“L’espansione delle conoscenze è irresistibile quanto l’espansione dell’universo. La mente umana non ha la capacità di captare, abbracciare, organizzare la loro crescente immensità. Se può accumularle con dizionari, enciclopedie, Internet, Big Data, e se può o potrebbe ‘algoritmizzarne’ alcune, non potrebbe però abbracciarne il tutto in espansione” (Morin, Conoscenza Ignoranza Mistero, Raffaello Cortina 2018, p. 15).
Ho deciso di iniziare il mio editoriale con questa citazione del grande sociologo e filosofo Edgar Morin – che da molto tempo (ha raggiunto l’età di 97 anni) riflette sul tema della conoscenza – tratta dal suo ultimo libro Conoscenza Ignoranza Mistero. Morin, ancora una volta, ci aiuta ad avere un approccio critico di fronte agli avanzamenti della conoscenza e della tecnologia, che abbia presente il concetto di limite, la luce e l’ombra presente in qualsiasi trasformazione. Un’ombra dinnanzi alla quale è quindi utile (sof)fermarsi, riflettere, pensare per combattere l’ignoranza e guardare al futuro.
Ed è quello che le Acli hanno iniziato a fare con il loro 50° incontro nazionale di studi di Napoli dal titolo “Valore Lavoro. L’umanità del lavoro nell’economia dei robot”, tenutasi nel settembre 2017, ragionando sulle grandi trasformazioni tecnologiche dettate dalla digitalizzazione e dalla automatizzazione, sui profondi cambiamenti che stanno avvenendo nell’economia e nel tessuto sociale. Intorno a queste trasformazioni aleggia un contesto di incertezza anche terminologica, che richiede ai policy maker e agli stessi operatori del diritto un significativo sforzo di analisi per capirne l’impatto sul mercato del lavoro e le forme di tutela da mettere in campo.
Come Acli abbiamo quindi cercato, prima di tutto, di fare chiarezza a livello terminologico operando una distinzione tra il lavoro della gig economy e quello dell’Industria 4.0. Questo percorso ha portato le Acli, nell’agosto del 2018, a realizzare un Dossier sulla Gig economy utile per inquadrare l’attuale dibattito, che sta interessando non solo gli addetti ai lavori ma anche l’opinione pubblica più generale, anche a seguito dell’attenzione politica che ha ricevuto il tema. Parole come “gig economy”, “sharing economy”, “rider” sono ormai entrate nel gergo quotidiano anche dei meno giovani, a rappresentare non solo una modifica delle nostre abitudini sociali ma anche le profonde trasformazioni nel lavoro, o quantomeno nelle sue tradizionali forme.
Ed arriviamo all’ultima tappa, la più recente. Le Acli hanno scelto di dedicare il loro incontro internazionale di Studi – che si è tenuto a Strasburgo dal 13 al 15 novembre 2018 – al tema del digitale nel mondo del lavoro. Con questo incontro dal titolo Il mondo del lavoro digitale. Industry 4.0. Nuove opportunità per i giovani, le Acli hanno posto l’attenzione su diverse questioni: le nuove opportunità e le nuove sfide dell’economia 4.0, la conciliazione lavoro-famiglia e le pari opportunità, il lavoro di cura in Europa, i giovani e il mondo del lavoro digitale. Concludendo i lavori Roberto Rossini, Presidente nazionale ACLI e Presidente FAI, ha affermato significativamente: “Cogliamo le opportunità della nuova rivoluzione industriale senza permettere che ad una maggiore automazione dei processi lavorativi corrisponda una diminuzione dei diritti dei lavoratori e perché, come ha detto oggi stesso il Presidente Mattarella, l’UE garantisca a tutti i suoi figli le stesse opportunità”.
Con il focus di novembre vogliamo inserirci in questo percorso di studio e proposta delle Acli, aprendo una riflessione complessiva sul tema dei cambiamenti nelle professioni che l’economia digitale sta producendo o produrrà. Crediamo infatti che il dibattito scientifico su Industry 4.0 sia stato sin qui dominato dagli aspetti tecnologici e tecnici di quella che è stata indicata come la “quarta rivoluzione industriale”. Poche voci si sono soffermate, quantomeno a un livello adeguato di profondità di analisi, sulla valutazione dei fattori abilitanti dei nuovi processi produttivi.
