La mafia. E affini: ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita. Solo criminalità? Dedichiamo questo numero del nostro sito per raccogliere idee e capire che non siamo di fronte solo alla trasgressione più o meno violenta della norma giuridica. In questi fenomeni c’è qualcosa di più profondo, di più radicato e radicale. Qualcosa che, contemporaneamente, coglie l’individuo e la collettività, la memoria […]

La mafia. E affini: ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita. Solo criminalità? Dedichiamo questo numero del nostro sito per raccogliere idee e capire che non siamo di fronte solo alla trasgressione più o meno violenta della norma giuridica. In questi fenomeni c’è qualcosa di più profondo, di più radicato e radicale. Qualcosa che, contemporaneamente, coglie l’individuo e la collettività, la memoria di ciò che è stato e la più sfrenata voglia di costruire l’impero che verrà, l’io e il noi.
Per questo, come pezzo d’apertura, vi proponiamo un’interessante interpretazione di uno storico, Marcello Ravveduto, che ci descrive il pendolo delle mafie, capace di mettere insieme gli opposti storici e sociali. Com’è possibile conciliare gli opposti? Come è possibile che questo meccanismo penetri nel tessuto culturale di un luogo e insieme nel tessuto morale di un individuo? Non vi sembri strano il fatto che ci si sia rivolti anche a degli psichiatri per capire la profondità di questo devastante meccanismo umano. Ecco allora l’intervento di Giuseppe Laganà, che chiama in causa la dimensione femminile, e l’intervento di Pia De Silvestris, che lavora attorno all’elemento invidioso primario e secondario. E lo facciamo anche con la bellezza, con l’etica dell’estetica richiamata da Mara Filippi. Strade che aprono nuovi approcci per sostenere la lotta al contropotere mafioso.

Un percorso, quello dell’antimafia, che incontra successi e insuccessi. Ma che va sostenuto perché la legalità faccia crescere una nuova stagione democratica e di sviluppo economico. L’antimafia non si fonda solo sulla repressione, ma sull’intelligente analisi della struttura mafiosa.

Ecco allora le osservazioni sociologiche di Antonio La Spina, che mette in luce il ruolo decisivo dei quadri intermedi, di quella che noi chiameremmo “classe dirigente”, nella loro capacità di adottare strategie intelligenti e creative: la lotta alla mafia si fa anche indebolendo questo preciso punto della struttura. O ancora ecco il pensiero di Antonio Russo, che sottolinea il ruolo non soltanto di ciò che si fa, ma di ciò che non si fa a sufficienza, delle omissioni e dell’incapacità di cogliere che la lotta alla mafia non consente di non prendere posizione, di non appartenere ad una nuova resistenza. O ecco infine il pensiero di un esponente di una funzione in prima linea nella lotta alla mafia, di un giudice come Gaspare Sturzo, che richiama il ruolo svolto dalla Giustizia italiana, che non è “alle porte del deserto”.

Le mafie, prendendo a prestito un’espressione proprio di Sturzo, organizzano il “male comune”. A noi, che abbiamo scelto di chiamarci in modo esattamente opposto, non poteva sfuggire questa dimensione. Allora questo approfondimento diventa anche il nostro modo per rinnovare una dichiarazione d’intenti: a noi, di comune, piace il bene, la legge. Perché l’Italia si può riscattare solo col ritorno il più vicino possibile alla linea della legalità, col sentire la legge come fatto proprio, essenziale, costitutivo, identitario: nostro. Insomma, a sentire la legalità come cosa nostra.

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