Le curve del reddito e della ricchezza parlano chiaro: il divario tra ricchi e poveri ha raggiunto livelli esasperati e continua ad aumentare.
Tra il 1980 e il 2002 la diseguaglianza tra paesi è cresciuta impetuosamente per poi diminuire leggermente per effetto della crescita dei Paesi emergenti e della Cina. Parallelamente abbiamo assistito al fenomeno della crescita del divario non solo tra i paesi, ma all’interno dei paesi, che è divenuto il fenomeno principale dell’ultimo decennio che ridisegna una inedita geografia della povertà e della diseguaglianza.
Oggi, il 75% per cento dei poveri si trovano nei paesi classificati a medio reddito. E sette persone su dieci vivono in Paesi dove il divario tra ricchi e poveri è maggiore di quanto non fosse 30 anni fa.
Secondo il Rapporto Oxfam Quello che la storia (non) ci insegna anche il nostro continente è coinvolto in queste tendenze, evidenti già prima della crisi. Il modello europeo di civilizzazione basato sul welfare e sulla coesione sociale viene rimesso in discussione. Nonostante un reddito medio di 25.000 euro pro-capite il quadro dei 28 paesi è molto preoccupante. Secondo i dati EUROSTAT del 2013, 123 milioni di persone, una su quattro, sono oggi a rischio di povertà ed esclusione sociale.
Il fenomeno aggredisce anche in Europa, le fasce più vulnerabili della popolazione. I giovani con altissimi livelli di disoccupazione di lungo periodo, le donne e alcune fasce di lavoratori producendo il fenomeno dei working poor: i lavoratori poveri. Si tratta lavoratori attivi delle fasce basse del mercato del lavoro, soggetti ad alti livelli di precarietà e salari più bassi, che a loro volta sono vettori contagiosi del dramma delle famiglie impoverite, avvicinando al rischio di povertà quasi una famiglia su 10 nel nostro continente.
Questi fenomeni di “cedimento sociale” che sono avvenuti e stanno avvenendo in Europa, sono sorprendentemente simili a quanto accaduto a seguito delle politiche di aggiustamento strutturale imposte all’America Latina o all’Africa nel corso degli anni ’80 e ’90 attraverso l’applicazione delle ricette di carattere macroeconomico delle Istituzioni Finanziarie Internazionali. In Europa l’intervento delle autorità internazionali, Banca e Fondo, si è combinato con quello delle istituzioni europee che in cambio degli interventi di aiuto, hanno richiesto l’adozione di tagli alla spesa pubblica, la nazionalizzazione del debito privato, riduzione di stipendi e pensioni e un modello di gestione dello stesso debito nel quale i rimborsi ai creditori delle banche hanno avuto la precedenza rispetto alle spese per assicurare la ripresa economica e le forme di protezione sociale essenziale.
Oxfam ritiene che le politiche di austerità troppo spesso si sono tradotte in una medicina che invece di curare il paziente lo ha debilitato, fino al punto di metterne a rischio la stessa sopravvivenza. Queste quadro ci porta a ritenere che, come per i Paesi in via di sviluppo, ci vorranno molti anni per tornare ai livelli pre-crisi e a seconda della situazione specifiche di ciascun paese potrebbero occorrere dai 10 ai 25 anni per recuperare i livelli precedenti alla crisi.
L’ Europa non sembra aver fatto tesoro di questa lezione. Lo stesso processo di integrazione europea è segnato da questa contraddizioni che ne minano profondamente le prospettive di positivo sviluppo.
Figura 1 Distribuzione del reddito globale per percentuale di popolazione in $
I due fattori principali della diseguaglianza
Analizzando le cause della diseguaglianza estrema su scala globale, è possibile dimostrare che essa danneggia non solo la stragrande maggioranza dei cittadini ma anche le possibilità di crescita e sviluppo economico.
Due elementi emergono quali più rilevanti.
