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Diverse ricerche internazionali evidenziano come l’ovodonazione si correla con l’aumento del rischio di tumore del seno, con la perdita di fertilità successiva nelle ovodonatrici nell’11.5% dei casi e con complicanze gravi che vanno dalla sindrome da iperstimolazione fino all’esito fatale delle ovodonatrici

La tecnica dell’ovodonazione, balzata prepotentemente alla ribalta negli ultimi mesi in relazione all’attuazione della legge sui diritti civili, è sostanzialmente una tecnica invasiva di prelievo ovocitario, che è stata attuata negli ultimi vent’anni in relazione alla sterilità di coppia ed in particolare nelle donne che avevano una evidente alterazione numerica e\o qualitativa della riserva ovarica. La metodica quindi va valutata all’interno delle tecniche di fecondazione artificiale e come tale pone una serie di problematiche di tipo scientifico e di tipo etico. Innanzitutto il termine di donazione: attraverso una strategia di antilingua si cerca di far passare come atto solidaristico e di generosità un vero e proprio contratto commerciale.

E’ ben difficile pensare che una ragazza giovane si sottoponga a tecniche invasive rischiose senza un compenso in denaro. Il secondo aspetto è quello di una assenza di informazione sui rischi per la salute delle donne sia sul piano fisico che sul piano psicologico, attuali e prospettiche legati a questo tipo di tecnologie. Il lavoro di Le Ray et al. (Human Reproduction n. 3, 2012) riporta una serie di dati tra l’ovodonazione e gli outcomes materni e perinatali in donne di 43 anni o più. Una prima evidenza è che l’ovodonazione è cresciuta dal 29 al 48%. Mentre il lavoro di Krul et al. (European Journal of Cancer n. 51, 2015) riporta i dati relativi a 12.589 donne trattate con IVF e su 1688 gravidanze multiple: si evidenzia un aumento del rischio di tumore al seno per la iperstimolazione ovarica connessa col numero delle gravidanze multiple.

Tale rischio aumentava maggiormente quanto più numerosi erano gli embrioni trasferiti. Una delle ipotesi di questa relazione è stata quella relativa all’aumento statisticamente significativo del VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) che è lo stesso fattore implicato nella progressione del tumore della mammella. Tuttavia questo stesso fattore di crescita viene prodotto dall’embrione prima dell’impianto, durante il fenomeno del cross-talk (scambio di informazioni biologiche, immunologiche ed ormonali con la propria madre) nella preparazione ottimale dell’impianto dello zigote nell’endometrio. Una normale riflessione relativa a questi dati è che quando questo fattore di crescita viene prodotto naturalmente gli impianti non sono correlati ad un aumentata incidenza del tumore del seno; mentre quando questo fattore di crescita viene iperstimolato (iperstimolazione e ovodonazione) esso diventa un fattore protumorale.

Una metanalisi di 20 lavori degli ultimi 20 anni di Gennari et al. (Breast Cancer Research Treat, n. 150, 2015) valuta la relazione tra superovulazione correlata alla fecondazione extracorporea e cancro del seno: nel 65% dei lavori (12 su 20) si evidenziava un aumentato rischio di tumore del seno dopo trattamento ormonale di sterilità. Nel lavoro di Marte Myhre Regstad (International Journal of Cancer, n. 136 (5), 2015) lo studio è stato condotto tra il 1984 e il 2010 utilizzando il Medical Birth Registry of Norway. Si è evidenziato un rischio aumentato del tumore della mammella che aumentava quando il follow up superava i 10 anni.

Vi sono anche altri dati in letteratura che evidenziano chiaramente che, oltre alle complicazioni immediate che il 7.2 % delle donne donatrici di ovuli ha avuto con la sindrome da iperstimolazione ovarica, vi sono anche conseguenze a distanza nell’11.5 % delle stesse poiché per l’esaurimento della riserva ovarica le pazienti vanno incontro ad una sterilità successiva (Soderstrom-Anttila V. et al., Human reproduction, 2006; n. 324, 2016).

