L’aumento dell’astensionismo influisce sull’esito della competizione elettorale, ma ha anche conseguenze rispetto al valore democratico dell’uguaglianza o dell’uguale valutazione dei bisogni dei cittadini. In questa fase sarebbe un ottimo risultato se con lungimiranza i partiti e i candidati svolgessero una campagna elettorale basata su argomenti positivi in modo da restituire dignità e valore alla politica

In questo periodo circolano molte ipotesi sull’esito del prossimo confronto elettorale. Si tratta di scenari più o meno verosimili, tuttavia la previsione che ha maggiori probabilità di essere confermata dal risultato elettorale riguarda l’ulteriore declino della partecipazione al voto. Infatti, a partire dal 1979 in Italia l’affluenza alle urne è progressivamente diminuita, fino ad allinearsi sostanzialmente a quella rilevata nella maggior parete dei paesi democratici, come è stato opportunamente rilevato da Gianfranco Zucca nel suo articolo.

In verità, l’Italia resta ancora uno dei paesi in cui gli elettori partecipano in misura maggiore al voto. Tuttavia, il trend è chiaramente declinante. In 37 anni l’affluenza è calata di 21,2 punti essendo passata del 93,4% registrata nel 1976 al 72,2% calcolata con rifermento all’intero corpo elettorale (Italia e circoscrizioni estero) nel 2013. La partecipazione è diminuita dunque di poco più di mezzo punto percentuale all’anno. Il calo sembra accelerare nel corso del tempo. Tra il 2001 e il 2013 l’affluenza alle urne è diminuita di 9,2 punti percentuali. Tra il 2008 e il 2013, in soli cinque anni, è calata di 5,9 punti.

Dunque, l’evoluzione dei tassi di affluenza alle urne segnala una progressiva, crescente estraneità dei cittadini alle consultazioni elettorali. Siamo di fronte ad un doppio paradosso. In primo luogo, come è stato evidenziato da eminenti studiosi, la democrazia non sembra avere più contendenti nel mondo e tuttavia, proprio nei paesi in cui essa è ormai consolidata, si registra una sorta di stanchezza della sua procedura fondamentale. In secondo luogo, per quanto riguarda specificamente il nostro paese, i cittadini sembrano meno interessati alle elezioni proprio mentre le forze politiche – almeno la maggior parte di esse – affermano di attribuire grande importanza agli esiti elettorali.

Ad ogni modo, l’aumento dell’astensionismo nel nostro paese ha una grande rilevanza politica, ma anche scientifica. I numerosi studi ad esso dedicato ci aiutano a comprenderne le cause e a valutarne le conseguenze rispetto al reale funzionamento della democrazia italiana.

Sulla scorta di queste ricerche è possibile individuare tre tipi di astensionismo: forzoso, cronico e intermittente. Ciascuno di essi è in crescita sebbene per ragioni diverse. L’astensionismo forzoso ossia non volontario è dovuto a cause di forza maggiore come la malattia e la lontananza dal luogo di residenza. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento della mobilità temporanea e provvisoria per motivi di lavoro e studio sono le principali dinamiche demografiche alla base della crescita di questo tipo di astensionismo. In particolare la crescita dell’astensionismo deriverebbe anche dall’aumento del numero di persone più anziane che essendo più frequentemente afflitte da malattie hanno maggiori difficoltà a recarsi al seggio per votare.

L’astensionismo cronico deriva da una scelta volontaria, ma non occasionale. Sembra riguardare soprattutto le fasce sociali periferiche o marginali che abbandonano l’arena elettorale per l’assenza o la debolezza di stimoli esterni. Esso può essere collegato quindi alla trasformazione dei partiti i quali hanno progressivamente spostato il baricentro della loro attenzione dalla società alle istituzioni. La capacità dei partiti di comunicare con i settori della società più periferici si è indebolita; di conseguenza, è diminuito il numero di persone che i partiti riescono a coinvolgere e corrispondentemente è aumentato il numero di coloro che sentendosi estranei dalla politica non trovano motivazioni adeguate per votare.

L’astensionismo intermittente è volontario e consapevole poiché deriva da una scelta che i cittadini assumono in base alla valutazione della specifica situazione politica e del contesto elettorale del momento. L’aumento del numero di persone che di volta in volta decide di astenersi o partecipare è testimoniato dalla crescente divaricazione dei tassi di affluenza registrati in occasione delle second order elections. Nel 1976 alle elezioni politiche l’affluenza era stata del 93,7%, nel 1975 alle elezioni regionali era stata del 92,7%. Vi era solo un punto percentuale di differenza, la stessa che emerge con riferimento alle elezioni politiche (90,6%) ed europee del 1979 (89,6%). Al contrario tra le politiche del 2013 (72,2%) e le europee del 2014 (57,2%) si calcola una differenza di ben 15 punti percentuali. Tale divario con le elezioni politiche è ancora più macroscopico (16,2 punti) se si fa riferimento all’affluenza al ciclo di elezioni regionali svoltesi tra il 2012 e il 2015 (55,3%).

