Le disuguaglianze sono la conseguenza della natura e della storia degli uomini. Intorno al programma del loro puro e semplice azzeramento sono state costruite testimonianze di vita comunitaria esemplari, ma i progetti politici di più vasta portata ispirati a questo obiettivo non sono riusciti ad uscire dall’alternativa di utopia e totalitarismo. Le tre citazioni della Costituzione, di Rawls e di Papa Francesco ci aiutano, muovendo da questa consapevolezza, a tracciare il perimetro della disuguaglianza che può essere compatibile con l’idea e il rispetto della dignità di ogni essere umano.
Una democrazia non può accettare che le differenze economiche e sociali fra i cittadini si traducano in limiti sostanziali al più ricco sviluppo possibile della loro personalità e alla loro partecipazione alla vita della comunità alla quale appartengono. E le pari opportunità sono lo strumento attraverso il quale questa dichiarazione di principio si traduce in misure concrete, cioè in garanzia dei diritti fondamentali senza i quali quello sviluppo e quella partecipazione sono destinati a restare il privilegio di pochi. Sono questi diritti la misura dell’emergenza della disuguaglianza. Lo sono a livello globale, in un mondo nel quale il reddito nazionale lordo pro capite dei paesi più ricchi è 100 volte quello dei paesi più poveri e la speranza di vita dei più fortunati supera gli 80 anni, mentre per altri si ferma ancora prima dei 50. Ma lo sono anche, sebbene ovviamente non nella stessa misura, all’interno dei singoli paesi, compresa l’Italia.
I dati OCSE-PISA relativi al 2012 hanno misurato livelli di competenza degli studenti, per esempio nell’ambito della lettura, che erano comparabili in alcune regioni a quelli dei paesi ai primissimi posti della graduatoria, ma ne inchiodavano altre ad una situazione di opportunità troppo disuguali per essere tollerate. Il Comitato Nazionale per la Bioetica, in una mozione approvata il 29 maggio 2015, sottolinea come le disuguaglianze perfino nell’assistenza alla nascita vadano considerate un’emergenza nazionale, in un contesto segnato da «inique differenze nella fruizione del diritto alla salute». La stessa famiglia, a causa dell’abbandono da parte della politica, che pure non lesina l’omaggio puramente retorico al suo insostituibile valore, è diventata un incubatore di disuguaglianze che generano a loro volta marginalità: l’ISTAT ha certificato che negli anni della crisi l’incidenza della povertà relativa per le famiglie più numerose è aumentata di 10 punti.
Questi dati sono da alcuni semplicemente ignorati e da altri addirittura accettati come il prezzo da pagare alla competizione che muove tutte le cose. Ecco perché abbiamo bisogno di una educazione alla disuguaglianza sostenibile, che è tale non solo perché contenuta entro certi limiti, ma perché contribuisce davvero a produrre più ricchezza per tutti. Ecco perché, ad ogni livello, abbiamo bisogno di una politica contro le disuguaglianze intollerabili che sia finalmente efficace e credibile. Papa Francesco ci ricorda che dove non c’è giustizia si erodono le basi della stabilità e della sicurezza.
Nella stabilità che rafforza i legami gli economisti hanno imparato a riconoscere la base del capitale sociale che è un motore fondamentale della stessa crescita. La sicurezza senza giustizia è un’illusione, come aveva già scritto Paolo VI nella Populorum Progressio: «Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana» (§ 30). La disuguaglianza che possiamo accettare è quella che non costituisce un’ingiuria alla dignità e non mette l’uomo in tentazione.