Il primo è quello che nel rapporto Oxfam Partire a pari merito, viene definito, citando il premio nobel per l’economia Stiglitz, con il termine di “fondamentalismo di mercato”. Riconoscendo il ruolo positivo svolto dall’economia di mercato nel portare prosperità e vita dignitosa a centinaia di milioni di persone, come avvenuto negli ultimi tre secoli, si tratta di considerare la necessità della funzione di indirizzo e regolazione svolta dallo stato. O meglio, per dirla in modo più moderno, la necessità di politiche pubbliche, indispensabili per promuovere e indirizzare lo sviluppo. Evitando il rischio è che il “fondamentalismo di mercato” costituisca uno dei principali ostacoli per il perseguimento di un modello di sviluppo sostenibile, di vanificare il contratto sociale fra istituzioni e cittadini, di divorare la principale ricchezza di ogni paese costituita dalle persone e dal capitale sociale.
Il secondo fattore, è altrettanto importante perchè rischia di minare la base stessa della democrazia: la concentrazione del potere e della ricchezza verso una elite sempre più ristretta. Durante la crisi globale abbiamo assistito ad un aumento impressionante della diseguaglianza. Già nel 2014, secondo i dati di Credit Suisse rielaborati da Oxfam, l’1% più ricco della popolazione possiede il 48% delle ricchezze complessive. Se le attuali tendenze si confermeranno nel 2016 il sorpasso sarà compiuto: l’1% sarà detentore del 52% delle ricchezze complessive. Parallelamente alla base di questa piramide rovesciata, il 5,5% della ricchezza è quello che resta per l’80% della popolazione.
Figura 2 – Numero di miliardari necessari per raggiungere lo stesso volume di
ricchezza posseduto dal 50% più povero della popolazione mondiale
Questo stato di cose produce assieme alla diseguaglianza e alla concentrazione delle ricchezze una fortissima capacità di influenza politica sulle istituzioni e sulla rappresentanza democratica. Sempre più spesso le istituzioni appaiono permeabili dalla capacità delle elite organizzate in lobby di condizionarne le politiche e la politica. Non si tratta di demonizzare, se regolata e trasparente, l’organizzazione degli interessi dei corpi intermedi, quanto di registrare e denunciare un fenomeno che ha assunto forme abnormi e inquietanti per la democrazia. Pensiamo alla possibilità di ottenere giustizia, garantendo regimi di impunità per singoli o imprese, condizionando o piegando agli interessi i sistemi legali. Emblematico l’esempio delle politiche fiscali, spesso sbilanciate da regimi normativi permissivi che sottraggono in molti Paesi risorse vitali per i servizi pubblici, incoraggiando la corruzione e indebolendo la capacità dei governi di combattere povertà e diseguaglianza.
Secondo i dati della ricerca Oxfam Grandi diseguaglianze cresceno, il potere di elite e lobby si estende anche al contesto europeo. Solo nel 2013 sono stati investiti 120 milioni di euro per una schiera di lobbisti capaci di condizionare le politiche del Parlamento e delle istituzioni europee.
Alcune proposte per invertire la rotta ed arginare la diseguaglianza
Se la diseguaglianza è frutto di scelte politiche ed economiche è possibile contrastarla, attraverso un’azione che crei una vasta alleanza di una pluralità di attori e promuova il pubblico interesse. Consapevoli che non esistono soluzioni facili a problemi complessi è però possibile avanzare una serie di proposte concrete per aprire un grande dibattito pubblico che favorisca una vasta mobilitazione di cittadini. Questo è quello che Oxfam si propone di fare con la Campagna “Partire a pari merito” che ci impegnerà nei prossimi, attraverso alcune proposte che qui riassumiamo suddivise per grandi aree tematiche.
• Sul piano dello sviluppo e della cooperazione
– L’interesse pubblico e la lotta alla diseguaglianza estrema dovrebbero essere i principi guida al centro di tutti gli accordi globali e delle politiche interne, parallelamente allo sviluppo di forme e di governance democratica.
