E’ lecito parlare di diritto al figlio?
Non penso che si possa trasformare il desiderio di maternità/paternità ad un diritto da rivendicare; i desideri, ovviamente legittimi e da sostenere, non sono per questo diritti da difendere attraverso la legge.
2. Quali questioni sociali apre la pratica della maternità surrogata?
Le questioni sociali (ma io parlerei soprattutto di questioni etiche e/o politiche) riguardano soprattutto la necessità che la società si confronti seriamente con le nuove possibilità offerte dalle tecnologie riproduttive, al di là di prese di posizione solo ideologiche o inadeguate a cogliere la straordinaria complessità della questione. Già la differenza delle definizioni (utero in affitto, maternità surrogata, gestazione per altri…) dà conto della pluralità di approcci e delle diverse priorità individuate. Il faro di qualsiasi ragionamento, secondo me, sta nella centralità della libertà di scelta della donna e della sua autodeterminazione rispetto al proprio corpo, in modo analogo a quanto dovrebbe avvenire per l’interruzione volontaria di gravidanza. Certo, si tratta di assicurarsi che le condizioni sociali garantiscano una scelta libera; in questo senso è giusta la preoccupazione per un possibile sfruttamento di donne economicamente disagiate o di paesi più poveri (cfr. il caso indiano) Nel dibattito attuale, sia da parte cattolica che da parte laica, prevalgono toni fondamentalisti che ripetono la visione del corpo della donna come “contenitore” di scelte altrui, sia nel caso dell’aborto che nel caso della maternità surrogata; nel nostro paese la legge 40 del 2004 sulla procreazione assistita è un esempio di questa violenza ideologica.
La strumentalizzazione della vicenda al fine di boicottare la legge sulle unioni civili e l’adozione da parte delle coppie omosessuali, è un altro esempio di tale violenza, che non tiene conto, ad esempio, che il ricorso alla maternità surrogata è molto più frequente nelle coppie eterosessuali. Ancora una volta assistiamo ad una battaglia ideologica, in cui si difendono principi (i diritti dell’embrione, la pretesa naturalità della famiglia…) e non ci si fa carico delle esistenze concrete e della pluralità di esperienze nel mondo attuale.
3. Lei è favorevole alla sua regolamentazione?
Difficile, anche se necessario, regolamentare la questione come è difficile definire qualsiasi legge sul corpo delle donne (e la storia delle leggi italiane della fine del Novecento ne è la prova). Il movimento femminista ha sempre affermato l’impossibilità di separare esperienza psicologica e corporeità, e ha chiesto da sempre un diritto “leggero” sulle questioni legate alla soggettività e alla sessualità. Per questo, può essere opportuna una legislazione per evitare abusi, sopraffazioni o violazioni delle libertà individuali, ma resto molto perplessa rispetto alla richiesta di “divieti”, “messa al bando” o altri provvedimenti di condanna che servono solo a placare i fantasmi repressivi di molti uomini e di alcune donne che pensano di parlare a nome di tutte. Non serve l’accetta su questioni così nuove e di tale complessità; serve piuttosto umiltà, ascolto delle esperienze, confronto con la scienza, approfondimento degli aspetti psicologici di queste pratiche e così via.