Sono state realizzate analisi sulle nuove competenze professionali, tecniche e specialistiche e sui relativi percorsi formativi necessari alla digital economy ma spesso sono stati trascurati i fattori di contesto – e anche di struttura di un paradigma produttivo che supera i confini della singola impresa – vale a dire: i sistemi scolastici, formativi e universitari, i sistemi regolatori del lavoro, i sistemi di relazioni industriali e di welfare, nonché le istituzioni (centri per l’impiego, agenzie per il lavoro, fondi interprofessionali per la formazione continua, ecc.) che presidiano l’incontro tra la domanda e l’offerta nel mercato del lavoro, la formazione, la riqualificazione professionale, le politiche attive e di ricollocazione e le connesse transizioni occupazionali.
Con questo approfondimento vogliamo mettere l’accento su tali dimensioni, analizzando le trasformazioni presenti e future delle professioni legate alla digital economy, con un’attenzione proprio a questi fattori di contesto. Riteniamo infatti fondamentale interpretare e indirizzare i cambiamenti in atto governandoli in modo adeguato per riflettere sui limiti e cogliere le opportunità. Per far questo è necessario un disegno complessivo che tenga insieme le politiche attive, le relazioni industriali, il sistema di istruzione e formazione, favorendo un dialogo più stretto tra le necessità delle imprese (relative alle competenze professionali, ai bisogni formativi) il sistema di intermediazione tra domanda-offerta di lavoro e il sistema di istruzione e formazione professionale.
Abbiamo chiesto a diversi esperti di rispondere ad alcune domande di fondo: quali nuove figure professionali stanno nascendo sotto la spinta dell’economia digitale? Quali trasformazioni stanno avvenendo nelle professioni già consolidate? Quali competenze sono maggiormente richieste? Quali nuove competenze devono essere offerte dai sistemi scolastici, universitari e formativi? I sistemi regolativi, di relazioni industriali e di welfare, che ruolo possono giocare nello sviluppo delle nuove professioni? Le istituzioni (centri per l’impiego, agenzie per il lavoro, fondi interprofessionali per la formazione continua, ecc.) che presidiano l’incontro tra la domanda e l’offerta nel mercato del lavoro, la formazione, la riqualificazione professionale, le politiche attive e di ricollocazione che ruolo possono svolgere e devono svolgere per cogliere le opportunità dell’economia digitale? Ed infine, per dirla ancora con Morin, come costruire un sapere ed un’educazione integrata tra gli ambiti umanistico e scientifico, che sviluppi il pensiero critico in vista di un saper vivere bene?
Iniziamo con il contributo del nostro direttore, Leonardo Becchetti (Docente di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”), che osserva come “il combinato disposto di quarta rivoluzione industriale e globalizzazione rende urgenti due politiche. Investimento intelligente in formazione che aiuti i giovani a risalire la scala del talento e ad approdare a quel terzo di popolazione altamente qualificata. Risposta politica al disagio dei due terzi con iniziative che allevino il problema della scarsa dignità del lavoro. (…) Le nuove politiche per il lavoro degno devono agire dal lato della domanda favorendo la diffusione d’informazioni sul rating sociale ed ambientale delle imprese per il voto col portafoglio dei consumatori, costruendo regole di appalto dove gli standard di responsabilità sociale ed ambientale siano decisivi e lavorando sulle imposte sui consumi rimodulate per premiare (penalizzare) le filiere più (meno) sostenibili dal punto di vista della dignità del lavoro”.
Marco Bentivogli (Segretario generale FIM-CISL) dopo aver sottolineato come “la formazione e competenze rappresentino un diritto al futuro” osserva: “Nei prossimi 5 anni serviranno 469mila tecnici specializzati per soddisfare le richieste delle imprese, ma già oggi circa il 33% delle professionalità tecniche risultano introvabili. Tagliare i fondi alla formazione significa non avere chiaro quello che capiterà nei prossimi anni. Nel contratto metalmeccanico abbiamo inserito il diritto soggettivo alla formazione, proprio perché pensiamo che per combattere la skill obsolescence servirà un sistema formativo continuo. In un paese che ha un crescente skill mismatch tagliare sulla formazione vuol dire spianare la strada alla disoccupazione. Il 42% delle imprese metalmeccaniche non trova competenze digitali e il 48% non trova neanche quelle generiche”.
