Tecnologie abilitanti e organizzazione
L’automazione 2.0 e 3.0 non è mai stata solo sostituzione di lavoro umano ma creazione di nuovi sistemi di produzione. La base del concetto di Industria 4.0 è considerata la smart factory, o automazione digitale. Essa adotta su larga scala tecnologie di sostituzione del lavoro operativo umano come la robotica avanzata o le tecnologie che eliminano intere fasi di produzione come le tecnologie additive. Ma il suo fattore distintivo è in realtà la digitalizzazione dell’intero sistema di produzione: la fabbrica è strutturata in moduli, i Cyber Physical Systems (CPS) che monitorano i processi fisici e che creano una copia virtuale del mondo fisico e producono decisioni decentralizzate. Attraverso l’Internet of Things (IoT), i CPS poi comunicano e cooperano tra di loro e con gli esseri umani in tempo reale e attraverso l’Internet of Services (IoS), vengono offerti servizi sia alle unità organizzative interne che ad altre organizzazioni.
Vi è un’ampia adozione dell’intelligenza artificiale, che attiva processi di apprendimento automatico (machine learning) ottimizzando in modo costante i processi produttivi. Queste tecnologie digitali sono residenti su tecnologie cloud e si basano sull’impiego diffuso di big data. In sintesi le tecnologie abilitanti consentono un livello senza precedenti di connessione fra le varie fasi del processo di produzione, distribuzione e consumo.
Perché tutto questo avvenga, la tecnologia non basta: occorrono strategie di impresa centrate su nuovi prodotti e servizi; occorrono strategie centrate sui clienti; occorre configurare reti organizzative planetarie che condividano obiettivi, processi, cultura; occorrono unità organizzative flessibili basate su processi e su progetti; occorrono sistemi di coordinamento e controllo non solo gerarchici ma basati sull’adattamento reciproco; occorre un nuovo sistema cognitivo; occorre una nuova cultura ed etica dell’impresa; e molto altro che non è fatto di bit e byte. Quindi, in sintesi, occorrono nuovi sistemi socio-tecnici, progettati e realizzati integrando le straordinarie innovazioni tecnologiche con soluzioni organizzative di nuova concezione: occorrono contributi di competenze e passione delle persone.
I concetti chiave del lavoro del futuro
Il nuovo modello del lavoro che già si profila sarà basato su conoscenza e responsabilità. Le diversissime attività contenute nei lavori vecchi e nuovi della quarta rivoluzione industriale hanno alcuni elementi in comune: producono conoscenza per mezzo di conoscenza, forniscono output economicamente e socialmente molto tangibili, ossia servizi ad alto valore per gli utenti finali (persone, famiglie, imprese) oppure servizi per la produzione a strutture interne alle organizzazioni (terziario interno). Quando l’output è una relazione di servizio essa consiste in conoscenze contestualizzate e personalizzate per fornire un servizio a una specifica classe di utenti (per es. un consulto medico, un parere legale, una lezione, un articolo giornalistico, etc.).
La componente di base dei mestieri e professioni sono i “ruoli aperti”. Questi ruoli non sono le mansioni prescritte nel taylor-fordismo ma “copioni” che divengono “ruoli agiti” allorché vengono animati, interpretati e arricchiti dagli attori reali, ossia dalle persone vere all’interno delle loro organizzazioni o del loro contesti, le quali esercitano la loro “maestrìa”. Il lavoro nella quarta rivoluzione industriale sarà costituito da innumerevoli e cangianti ruoli nuovi o profondamente modificati, generati non da ineluttabili “effetti delle tecnologie” ma da una progettazione capace di costruire ruoli, mestieri e professioni dotati di senso.
Il programma italiano Industry 4.0 non solo ha bisogno di questi ruoli ma li sta già generando: i testi di Micelli, Magone e Mazali, Berta, Granelli, Segantini narrano storie di un lavoro nuovo che è già qui. Ma come sarà possibile per le persone mantenere e sviluppare una work identity, come sarà possibile per i policy makers programmare il mercato del lavoro e la scuola, in un contesto in cui mansioni regolamentate, profili definiti da curriculum scolastici, mestieri consolidati, professioni ordinistiche verranno rapidamente resi obsoleti e sostituiti con altri che non hanno ancora nome?
