La progettazione sociale può essere uno dei modi utili per creare nuovo lavoro ed i fondi strutturali europei sono lo strumento principale da cui passa oggi quest’opportunità. Ma progettare non risolve i macro problemi. A volte crea le condizioni per l’emergere di soluzione o attiva innovazioni specifiche. A volte intercetta fondi con attività approssimativamente definite che servono prioritariamente a sostenere il funzionamento quotidiano. D’altra parte il fondo strutturale deve essere “addizionale”, deve andarsi ad aggiungere ad altre risorse proprie ordinarie mentre spesso finisce per sostituirvisi.
Come dire che con fondi straordinari si creano condizioni per posare binari sui quali poi potranno correre treni. Ma se l’ordinario non esiste, parte dei fondi straordinari saranno destinati al treno e al termine dello straordinario tutto si ferma. E dopo i i binari inutilizzati si intercetteranno fondi per un aereoporto inutilizzato. Fuori metafora, il rischio è lo spreco, la distrazione di fondi ma anche l’aumento di domanda senza miglioramento dell’offerta, senza continuità e visione di insieme.
L’innovazione passa dal “come”
Ma pur nella consapevolezza delle criticità, cogliere l’opportunità dei fondi strutturali europei è inevitabile. Un interessante documento richiama le sette innovazioni per un uso efficace dei fondi e contiene indicazioni utili sia a livello micro che macro:
– risultati attesi (saper dire in anticipo cosa si mira a realizzare misurandolo in termini di impatto prodotto sulla vita dei cittadini: spostare l’attenzione dall’azione che si attiva all’effetto che si raggiunge)
– azioni (da indicare in termini puntuali ed operativi)
– tempi (vincolanti ed esplicitamente associati al soggetto che ne è responsabile)
– partenariato (sia in fase di programmazione che di attuazione)
– trasparenza (da esercitare secondo il metodo Open Coesione)
– valutazione (non semplice controllo della regolarità formale ma analisi degli effetti prodotti)
– presidio nazionale (sistema di monitoraggio sistematico che comprenda assistenza e affiancamento strutturato in ordinarietà e situazioni critiche).
In altre parole “per aspirare a trasformare la realtà (…) l’individuazione dei risultati desiderati deve essere effettuata prima di scegliere quali azioni finanziare e mettere in pratica”. Si tratta di un requisito ovvio, eppure nella pratica comune quasi mai rispettato.
L’intenzionalità strategica: dove si vuole andare
Il metodo è importante ma, ovviamente, non basta. Perché l’azione produca effetti è necessario sapere dove si vuole andare. Ed è un peccato che ad Europa 2020 non sia ancora seguito un Italia 2020. Ma anche in questo senso la programmazione europea ci aiuta obbligandoci a definire (a diversi livelli e in modo condiviso) i nostri obiettivi. Dopo di che, a partire dall’ Accordo di parternariato, si crea un sistema a matriosca tra livello europeo, nazionale, regionale e settoriale. Il quadro non è semplice ma tenerlo presente aiuta ad inserire la singola progettualità nel convergere degli sforzi comuni.
Ragionando sul livello nazionale se si vuole creare nuovo lavoro l’obiettivo tematico principale da tenere presente è l’obiettivo 8: Promuovere l’occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori che individua 10 risultati attesi che si focalizzano su specifici segmenti di popolazione (giovanile, femminile, anziana, immigrata, di soggetti svantaggiati, di disoccupati di lunga durata), su alcune misure (misure attive e preventive sul mercato del lavoro, orientamento, consulenza; apprendistato, tirocini, promozione di autoimpiego e auto impreditorialità, conciliazione tra vita professionale e vita privata), su alcuni strumenti (i servizi al lavoro) ed un contesto (lavoro extra agricolo in aree rurali).