Il primo banco di prova sarà l’adozione di una nuova agenda globale nel prossimo settembre per lo sviluppo sostenibile che riguardi tutti i popoli e tutti i paesi, che elimini da qui al 2030 la diseguaglianza estrema. Da accompagnare con l’istituzione di commissioni nazionali per la lotta alla diseguaglianza, la trasparenza e la garanzia elle libertà civili.
– Destinare i finanziamenti per lo sviluppo alla riduzione di povertà e diseguaglianza, rafforzando il patto con i cittadini. La finanza per lo sviluppo, nel suo complesso, oltre all’Aiuto pubblico allo sviluppo (APS), può svolgere un ruolo essenziale per ridurre la diseguaglianza, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, se mira a sostenere la spesa dei governi per i beni pubblici, potenziando al contempo la responsabilità dei governi verso i cittadini. Sono quindi necessari la concentrazione di maggiori investimenti da parte dei Paesi donatori per favorire l’estensione di servizi pubblici essenziali gratuiti, oltre alla valutazione dell’efficacia dei programmi attuati, da parte dei cittadini favorendo il loro protagonismo attraverso la partecipazione democratica.
• Sul piano del lavoro e sociale
– Pagare ai lavoratori un salario dignitoso (salario base) e operare per una riduzione del divario con i compensi senza limitazione dei manager. Promuovere la trasparenza sui sistemi retributivi e la tutela dei diritti di associazione e sciopero.
– Promuovere la parità economica delle donne e i loro diritti attraverso il contrasto della diseguaglianze economiche e di genere. Prevedere inoltre forme di compensazione per il lavoro di cura, pari diritti ereditari e di proprietà, monitorando l’impatto delle politiche verso donne e bambini.
– Istituire una base minima di tutela universale. La tutela sociale riduce la diseguaglianza, e garantisce una rete di sicurezza per i più poveri e vulnerabili. Questa rete deve essere universale e permanente e garantire prioritariamente alcune categorie più esposte come anziani e bambini, prevedendo un insieme di strumenti quali il reddito base garantito, tramite assegni familiari, indennità di disoccupazione e pensioni dignitose.
– Porsi l’obiettivo dell’universalità di alcuni servizi pubblici essenziali entro il 2020. Salute e istruzione sono leve essenziali per colmare il divario tra ricchezza e povertà e il contrasto alle cause della diseguaglianza. Mancati investimenti, contributi crescenti da parte dei cittadini e normative internazionali, che spesso ostacolano il progresso in questa direzione. Una inversione di tendenza deve prevedere, il rispetto degli impegni di spesa sociali, il drastico ridimensionamento e, in alcuni paesi, il blocco dei sussidi per prestazioni sanitarie ed educative al privato profit. Esclusione dei servizi pubblici e dei farmaci dagli accordi commerciali e di investimento.
• Sul piano fiscale
– Dividere equamente il carico fiscale per dare opportunità a tutti i cittadini. Operare attraverso i regimi fiscali per limitare la concentrazione della ricchezza redistribuendo gli oneri squilibrati soprattutto attraverso scelte che reintroducano l’elemento della progressività dell’imposizione fiscale. La progressività è un principio essenziale del patto sociale. In questi ultimi tre decenni la progressività fiscale è diminuita in parallelo all’ incremento delle diseguaglianze.
– Combattere le forma di elusione ed evasione fiscale a livello nazionale e internazionale. Costruire un nuovo sistema di governance fiscale più equa istituendo come proposto dall’ONU, un organismo intergovernativo per la cooperazione fiscale accanto ad un sistema di rendicontazione pubblica “Paese per paese”. In concreto è necessaria l’istituzione di pubblici registri che consenta attraverso uno scambio multilaterale automatico che consenta l’individuazione dei veri proprietari delle imprese. Tale sistema dovrebbe comprendere anche in Paesi in via di sviluppo che non possono fare altrettanto. Questo complesso di provvedimenti, assieme alla lotta ai paradisi fiscali attraverso l’istituzione di una “lista nera” e sanzioni conseguenti per le imprese che vi ricorrono, contribuendo all’affermazione del principio di equità fiscale, che le tasse “si pagano dove si produce”.