattato). Credo sia necessario rileggere insieme la qualità del sogno europeo. Penso alla dichiarazione di Schuman o al Trattato di Lisbona. La prima direttrice è quella della ricerca della sostenibilità, della promozione dei diritti, della pace, del progresso sociale e civile.
La seconda direttrice è quella che porta a fare un ragionamento politico nei parlamenti nazionali sulla questione della sicurezza e del peso economico dell’Europa. Siamo di fronte ad un situazione di oggettiva fragilità sul fronte Est – si pensi al rapporto Russia-Ucraina – e sul fronte Sud. Putin e Trump si muovono sicuramente in una logica aggressiva e di competitività che va in qualche modo arginata. Dobbiamo capire se abbiamo argomenti e ragioni per stare insieme tenendo conto che le nostre economie producono meno del 25% del PIL mondiale. Bisogna rispondere alla gente rispetto al tema della sicurezza. Credo sia necessaria una nuova narrazione sull’Europa, più positiva improntata alla fiducia.
La terza direttrice è quella culturale. La cultura è un bacino di energia di fronte alle grandi tragedie che stiamo vivendo. Il vero e il bello possono essere un grande veicolo di rilancio dell’Europa. Per questo ho lavorato insieme a Silvia Costa e a Federica Mogherini perché la Commissione europea presentasse al Parlamento europeo e al Consiglio per la designazione del 2018 quale anno europeo del patrimonio culturale. L’obiettivo è mettere in evidenza il ruolo del patrimonio culturale dell’Europa nel promuovere la consapevolezza di una storia e di un’identità condivise. Bisogna ripartire dalla cultura perché questa è una leva che può aiutare l’Europa ad acquisire una nuova consapevolezza del patrimonio di cui è depositaria, che può alimentare una speranza nuova di fronte alla situazione di paura e incertezza che stiamo vivendo.