Conosciamo già un dispositivo che consente di portare ad unità diversissimi lavori fortemente differenziati per livelli di responsabilità, di remunerazione, di seniority: quello dei mestieri (ahimè in gran parte distrutti dalla rivoluzione taylor-fordista) e delle professioni (ahimè ristrette entro i confini degli ordini professionali: medici, giornalisti, ingegneri, geometri ecc.).
Le nostre ricerche ci inducono a dire che il paradigma dominante del lavoro nella quarta rivoluzione industriale potrà essere quello dei mestieri e professioni dei servizi a banda larga (broadband service professions). Servizi, quelli resi al cliente finale o alle strutture interne dell’organizzazione; a banda larga, perché questi mestieri e professioni devono poter contenere una altissima varietà di attività per contenuto, livello, background formativo. Questo modello permette alle persone di passare da un ruolo all’altro senza perdere l’identità e può aiutare le istituzioni e l’organizzazione a pianificare l’istruzione e la mobilità.
Degli “architetti di sistemi sociotecnici” e delle professioni in esse contenute abbiamo parlato: ad esempio quelle del knowledge owner di una funzione aziendale, del manager di impresa, dell’imprenditore, del consulente, del professore universitario, ecc., ciascuna di esse capaci di diverse “specializzazioni” e anche di cambiare rapidamente “specializzazione”. Per quanto riguarda i tecnici e i professional, alcuni mestieri e professioni saranno specifici per settori. Per esempio nel settore abbigliamento mestieri come modellisti, stilisti, sarti, tecnici del taglio delle confezioni, tecnici del rammendo. Altri saranno trasversali come i venditori di servizi; i progettisti customizzatori; i tecnico-commerciali; i tecnici informatici; i professionisti dei social media; i capi intermedi come coach capaci di insegnare a imparare; i project leader e coordinatori capace di fare e far sapere; i professionisti negli acquisti di materie prime a livello globale; i tecnici di logistica integrata; i tecnici di controllo delle gestione economica e del benessere organizzativo; i tecnici corporate con piena conoscenza linguistica in grado di muoversi globalmente. Per essi lo sviluppo degli ITS (Istituti Tecnici Superiori) e delle lauree professionalizzanti sono uno dei terreni di sviluppo di new jobs e new skills.
Questi mestieri e professioni non copriranno ovviamente tutto il mondo del lavoro ma rappresenteranno il posizionamento baricentrico, come gli artigiani lo furono nel rinascimento, i liberi professionisti nel 700, gli operai di fabbrica nella rivoluzione industriale. È un “futuro professionale” quello che qui intravediamo. Esso, per essere attuato su larga scala, richiede un processo di job design e di progettazione formativa innovativo, che i policy makers non potranno non attivare anche beneficiando di esperienze già attuate nelle imprese italiane e internazionali e nelle migliori istituzioni formative. Ma, ammesso che si delinei e si strutturi un “futuro professionale” possibile e che esso sia lo scenario su cui si progetteranno i new jobs e le new skills, sorgono a questo punto due domande. Ci sarà lavoro per tutti? Chi e come progetterà e svilupperà le nuove organizzazioni e il nuovo lavoro? Rimandiamo su questo tema complesso ai lavori che ho sviluppato di recente* e alla iniziativa della Community Progettare Insieme. Tecnologia Organizzazione Lavoro.
La formazione tecnica superiore come area di formazione di professioni a banda larga
In questa prospettiva le Fondazioni ITS non tenderanno a sviluppare profili ristretti, mansioni super specialistiche destinate ad essere rapidamente superate dall’evoluzione tecnologica e organizzativa, ma piuttosto “mestieri e professioni a banda larga ad alto livello di conoscenze, competenze e capacità trasferibili e al tempo stesso ad alto livello di specializzazione” che includano una varietà di tali specialismi e soprattutto siano in grado di evolvere rispetto ai cambiamenti. E soprattutto a progetare insieme lavoro e competenze, new jobs and new skills. Le Fondazioni ITS infatti stanno operando come laboratori di progettazione, condotte in collaborazione fra il mondo delle imprese e il mondo della scuola e dell’università (cfr. Federico Butera e Sebastiano Di Guardo, Costi e benefici della partecipazione delle imprese ai progetti ITS, Assolombarda, Quaderno 05, 2017).