Questo crescente divario può essere attribuito alla rilevanza che i cittadini riconoscono ai diversi tipi di consultazione, ma va inserito nel più generale mutamento del rapporto tra i cittadini e la politica. Si tratta di cambiamenti che, come descrive bene Dario Tuorto nel suo articolo, interessano soprattutto i giovani, ma anche le precedenti generazioni. Uno dei principali aspetti riguarda la presa di distanza dai partiti politici. Ne sono testimonianza da un lato la diminuzione di coloro che si sentono vicini ai partiti e, all’opposto, la diffusione tra i cittadini di sentimenti di aperta ostilità verso di essi.

Tuttavia l’aspetto più importante riguarda la propensione dei cittadini ad assumere la propria decisione di voto in autonomia ossia a prescindere dagli stimoli esterni. E come è stato opportunamente riferito da Fabio Bordignon nel suo contributo, un crescente numero di elettori assume la scelta di voto, a cominciare dalla decisione di partecipare alle elezioni, in base alle caratteristiche di una specifica competizione. L’oscillazione tra partecipazione e astensione anche tra due consultazioni dello stesso tipo dipende dal valore che i cittadini attribuiscono al loro voto tenendo conto della competitività e dalla decisività delle elezioni. Le probabilità di prendere parte alle elezioni aumentano se la consultazione è competitiva perché l’esito è incerto e se è decisiva perché si confrontano opzioni tra loro alternative o significativamente differenti.

L’astensionismo intermittente riguarda gli elettori dotati di maggiori risorse o comunque di quelle utili per reperire informazioni sui contenuti e i soggetti presenti nella competizione e per processarle con competenza. Tali risorse possono essere individuali, come il titolo di studio elevato, oppure sociali, come ad esempio l’inserimento in reti e associazioni. A questo proposito non è superfluo ricordare come è stato rilevato che, a parità di altre condizioni, l’affluenza alle urne è più elevata dove si riscontrano quote più consistenti di cittadini che partecipano alle attività delle associazioni di volontariato.

I partiti oltre a rivolgere generici appelli a votare, in alcune circostanze hanno adottato strategie tese a rimobilitare i propri simpatizzanti, fornendo loro specifiche ragioni per recarsi al seggio. E tuttavia i toni prevalenti anche nella campagna elettorale in corso sono più esplicitamente ispirati dalla volontà di denigrare gli avversari con l’obiettivo di smobilitare il potenziale elettorato degli altri partiti. E, a tal proposito, occorre considerare che le reiterate campagne negative hanno rafforzato sentimenti di aperta ostilità verso la politica in generale con l’effetto indiretto, ma non secondario, di disincentivare la partecipazione al voto.

Molti studiosi ritengono che i regimi democratici funzionano bene anche quando i tassi di affluenza alle urne non sono elevati. Tuttavia, il declino della partecipazione al voto ha conseguenze sul funzionamento della democrazia rappresentativa e dunque invoca una “presa di posizione” più incisiva delle ormai rituali dichiarazioni di stupore e di preoccupazione che da più parti vengono espresse dopo le elezioni a fronte di un ulteriore calo dei livelli di affluenza alle urne.

È necessario tenere ben presente che l’aumento dell’astensionismo influisce sull’esito della competizione elettorale, ma ha anche conseguenze rispetto al valore democratico dell’uguaglianza o dell’uguale valutazione dei bisogni dei cittadini. Uno dei principali risultati emersi dalle ricerche è che la propensione all’astensione non si distribuisce in modo uniforme, ma riguarda in misura maggiore le fasce sociali più deprivate. Tra l’altro per i cittadini che appartengono a questi gruppi sociali la partecipazione al voto è la sola modalità di partecipazione politica ovvero l’unico strumento che utilizzano per influenzare la decisione politica. E d’altro canto, i partiti sono sempre più attenti alle esigenze e ai bisogni che prendono voce, non a quelli silenti.

È necessario adottare qualche strategia idonea a tenere elevati i livelli di partecipazione al voto. I fattori che hanno favorito l’aumento dell’astensionismo sono di lungo periodo e di breve periodo. Sembra più complicato incidere sui primi, ma non è impossibile poiché non si tratta di processi ineluttabili e irreversibili. Nel frattempo sarebbe utile adottare “accorgimenti” in grado di interferire con il funzionamento dei fattori di breve periodo. Tra l’altro l’influenza dei fattori di lungo periodo può essere esaltata oppure contenuta da scelte contingenti politiche ed istituzionali.

Esula dagli scopi di questo articolo l’indicazione di “soluzioni” per spingere gli intermittenti a diventare elettori assidui, per strappare gli astensionisti cronici alla loro estraneità dalla politica, per agevolare l’esercizio del voto da parte di coloro che devono affrontare maggiori difficoltà per recarsi al seggio. Ve ne sono alcune positivamente sperimentate in altri paesi e che potrebbero essere introdotte nel nostro paese. Tuttavia, in questa fase sarebbe già un ottimo risultato se con lungimiranza i partiti e i candidati svolgessero una campagna elettorale basata su argomenti “positivi” in modo da restituire dignità e valore alla politica.

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