Se poi consideriamo i rischi relativi alle pazienti in termini di outcomes perinatali dopo ovodonazione, il già citato articolo di Le Ray mostra chiaramente un rischio maggiore di preeclampsia (OR: 3.5) rispetto alle gravidanze naturali, un rischio maggiore di gravidanze gemellari (39.4 vs 15 %) e parti pretermine (OR: 8.9). Anche in caso di ovodonazione con ovociti autologhi c’è un aumento del rischio di preeclampsia, ipertensione gestazionale, ridotta crescita intrauterina e una percentuale di anomalie placentari, soprattutto placenta accreta, che arriva fino al 28 %. Quest’ultimo dato è particolarmente preoccupante vista l’alto rischio di emorragie gravi e di perdita del viscere uterino post partum con grosso impatto sulla capacita gestazionale futura (Corradetti et al., Pregnancy Hypertention, Jul 2/3, 2012). La stessa relazione è stata evidenziata da Sekhon L.H. et al. (Fertil Steril, n.101(5), 2014) confrontando gli outcomes di gravidanze gemellari ottenute con ovodonazione e con ovuli autologhi: rischio aumentato di ipertensione gestazionale (32.1 % vs 13%) e di preeclampsia (28.3 % vs 13%) nelle pazienti con ovodonazione.

Una metanalisi di 23 studi si è interessata infine della salute neonatale di bambini concepiti con ovodonazione (Adams D.H. et al., J. Dev Orig Health Dis, n. 27, 2015): in essa è stato dimostrato incremento di rischio di neonati con basso e bassissimo peso alla nascita e neonati con bassa età gestazionale nelle gravidanze ottenute con ovodonazione rispetto a quelle con ovociti autologhi. Questi outcomes valgono sia per gravidanze singole che multiple. Un’altra metanalisi di 19 studi per un totale di 86.515 gravidanze, ha mostrato un aumentato rischio di ipertensione gestazionale e di preeclampsia in gravidanze ottenute con ovodonazione (Masoudian P et al., American Journal of Obstet Gynecol, 2016).

Infine, considerando globalmente gli outcome ostetrici in gravidanze da ovodonazione attraverso uno studio retrospettivo in Svezia, si evidenzia un rischio aumentato di disordini ipertensivi, di placenta ritenuta ed emorragia post partum, di parti indotti e di tagli cesarei nelle gravidanze ottenute con ovodonazione rispetto a quelle naturali. Questo lavoro ha una indubbia originalità: quella di aver dimostrato che le stesse complicanze che avvengono in donne con età più avanzata, si verificano anche in donne giovani e senza comorbidità (analisi di 76 gravidanze con ovodonazione, 63 con IVF autologa e 150 gravidanze naturali) (Evangelia Elenis et al., Pregnancy and Childbirth, 2015).

Le conclusioni generali evidenziano che l’ovodonazione si correla con aumentato rischio di tumore del seno, con la perdita di fertilità successiva nelle ovodonatrici nell’11.5% dei casi e con complicanze gravi che vanno dalla sindrome da iperstimolazione fino all’esito fatale delle ovodonatrici. Per quanto riguarda gli outcome ostetrici si correla con aumentato rischio di disordini ipertensivi e preeclampsia, di taglio cesareo e placenta accreta con grave impatto emorragico postpartum e rischio di perdita dell’utero. Infine per i bambini i rischi sono quelli della ridotta crescita feto-neonatale e di alta prevalenza di parti pretermine con conseguenze neuromotorie e psico-intellettive dei neonati. Tutte queste considerazioni di ordine medico scientifico non possono non essere accompagnate da valutazioni etiche.

Il nostro tempo parla sempre più di diritti ma in questo percorso vi sono due categorie a cui sono negati i diritti: la prima riguarda le donne donatrici di ovuli e le donne che donano il proprio utero. Esse non hanno diritti perché trattate commercialmente come schiave da contratto poiché viene espropriata la loro salute procreativa, la loro dignità e il loro futuro. La seconda categoria riguarda i bambini concepiti: a loro è negato il diritto di incarnare i 9 mesi della loro vita prenatale in una figura materna che avrebbero dovuto chiamare mamma. Questo non sarà mai possibile. La salute della donna è un bene prezioso da salvaguardare così come la capacità di procreare ma nell’ovodonazione la donna viene espropriata della verità di informazione per non creare consapevolezza. Rubare beni materiali è un fatto grave ma rubare l’anima e la dignità delle persone è un delitto contro l’umanità, tutta l’umanità.

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