Ma va tenuto presente anche l’obiettivo 3 Promuovere la competitività delle piccole e medie imprese che mira al rilancio degli investimenti, allo sviluppo occupazione in aree di crisi, all’internazionalizzazione delle imprese, all’accesso al credito. Di nuovo, con particolare attenzione all’ambito dell’agricoltura ma citando anche le attività economiche a contenuto sociale.
Così come va considerato l’obiettivo 9 Investire nell’istruzione, formazione e formazione professionale per le competenze e l’apprendimento permanente. Con vari risultati attesi tra cui l’accrescimento delle competenze della forza lavoro e agevolazione della mobilità, l’inserimento lavorativo, percorsi formativi connessi alle domande delle imprese e il rilascio di qualificazioni inserite nei repertori regionali o nazionale. All’interno di questo quadro, a seconda delle proprie competenze e specificità del territorio si può provare ad immaginare la propria progettualità sociale per creare nuovo lavoro.
L’innovazione sociale: una pratica efficace e sostenibile di una idea
Chiaro il metodo, gli obiettivi, con fondi tutto sommato disponibili, cosa fa davvero la differenza e rende una progettualità sociale capace realmente di raggiungere i risultati attesi? Probabilmente la capacità di innovare socialmente. Il Libro bianco dell’Innovazione sociale definisce “innovazioni sociali le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa”.
L’innovazione sociale quindi non è solo una cosa nuova. Non è nemmeno solo un’idea, magari radicale. E’ una pratica innovativa. E’ un’idea di modello, prodotto o servizio alla prova dei fatti.
Saper attivare progettualità sociale in grado di produrre nuovo lavoro ha quindi a che fare con l’avere un’idea di impresa o di modello o di servizio per il lavoro e con il provare a metterla in pratica in modo efficace e sostenibile. Efficace: capace di funzionare meglio delle soluzioni esistenti, di generare valore per la società e capace di dimostrare entrambi gli aspetti. Sostenibile: in grado di attivare l’imprenditorialità che permetta di trovare forme di sostentamento.
La progettazione sociale processo di contaminazione e cambiamento
E’ quindi chiaro che una progettazione che punta ad essere innovazione sociale per creare lavoro non può essere un movimento solitario e autoreferenziale. E’ la costruzione di una rete di parternariato e collaborazione basata su due assunti: 1) non ci sono soggetti privilegiati (per storia, dimensione, radicamento, autopercezione o riconoscimeto esterno) più idonei di altri nello sviluppare buona progettazione sociale e pratiche di innovazione sociale. 2) le esperienze più interessanti sono frutto della collaborazione tra attori diversi appartenenti a mondi diversi con esperienze e anche sistemi valoriali e culture diverse. Che sanno trovare un allineamento di interessi nella reciproca complementarietà per il raggiungimento dell’obiettivo comune.
Non si darà progettazione sociale capace di innovare e di creare nuovo lavoro se non si esce fuori dagli schemi, da relazioni e pratiche consolidate. E, anche nelle grandi organizzazioni, la differenza la fanno le persone. La loro capacità di passione, ideazione, di creazione e generazione. Nessuna idea nasce dal vuoto asettico. E la capacità di comunicare e connettere sono prerogative umane indispensabili anche all’interno delle organizzazioni.
Per questo, sostituendo “organizzazione” ad “azienda”, è interessante il rovesciamento comunicativo delle 95 tesi del Manifesto Cluetrain. “Le organizzazioni:
– che parlano il linguaggio dei ciarlatani già oggi non stanno più parlando a nessuno.
– che non capiscono che i loro mercati sono ormai una rete tra singoli individui, sempre più intelligenti e coinvolti, stanno perdendo la loro migliore occasione.
– dovrebbero rilassarsi e prendersi meno sul serio. Hanno bisogno di un po’ di senso dell’umorismo. Avere senso dell’umorismo non significa mettere le barzellette nel sito. Piuttosto, avere dei valori, un po’ di umiltà, parlar chiaro e un onesto punto di vista.