L’impatto con la crisi, la debolezza e gli errori tanto delle politiche di alcuni Paesi che della governance economica europea hanno fatto sì che l’euro rischi di diventare da elemento di unione e condivisione tra i popoli europei, elemento di divisione brandito dalle peggiori politiche nazionalistiche. Ripercorrere il percorso che ha portato alla sua nascita ci aiuta a riscoprire le ragioni e il valore di questa scelta

L’unione economica e monetaria e la nascita dell’Euro. Sul sito della Banca Centrale Europea (BCE), così è spiegata la nascita dell’Unione Europea: “all’indomani della Seconda guerra mondiale diversi leader politici europei credono fermamente che l’unico modo di evitare un nuovo conflitto in Europa sia unire i paesi sul piano economico e politico”.
Con queste premesse, il Trattato di Parigi del 1951 istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), considerata il primo mercato unificato, essendo allora quei settori di decisiva rilevanza economica.

Nel 1957 vengono firmati i Trattati di Roma che istituiscono la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) e la Comunità economica europea (CEE). L’obiettivo perseguito dagli Stati membri è la rimozione delle barriere commerciali e doganali che li separano e la costituzione di un mercato comune. Il progetto di un’Unione Economica e Monetaria, fallito negli anni ’70, viene rilanciato nel 1986, con l’adozione dell’Atto unico europeo. Due anni dopo, il Consiglio europeo affida ad un comitato di esperti guidato da Jacques Delors, presidente della Commissione europea, il compito di elaborare un progetto ad hoc. Il Rapporto Delors propone una transizione articolata in tre fasi, poi formalizzate nel Trattato di Maastricht, che avrebbero condotto ad una politica monetaria comune e alla creazione di una moneta unica.

Il fatto che la matrice del processo di integrazione europeo debba essere ricercata non tanto in “una inclinazione verso la riduzione delle sovranità politiche, quanto in una pluralità di inclinazioni nazionali verso la realizzazione delle rispettive aspirazioni economiche, mediante la costituzione di istituzioni sopranazionali”, non contraddice né riduce il portato simbolico e reale della nascita dell’euro e dell’Unione monetaria. Come è scritto nel parere espresso dal Comitato economico e sociale europeo Dopo 10 anni, dove va l’euro? Il futuro economico e politico dell’UE e il nuovo trattato, il Cese “ritiene che la nascita dell’euro e dell’UEM sia stata la tappa più importante lungo il cammino dell’Europa. Faceva parte di un disegno strategico dell’Unione che s’inquadrava nella visione che aveva ispirato la CECA e il Trattato di Roma. Fu uno sforzo grande e coraggioso, una scommessa verso il futuro, che aveva suscitato tante speranze, al punto tale che in tutti c’era la convinzione che la forza della moneta unica avrebbe travolto le resistenze che ancora sussistevano e che avevano impedito di realizzare una UEM e una Unione politica complete, come sarebbe stato necessario. L’euro comunque resta la premessa per tutto ciò…”.

Con l’euro in tasca: 1° gennaio 2002. L’Italia, entrata nell’euro dopo tanti sacrifici, si preparava al cambiamento tra curiosità e paure. Sui quotidiani, prevale comunque l’ottimismo: Il Corriere: “Via alla festa dell’Euro”; La Repubblica: “La rivoluzione dell’Euro”; La Stampa: “Festa per il capodanno dell’Euro”.

Romano Prodi, all’epoca presidente della Commissione Europea, parlò di “una nuova epoca” in grado di creare “un forte e crescente senso di identità europea”, arrivando ad affermare che “con l’euro lavoreremo un giorno in meno, guadagnando come se lavorassimo un giorno in più”.

D’accordo anche l’allora capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi: “Un grande segno di pace. La prova concreta, definitiva dell’impegno solenne assunto dai popoli europei di vivere insieme”. E Monti: “E’ una moneta davvero unica… perché reca in sé tre connotati esclusivi (la storia, la costituzione, la determinazione), che la rendono unica al mondo: una moneta che non è, finora, espressione di uno Stato ma è, fin d’ora, espressione di una precisa scelta di civiltà”.

Oggi – ha detto il premier belga Guy Verhofstadt – creiamo la terza grande zona monetaria dopo la Cina e l’India e la moneta più rispettata insieme con il dollaro. La nuova moneta simbolizza la convergenza delle economie del nostro continente, una grande stabilità politica e la volontà degli europei di condividere lo stesso destino”.

Euro e cittadinanza. Il Trattato istitutivo della Comunità europea (1957) riteneva che in qualche modo sarebbe stato il funzionamento del mercato comune a favorire "l’armonizzazione dei sistemi sociali”. Ma – evidentemente – Altiero Spinelli aveva molta ragione quando il 14 febbraio di 30 anni fa, al Parlamento europeo, affermò che “gli affari di interesse comune possono essere gestiti validamente solo da un potere veramente comune”.

L’avvento dell’euro ha prodotto nella maggioranza di noi, speranze e sogni, perché è stato il primo passo tangibile, verso quell’Europa Unita della quale – fino a quel momento – avevamo solo sentito parlare. Per la prima volta ci sentivamo uguali ai tedeschi o ai francesi, perché usavamo la loro stessa moneta, ci sentivamo parte di una grande Europa, proprio come gli Americani con il dollaro.

L’euro doveva – e in parte lo ha fatto, insieme a tanto altro – stimolare la crescita e l’integrazione dei mercati monetari nazionali, consentire una maggiore disponibilità di liquidità, costi di transazione ridotti e più bassi tassi di interesse sui mutui alle aziende, ma anche farci viaggiare meglio, facilitare gli scambi e la mobilità.

L’impatto con la crisi, la debolezza e gli errori tanto delle politiche di alcuni Paesi che della governance economica europea hanno fatto sì che l’euro rischi di diventare da elemento di unione e condivisione tra i popoli europei, elemento di divisione brandito dalle peggiori politiche nazionalistiche.

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