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Si tende a far dipendere il consolidamento di un ampio fronte di astensione da eventi peculiari, richiamando ragioni come il fallimento della Seconda Repubblica, la personalizzazione della politica e la crisi delle identificazioni partitiche democratico-cristiane e comunista. Tuttavia guardando ai dati relativi ad altri paesi europei si nota che la situazione italiana si contraddistingue per un riallineamento della partecipazione politica su livelli intermedi.

Il rischio che il vero protagonista delle prossime elezioni politiche sia il partito del non voto è molto concreto. Le elezioni del 2013 hanno segnato una discontinuità forte nei tassi di partecipazione elettorale: in Italia per la prima volta nella storia repubblicana un elettore su quattro non si è recato alle urne. Gli analisti elettorali prevedono un’altra flessione dell’indicatore, soprattutto perché mancano gli incentivi alla partecipazione: la sensazione che la tornata del 4 marzo 2018, sia un’elezione di transizione, dalla quale non uscirà una maggioranza di governo forte è abbastanza diffusa. Gli scenari di governi bi-partisan non fanno che smorzare gli entusiasmi residui. Se a ciò si aggiunge che la presenza elettorale del Movimento 5 Stelle non rappresenta più una novità è difficile prevedere un’inversione di tendenza nella flessione della partecipazione elettorale.

Si tende a far dipendere il consolidamento di un ampio fronte di astensione da eventi peculiari, richiamando ragioni come il fallimento della Seconda Repubblica, la personalizzazione della politica e la crisi delle identificazioni partitiche democratico-cristiane e comunista. Tuttavia guardando ai dati relativi ad altri paesi europei si nota che la situazione italiana si contraddistingue per un più banale riallineamento della partecipazione politica su livelli intermedi. In altre parole, le elezioni del 2013 hanno segnato la fine dell’anomalia italiana, e non è detto che ciò sia un male. Uno sguardo ai dati aiuta a capire l’ordinarietà della situazione. Se si considera la percentuale di votanti alle ultime elezioni politiche (Graf. 1) si nota che l’affluenza elettorale presenta degli andamenti molto differenziati: ci sono paesi nei quali è molto elevata e paesi dove invece va a votare circa la metà degli aventi diritto.

Tabella 2.1 – Affluenza elettorale alle ultime elezioni politica

Fonte: elaborazioni su dati EUROSTAT, Voter turnout in national and EU parliamentary elections

 

Sopra la media europea (pari al 69,5%) ci sono 16 paesi, tra i quali anche l’Italia. In cima alla graduatoria si trovano “piccole” democrazie come Malta e Lussemburgo (entrambe con valori superiori al 90%), seguono Belgio, Danimarca e Svezia con percentuali attorno all’85%. In Islanda, Francia, Liechtenstein, Norvegia e a Cipro il dato si attesta poco sopra o poco sotto l’80%. Poi ci sono paesi come Italia, Austria e Olanda nei quali sono andati a votare circa tre elettori su quattro. Il nostro paese, anche in uno scenario di partecipazione declinante rimane tra quelli con la partecipazione più alta, soprattutto se si compara il dato con quanto fatto registrare in altre “grandi” democrazie europee. In Germania alle ultime politiche ha votato il 71,5%, in Spagna il 68,9%, nel Regno Unito il 65,8%, in Grecia il 62,5%, in Portogallo il 58%. In fondo alla classifica invece ci sono gli stati nei quali vota circa un elettore su due: Slovenia, Bulgaria, Svizzera e Polonia. Un primo elemento di riflessione è dato quindi dal fatto che in molti paesi la partecipazione elettorale interessa un segmento limitato di persone, spesso con caratteristiche socio-culturali comuni.

I dati sulle elezioni politiche per quanto indicativi possono risentire delle differenze temporali e della situazione interna al paese. Per cui per approfondire meglio la collocazione dell’Italia è opportuno considerare i dati relativi alle elezioni europee, consultazioni che, oltre ad avvenire nella stessa data, presentano un minor grado di “politicizzazione”. L’Istituto Cattaneo di Bologna ha effettuato alcune elaborazioni sul dato dell’affluenza al voto alle elezioni europee del 22-25 maggio 2014 (Tab. 1). Si considerino solo gli stati membro nei quali si vota per le Europee sin dalla prima edizione di questa consultazione, ossia il 1979.

Tabella 1 – Partecipazione al voto alle elezioni europee per nazione e confronto con le elezioni precedenti (%)

Paese Europee 2014 Differenza 2014-1979
Belgio 90,0 -1,4
Lussemburgo 90,0 1,1
Italia 58,7 -26,9
Danimarca 56,4 8,6
Irlanda 51,6 -12
Germania 47,9 -17,8
Francia 43,5 -17,2
Olanda 37,0 -21,1
Regno Unito 36,0 3,7

Fonte: elaborazioni su dati Istituto Cattaneo 2014: 3

 

Il trend di medio periodo è evidente: in 25 anni in tutti i paesi considerati (fatta eccezione per Belgio e Danimarca), la percentuale di votanti è diminuita in modo significativo, ciò nonostante l’Italia rimane uno dei paesi nei quali si vota di più, anche per le cosiddette elezioni di secondo ordine. Occorre ricordare che le ultime elezioni avrebbero dovuto avere un maggiore incentivo al voto, poiché per la prima volta si poteva esprimere una preferenza, sebbene indiretta, anche per i candidati alla presidenza della Commissione europea.

Guardando ai dati in prospettiva comparata e longitudinale si può affermare che la situazione italiana è caratterizzata da uno sfasamento temporale rispetto a una tendenza consolidata nelle altri grandi democrazie europee. È possibile che nel giro di qualche anno la partecipazione alle elezioni nel nostro paese si allinei a quanto fatto registrare in altre nazioni: il declino pur essendo iniziato dopo sta tenendo ritmi che potrebbero portare l’Italia sui livelli di Francia, Germania e Spagna.  La situazione italiana non è quindi diversa da quella riscontrata altrove, presenta solo una scansione ritardata.

Tra i diversi modi di leggere questo scenario, è persuasiva la considerazione di Nancy Bermeo e Larry Bartels, i quali introducendo un volume comparativo sulle reazioni politiche alla crisi del 2008 fanno notare che, nonostante la portata del fenomeno, non si è avuto nessun rivolgimento politico di altrettanta forza. La protesta è rimasta nell’alveo della democrazia parlamentare, alimentando tutt’al più forze politiche che programmaticamente hanno deciso di assecondare il malcontento: “In molti paesi, le reazioni popolari alla Grande Recessione sono state sorprendentemente mute e moderate […] Non si suggerisce alcun cambio di rotta ideologica o significativo riallineamento politico. Quasi tutti i paesi hanno reagito con delle impressionanti continuità con il passato” (Bartels L, Bormeo N., 2014). Di solito l’astensionismo viene letto attraverso dicotomie come apatia/protesta (Tuorto) oppure ignavia/iracondia (Tuzzi) e se, invece, fosse tutta una questione di rassegnazione?

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