Federico Butera (Presidente Irso – Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi) dopo aver sottolineato come occorrano “nuovi sistemi socio-tecnici, progettati e realizzati integrando le straordinarie innovazioni tecnologiche con soluzioni organizzative di nuova concezione” e “i contributi di competenze e passione delle persone” per rispondere alle sfide dell’Industry 4.0 si sofferma sui cambiamenti che stanno avendo sulle mansioni e sulle professioni. “Il lavoro nella quarta rivoluzione industriale sarà costituito da innumerevoli e cangianti ruoli nuovi o profondamente modificati, generati non da ineluttabili ‘effetti delle tecnologie’ ma da una progettazione capace di costruire ruoli, mestieri e professioni dotati di senso”. Ed aggiunge: “Le nostre ricerche ci inducono a dire che il paradigma dominante del lavoro nella quarta rivoluzione industriale potrà essere quello dei mestieri e professioni dei servizi a banda larga (broadband service professions). Servizi, quelli resi al cliente finale o alle strutture interne dell’organizzazione; a banda larga, perché questi mestieri e professioni devono poter contenere una altissima varietà di attività per contenuto, livello, background formativo. Questo modello permette alle persone di passare da un ruolo all’altro senza perdere l’identità e può aiutare le istituzioni e l’organizzazione a pianificare l’istruzione e la mobilità.
Claudio Gagliardi (Vice Segretario generale di Unioncamere – Area Politiche Attive del Lavoro) sottolinea che “in uno scenario dove accanto all’evoluzione delle competenze si registrano importanti disallineamenti fra domanda e offerta di lavoro, diventano sempre più strategiche le politiche per l’education: dalla formazione professionale alla scuola e fino alla formazione terziaria, la sfida da raccogliere è quella dell’innovazione in chiave digitale tanto dei contenuti e che della didattica, integrando inevitabilmente l’apprendimento formale con l’apprendimento in contesto lavorativo, e investendo a tutti i livelli del sistema formativo per l’aggiornamento continuo delle competenze dei lavoratori”.
Maurizio Sorcioni (Responsabile Direzione Knowledge di ANPAL Servizi) rivela “come il confronto con l’Europa mostri inequivocabilmente che la domanda di digital skills nel nostro paese è ancora debole” osservando come sia necessario “riflettere sulle enormi diseconomie generate dai ritardi nello sviluppo delle competenze digitali sia rispetto alla crescita delle diseguaglianze sia nel depotenziamento della capacità competitiva del sistema produttivo. Per questo sarebbe utile pensare politiche integrate che combinino il rafforzamento dell’offerta formativa, il sostegno alla domanda di competenze tecniche e tecnologiche delle imprese con i diversi programmi di sviluppo (tra cui industria 4.0) già oggi in essere“.
Ivana Pais (Docente di Sociologia economica dell’Università Cattolica di Milano) sottolinea come “la diffusione delle piattaforme digitali per l’incontro tra domanda e offerta di beni e servizi ha rafforzato una tendenza in atto già dalla prima industrializzazione: la parcellizzazione delle attività con conseguenze inevitabili sulla divisione del lavoro, sia tecnico che sociale. E le piattaforme digitale introducono anche un’importante discontinuità: alla divisione delle attività si accompagna la loro scomposizione. La diffusione dei lavoratori “on tap”, alla spina, oggi riguarda ogni tipo di lavoro”.
Michele Faioli (Docente di Diritto del lavoro presso l’Università di Roma Tor Vergata e l’Università Cattolica – sede di Roma e Coordinatore scientifico della “SERI-Scuola Europea di Relazioni Industriali”) osserva che “l’algoritmo sta definendo la nostra condizione umana, la nostra posizione professionale, e, per tanti versi, anche la nostra situazione personale nel diritto. Si rovescia la prospettiva a cui siamo abituati. Siamo cyborg che sono “anche” cittadini e lavoratori, non più solo cittadini/lavoratori che maneggiano utensili digitali. Siamo, infatti, cyborg ogni volta che interagiamo con tali utensili. Siamo cyborg perché il digitale è ubiquo: c’è l’internet dei corpi e delle cose che si interfaccia con l’internet degli spazi pubblici e privati”.
Giuseppe Longhi (Responsabile Dipartimento Produzione e Sviluppo Fondazione Enaip Lombardia) rileva come “le istituzioni formative non possono pensare di tenere il passo con l’innovazione tecnologica. Il cambiamento ha ritmi troppo rapidi, le soluzioni più innovative e di successo nascono spesso sul campo, per ibridazione e per contaminazione di esperienze e dagli investimenti in ricerca applicata. La capacità di intercettare e rispondere ai fabbisogni professionali di nuove competenze e la necessità di ridurre il gap tra velocità dell’innovazione nel mercato e velocità dell’apprendimento rappresentano per le istituzioni formative due fattori chiave per gestire il cambiamento in atto”.
Tags: conoscenza Digital economy formazione Formazione professionale Industria 4.0