Rileggendo il Giovane Holden siamo portati a riflettere sul rapporto tra realtà e immaginazione e, per analogia, su questioni come la maternità surrogata, che ci pongono di fronte ad un crinale scivoloso: non arrendersi alla realtà e cercare di migliorarla secondo il nostro bene

Uno dei due o tre libri di formazione più importanti dei giovani delle decadi tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso è stato di sicuro Il Giovane Holden scritto dallo scrittore americano J.D. Salinger nel 1951.
Per quegli antichi ragazzi, attualmente classe dirigente in tutto il mondo occidentale, ha rappresentato quello che è stato L’imitazione di Cristo e le vite dei santi per le generazioni delle età di mezzo fino al Seicento.

E’ un libro pericoloso, e lo dico per esperienza diretta, lo lessi quando avevo diciannove anni, e per tutta la mia giovinezza ho avuto Holden come modello a cui ispirarmi. Il modello era quello di un ragazzo che, grazie alla sua totale onestà intellettuale e mancanza di ipocrisia, smascherava la fondamentale malvagità delle convenzioni sociali. Il pericolo del libro è nella sua totale assenza di misericordia: il lettore viene incoraggiato a un feroce razzismo etico nei confronti del resto dell’umanità che viene dipinta come meschina e tutto sommato bieca. Insomma la vecchia eresia catara dove persone autonominatisi ‘pure’ si arrogano il diritto di giudicare il prossimo, grazie alla loro superiore moralità. La Provvidenza, attraverso i casi della vita, ha salvato molti di noi dall’errore facendoci capire il senso della frase evangelica ‘nessuno è buono’ … ma questa è un’altra storia. Il punto è che, come ogni libro pericoloso, ‘Il giovane Holden’ è scritto benissimo e i singoli episodi sono illuminanti e veri, laddove è l’intera costruzione (accuratamente invisibile al giovane e sentimentale lettore) a essere sbagliata.

In uno di questi episodi, Salinger (attraverso il suo eroe), muove una feroce (e sacrosanta) critica verso quelle signore che si commuovono al cinema di fronte a una storia lacrimevole di amori infelici. Holden fa giustamente notare la perversione di una mamma che intima al suo bambino, che le chiede di essere accompagnato al bagno per un bisogno impellente, di lasciarla in pace perché si sta commuovendo fino alle lacrime per la vicenda narrata sullo schermo.

E’ esattamente ciò di cui stiamo parlando in questo numero monografico: la realtà (il bambino che se la fa sotto, la madre surrogata che si sottopone a dosi massicce di ormoni e a profondi sconvolgimenti psicologici, il nascituro che si arrovellerà per la vita sulle sue negate origini e che si sentirà merce acquistata) non ha di certo la presa sentimentale dell’ immaginazione (il film strappacuore, il desiderio di paternità che una natura cinica ha negato a dei grandi cuori pieni di amore, la paura di un figlio meno che sano, la voglia di conquistare la dimensione materna dopo che il giusto desiderio di affermarsi nel mondo ha fatto ‘scadere i tempi’ che sempre la natura matrigna ha ingiustamente imposto alla nostra fisiologia).

E’ un crinale scivoloso: non arrendersi alla realtà e cercare di migliorarla secondo il nostro bene è stato per millenni il movente dello sviluppo della cultura materiale. Tutti gli strumenti possono essere interpretati in questo senso: i coltelli sono gli artigli che ci mancano, gli areoplani le nostre ali, le nostre case confortevoli la risposta a umide e buie spelonche. Il limite fin dove spingersi è però evidente, ed è l’altro, chi ci sta davanti, il prossimo (è di cruciale importanza che l’altro sia prossimo, cioè vicino , il bambino che ci implora di portarlo al bagno deve essere seduto accanto a noi). Questo lo capiscono tutti e allora a tacitare l’evidenza della sostanziale disumanità della pratica della maternità surrogata si invoca il principe degli idoli del nostro tempo ‘il denaro’. Ma la donna è stata pagata, ma la donna così potrà andare avanti nella società, avere una vita migliore per se e i suoi cari, è un contratto, diamine !

E qui capiamo come ‘tutto si tenga’ e perchè la catechesi ‘sociale’ della Chiesa non sia separabile da quella sui temi ‘morali’, se poi ai nostri ‘puri e sentimentali’ maestri di pensiero sentir parlar male del capitalismo li spinge a dare la loro magnanima approvazione a noi sottosviluppati mentali di cattolici mentre l’accento sui temi morali li fa inorridire è solo perché a loro interessa solo aver conferma delle loro convinzioni, per far ciò si prende solo una parte del discorso isolandola dal resto. E’ una procedura altamente fallace che in scienza si chiama ‘cherry-picking’, letteralmente ‘scegliersi le ciliegie’ , che ci permette di dimostrare ciò che si vuole, gli antichi, sempre di prendersi una parte si parla, la chiamavano ‘eresia’.

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