Essi si formeranno a svolgere sia il lavoro a base artigiana, sia il lavoro svolto su conoscenze simboliche, sia il lavoro di supervisione, ossia “lavori della conoscenza” in tutte le sue accezioni e a tutti i livelli di competenza.
Gli ITS quindi identificheranno sempre più, con il contributo delle imprese e delle istituzioni, mestieri e professioni che rappresentino campi professionali estesi e le loro articolazioni per settore e specializzazione, disegnate in modo da assicurare identità alle persone e gestibilità da parte delle imprese e del sistema educativo. Ciascuno di tali mestieri e professioni comprende una grande varietà di ruoli a diversi livelli e con diversi contenuti ma tutti caratterizzati da forte conoscenza delle teorie e delle tecniche del campo professionale, da competenze operative specifiche eccellenti, dal dominio delle tecnologie digitali, dal problem solving e dalla creatività, soprattutto dalla capacità di cooperazione, condivisione delle conoscenze, di comunicazione estesa e di promuovere comunità.
Questi mestieri e professioni hanno alcuni requisiti in comune, a cui corrisponderà una fase della didattica comune ai vari settori e specializzazioni ben differenziate: conoscenze di base (per esempio matematica, tecnologia, logica, storia dell’arte, lingue ecc.), capacità di base (design thinking, project work, team work, ecc.), attitudini e abitudini (disponibilità a svolgere anche compiti umili, padronanza di lavori manuali, tensione ad accrescere la professionalità, contribuire al lavoro organizzato, passione per il ben fatto, dedizione al cliente e soprattutto passione per il cliente).
Questi mestieri e professioni hanno ovviamente declinazioni molto diverse per settore (meccanica, arredo, moda, alimentare e altro) e per area funzionale (design, manufacturing, logistica, ICT, ecc.): ogni scuola dedica laboratori e tirocini molto differenziati possibilmente in azienda. Essi saranno articolati in base alle esigenze delle imprese espresse il meno possibile in termini di profili marmorizzati ma in termini di “ruoli professionali specifici richiesti”, ossia da: a) attività cognitive e operative specifiche (tasks); b) risultati e performances attese; c) competenze e capacità richieste e agite; d) relazioni con altri, con l’organizzazione, con le tecnologie.
L’ITS prepara a professioni a larga banda, che sono un percorso che include lavori umili e lavori complessi, fasi di apprendistato e fasi di responsabilità importanti, mobilità territoriale e aziendale abilitante, riconoscimento delle qualità umane e professionali. L’ITS, se ben gestito, concilia tecnica e cultura, teoria e pratica, formazione della persona e formazione alla professione. Un contributo a superare la crociana tradizionale contrapposizione fra scuole “che insegnano a pensare” (ad es il liceo classico, le università generaliste) e scuole che “insegnano a fare” (IFP, IT).
* Per approfondire si vedano i seguenti lavori di Federico Butera: L’evoluzione del mondo del lavoro e il ruolo della istruzione e formazione tecnica superiore, in Professionalità Studi, 1, 2017; Lavoro e organizzazione nella quarta rivoluzione industriale: la nuova progettazione socio-tecnica, in L’Industria, n. 3, luglio-settembre 2017; “Industria 4.0. come progettazione partecipata di sistemi socio-tecnici in rete”, in Le trasformazioni delle attività lavorative nella IV Rivoluzione Industriale a cura di A. Cipriani, A. Gramolati, G. Mari , Firenze University Press; I tre pilastri della quarta rivoluzione industriale, in Harvard Business Review Italia, Gennaio 2018.
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