Essere produttori di bene comune e riconquistare gli spazi di mercato civile e democratico che sistematicamente ci vengono sottratti. La doppia catena dei diritti e dei doveri che ci lega deve essere rinsaldata guardando a interventi tecnici dove si annida il cancro del malaffare. Bisogna rendere impossibile il mercato illecito dei poteri pubblici, spesso pilastro essenziale per controllare i diritti delle persone

Pochi ricordano che nel 1900 don Luigi Sturzo scrisse il dramma “La mafia”. In quel testo, richiamato da Leonardo Sciascia nel noto articolo I professionisti dell’Antimafia, il prete sociale siciliano faceva dire al boss Accarano come questi un giorno avrebbe avuto tutto il potere nelle sue mani. Spiegava il capo mafia ai suoi picciotti che ciò sarebbe accaduto perché aveva preso il controllo del Comune e della Prefettura, aveva nelle sue mani il candidato Sindaco e il deputato nazionale, gestiva gli appalti comunali, l’assegnazione delle terre e la distribuzione delle acque nelle campagne. Era soltanto il 1900 e l’anno prima era stato ucciso, per mano di sicario mafioso, il presidente del Banco di Sicilia, circostanza che don Luigi non aveva paura a richiamare nella sua opera teatrale.

Soltanto nel 1982 la Legge Rognoni-La Torre faceva entrare nell’ordinamento giuridico il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso e solo di recente ha visto la luce il delitto di scambio politico mafioso. Questi ritardi hanno fatto della Mala Bestia Mafiosa un mostro fortissimo, capace di cambiare spesso pelle, ma rimanendo sempre affamato delle libertà dei cittadini. Qualsiasi giornale oggi ci spiega come poco sia cambiato nel metodo, modello criminale e strategia di accaparramento del potere da parte delle mafie. Certamente, si susseguono i diversi nomi dei criminali e delle loro associazioni, gli affari illeciti che organizzano, il saccheggio delle risorse pubbliche e il male comune che costruiscono sulle spalle dei cittadini.

Com’è noto, la responsabilità penale è personale. Anche la costruzione di metodi, modelli, strategie e associazioni mafiose, avviene per opera di persone. Al centro c’è il potere delle persone sulle persone, o meglio il controllo di queste e della “robba”. Oggi questa è gestione delle attività economiche e finanziarie, delle istituzioni pubbliche e private, delle associazioni e della cooperazione. In sostanza, stringere tutto nelle mani di una “morsa” auto legittimante, costruita violando tutte le regole di legalità, imposta agli altri mediante la paura e il peso del silenzio. Un sistema che s’impone come cappa oscurantista sullo sviluppo dei territori e delle persone, distrugge le ricchezze locali e impone alle migliori risorse umane di abbandonare i luoghi natii, consentendo alla “zona grigia” di mettere a disposizione di questo potere delle persone sulle persone nuova linfa umana.

Se le indagini penali hanno dimostrato qualcosa, dalle istruttorie di Chinnici prima e del pool di Falcone dopo, è che al servizio del modello criminale mafioso c’è sempre una struttura di “intellighenzia” civile, imperniata sul perbenismo, sul politicamente corretto, che frequenta i salotti buoni. Di giorno recita il mantra del bene comune e di notte traffica negli affari illeciti. Adesso anche capace di assumere in modo gattopardesco le sembianze dell’anti mafia.

Le risorse necessarie per tenere in vita questa Mala Bestia sono oggetto di valutazioni con cifre stratosferiche. Vengono sempre dalla droga, dal mercato delle contraffazioni, dalle frodi comunitarie, dalla gestione illecita degli appalti pubblici e dalla spartizione dei territori con le speculazioni edilizie e con il traffico dei rifiuti. Da questo punto di vista, gli ingenti profitti illeciti, transitando per i bilanci delle imprese, sono reinvestiti in beni e servizi che sono vicini a noi gente comune più di quanto si possa immaginare; magari lì la mattina dove prendi il caffè, o dove fai la benzina, la spesa, acquisti il tuo abbigliamento, vai con la famiglia in vacanza, tieni i tuoi risparmi. Tutto ciò si chiama riciclaggio di capitali illeciti che sono investiti intestandoli a prestanome, o meglio, ancora una volta la “zona grigia”, quelli al di sopra di ogni sospetto.

Tecnicamente la nostra legislazione conosce un’arma formidabile quale le misure di prevenzioni patrimoniali con i sequestri e le confische, che una volta appresa la ricchezza illecita mostra diverse criticità nel restituirla alle comunità. Però, se è vero che la responsabilità penale è personale, ciò che deve essere combattuto è il fattore umano che rigenera le mafie nella loro sete di potere. O meglio, oramai abbiamo poco da difendere, quanto al rischio di svuotamento delle virtù sociali, delle capacità culturali e delle responsabilità democratiche, da parte di attori che non sono più solo uomini con la coppola in testa, ma vivono dentro a elegantissimi doppi petti, non solo siciliani o calabresi, ma russi, cinesi, georgiani, o meglio il mercato mafioso globale.

Da magistrato non dispero, anche se a volte sembra che la Giustizia italiana sia una ridotta alle porte del deserto. Da cittadino credo che occorra reagire; non basta più essere testimoni, più o meno distratti. Occorre essere produttori di bene comune e riconquistare quegli spazi di mercato civile e democratico che, sistematicamente, ci sono sottratti. La doppia catena dei diritti e dei doveri che ci lega tutti deve essere rinsaldata guardando a interventi tecnici lì dove si annida il cancro del malaffare delle bestie fameliche. O meglio, rendere impossibile il mercato illecito dei poteri pubblici, spesso pilastro essenziale per controllare i diritti delle persone.

La strada è quella di ripercorrere anche per gli illeciti penali del potere pubblico e quelli del potere economico e finanziario, la scelta organizzativa coordinata del modello giudiziario anti mafia, della Procura nazionale e distrettuale antimafia. Quanto alle indagini, occorre concentrare le forze di polizia giudiziaria ad alta specializzazione secondo il modello della Direzione Investigativa Antimafia. Poi, avere il coraggio di dare una corsia preferenziale ai processi con termini perentori assai brevi entro cui gestire tutti gradi del giudizio e rinunciando all’oralità del processo, lasciandola sopravvivere per le prove a discarico della difesa. Quindi, e non da ultimo, escludere in caso di condanna, per questi incensurati di lungo corso, gli sconti di pena, il beneficio della sospensione condizionale della pena, gli effetti della Gozzini e la riabilitazione, applicando l’interdizione perpetua obbligatoria dagli uffici pubblici, della direzione d’imprese, arti e professioni.

Il timore dell’efficacia ed effettività della sanzione avrà certamente maggior effetto che le piume e pailette dell’innalzamento di pene per reati che, in questo stato di cose della giustizia, hanno scarso rischio di essere accertati. Insomma, introdurre l’idea del consumo critico dei diritti e dei doveri, nuova garanzia di effettività del principio di eguaglianza e di differenziazione tra chi compie il proprio dovere e chi no.

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