Queste e altre domande ritornano in modo quotidiano nella nostra società: non solo in ambito accademico, ma anche e soprattutto nel linguaggio comune, secondo un certo modo di fare notizia da parte dei mass-media. Personalmente credo che il dialogo tra cristiani e musulmani sia possibile: si costruisce ogni giorno a partire da noi stessi, vincendo le paure, i pregiudizi e i luoghi comuni che ci confondono e portano a considerare tutto l’islam come la religione della violenza, dell’intolleranza. In realtà non è così. È importante formare le persone, soprattutto le nuove generazioni, al dialogo, a un incontro sereno e obiettivo con i musulmani che vivono in Europa e in tutto l’Occidente.
Dal punto di vista storico e socio-politico è necessario riconoscere che l’islam non se n’è mai andato dall’Europa. Fa parte dei popoli del Mediterraneo come soprattutto il Sud dell’Europa dimostra. Non credo che corriamo il pericolo dell’Eurabia, con buona pace di Oriana Fallaci che, per certi aspetti, ha assunto la funzione apocalittica dei profeti di sventura. L’Europa non corre alcun rischio d’islamizzazione. È pur vero che i musulmani sono in crescita in Occidente, ma non per motivi religiosi. C’è il problema delle nascite, della crescita sotto zero in Italia, come d’altronde nel resto dell’Europa. Tuttavia, la presenza dei musulmani in Europa costringerà l’islam stesso a fare i conti con la modernità e con la democrazia degli Stati. Non possiamo non tendere una mano ai rifugiati, agli immigrati: una maggioranza è di religione islamica. Tuttavia, l’islam ha più volti: si esprime in tantissime tradizioni. Abbiamo a che fare con sunniti, sciiti, drusi, sufi, etc… Ci sono comunità moderate anche in Italia che hanno bisogno del nostro sostegno affinché con coraggio escano allo scoperto e denuncino la violenza dei criminali e dei terroristi islamici.
Il dialogo con l’islam può portare buoni frutti se anzitutto conosciamo il territorio attorno a noi. Di quale islam stiamo parlando? Quali comunità o gruppi musulmani vivono nella nostra città o regione o provincia? Senza un’analisi dettagliata e precisa dell’islam non si va da nessuna parte. Vale la pena ricordare, poi, che le nuove generazioni di musulmani sono molto moderate e hanno problemi concreti di integrazione, di lavoro, di riconoscimento e, al loro stesso interno, di appartenenza a una comunità religiosa che vive fino in fondo la fede islamica. Ci sono esperienze di pacifica convivenza tra cristiani e musulmani in Italia come in Europa, in Medio Oriente come in Asia.
Purtroppo a fare notizia sono gli attentati terroristici e le stragi compiute non in nome di una religione bensì del fondamentalismo religioso che diventa ideologia, ossia dittatura vera e propria. In questo momento, poi, l’islam è in espansione soprattutto in Asia e, particolarmente, in Indonesia: prevale il fondamentalismo, soprattutto perché è stato tradito il messaggio originale dell’islam che punta soprattutto sulla pace, la giustizia, il monoteismo…
Il cammino verso l’integrazione è lentissimo, complesso, ma non impossibile. Anche se ci sentiamo impotenti – che cosa possiamo fare noi comuni mortali dopo l’11 settembre 2001 e dopo gli ultimi attentati dell’Isis in Siria e in Iraq? –, non possiamo rassegnarci davanti alla violenza e al male. Lì dove delle comunità provano a dialogare, a sostenersi, a creare amicizia e solidarietà, lì la pace è seminata e il circolo infernale della violenza è spezzato. Noi abbiamo solo delle risposte locali a un problema mondiale. Dobbiamo prendere atto di questo! Tuttavia, ci sono delle domande che i musulmani non potranno tralasciare: il rispetto della donna, della libertà religiosa, l’applicazione democratica della Sharia, etc… Sono le questioni più gravi che non possono essere sottaciute.
Certo, attualmente, la collaborazione in Europa tra comunità cristiane e musulmane può favorire un dialogo più profondo e maturo. Comunque, non dobbiamo dimenticare che il dialogo parte sempre dal basso, dal vissuto, dalle esperienze di pacifica convivenza tra persone di buona volontà. Io credo, sull’esempio di san Francesco, che il dialogo deve diventare il nostro stile di vita, una tensione continua verso il bene e la prossimità. Chi dialoga si mette in gioco, crede nell’altro, spera in una umanità migliore, nel progetto di una fraternità universale dove gli uomini e le donne di ogni Paese e religione si scoprono amici, fratelli e sorelle. Utopia? No. Lento cammino dell’umanità verso il bene.