Una guerra ha molti drammatici effetti collaterali: sulle persone, con seri rischi sulla propria sopravvivenza, diffusione della fame, aumento dell’impoverimento, migrazioni in cerca di rifugio; e sull’ambiente, con devastazione, degrado e inquinamento. La guerra in Ucraina dimostra che, sempre di più, abbiamo bisogno di idee, politiche e azioni condivise per la pace tra gli uomini e la salvaguardia del “bene comune” pianeta che, pure questo dovrebbe esser superfluo ricordare, è la salvaguardia di noi stessi

Una guerra ha molti drammatici effetti collaterali: sulle persone, con seri rischi sulla propria sopravvivenza, diffusione della fame, aumento dell’impoverimento, migrazioni in cerca di rifugio; e sull’ambiente, con devastazione, degrado e inquinamento. Tutto ciò accade, ovviamente, nel luogo ove la guerra si svolge, ma anche – spesso con connessioni non sempre immediatamente evidenti – in posti geograficamente lontani. La guerra in Ucraina, come ha giustamente fatto notare Papa Francesco nel suo messaggio per la giornata mondiale della pace, non fa eccezione: “miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante”.

Uno degli effetti collaterali della guerra in Ucraina, destinato a diffondersi geograficamente oltre le frontiere del conflitto, riguarda il crollo del traffico di navi adibite a trasportare grano e altri cereali di produzione ucraina a seguito dell’imposizione del blocco navale da parte dalla Russia dopo la sua invasione in territorio ucraino. La pressione diplomatica internazionale su Mosca ha permesso il passaggio di alcune navi, ma il blocco continua a limitare la maggior parte delle spedizioni dall’Ucraina, che insieme alla Russia prima della guerra esportava un quarto del grano mondiale. Inoltre, nei pochi porti ucraini operativi, gli attacchi missilistici e dei droni russi alla rete energetica ucraina paralizzano sistematicamente i terminali dove grano e mais vengono caricati sulle navi.

Una delle principali conseguenze dell’invasione russa è, dunque, una crisi alimentare globale duratura, che ha come effetti collaterali fame diffusa, povertà endemica e morti premature. Il sistema internazionale, soprattutto Occidentale, sta tentando di ridurre i danni supportando gli agricoltori ucraini nell’esportare il cibo attraverso le reti ferroviarie e stradali che collegano l’Europa orientale e le chiatte che navigano il fiume Danubio. Malgrado ciò, lungo le rive del Bosforo – lo stretto che a Istambul collega il Mar Nero con altri quadranti geografici del mondo – il ridotto numero di navi ucraine con a bordo il grano, subisce comunque ritardi a cause delle ispezioni, prima di poter salpare verso le diverse destinazioni.

L’arrivo dell’inverno profondo e gli assalti della Russia alle infrastrutture ucraine non fanno altro che inasprire la crisi. La carenza di cibo è già aggravata dalla siccità nel Corno d’Africa e dal clima insolitamente rigido in altre parti del mondo. Il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite stima che oltre 345 milioni di persone soffrano o siano a rischio di insicurezza alimentare acuta, più del doppio rispetto al 2019.

La carenza di cibo e i prezzi elevati stanno causando forti sofferenze un po’ dappertutto. Queste problematiche acuiscono, per esempio, la situazione già drammatica di paesi come Afghanistan e Yemen, devastati da anni di conflitti. Altri paesi importatori di cibo, come Egitto e Libano, hanno difficoltà a pagare i loro debiti a causa dell’impennata dei costi. Ma anche in Paesi ricchi, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, l’impennata dell’inflazione, causata in parte dallo scatenarsi della guerra in Ucraina, ha lasciato i più poveri senza abbastanza da mangiare.

Gli stessi ucraini, che naturalmente vivono le più dirette e disparate terribili conseguenze dell’invasione russa, paragonano ciò che sta accadendo per quanto riguarda il cibo all’Holodomor, il nome attribuito alla grande carestia inflitta dalle politiche del regime di Stalin esattamente 90 anni fa tra il 1932 e il 1933, che costò la vita ad almeno 3,5 milioni di persone. Il 23 ottobre 2008 il Parlamento europeo ha, infatti, adottato una risoluzione nella quale ha riconosciuto l’Holodomor come un crimine contro l’umanità.

Oltre a ciò che stanno subendo gli ucraini, le correnti ostilità in Ucraina hanno avuto, come detto, un forte impatto anche nel resto del mondo. Da marzo a novembre dello scorso anno, l’Ucraina ha esportato una media di 3,5 milioni di tonnellate di cereali e semi oleosi al mese, un calo vertiginoso rispetto ai cinque-sette milioni di tonnellate al mese che esportava prima dell’inizio della guerra a febbraio, secondo i dati del Ministero della Politica Agraria e dell’Alimentazione del Paese. Questo numero sarebbe ancora più basso se non fosse per un accordo stipulato a luglio 2022 tra le Nazioni Unite, la Turchia, la Russia e l’Ucraina, chiamato “Iniziativa per i cereali del Mar Nero”, in cui la Russia ha accettato di consentire le esportazioni da tre porti marittimi ucraini. La Russia, comunque, continua a bloccare 7 dei 13 porti utilizzati dall’Ucraina. Va ricordato che l’Ucraina ha 18 porti, ma 5 sono in Crimea, che la Russia ha conquistato nel 2014.

Inoltre, l’attuale interruzione, più o meno intenzionale, delle forniture alimentari globali da parte della Russia pone un ulteriore problema. Accanto a ciò, anche le vendite di fertilizzanti, necessari agli agricoltori di tutto il mondo, sono bloccate. Prima della guerra, la Russia era il più grande esportatore di fertilizzanti. Va ricordato che l’anno scorso, altri impianti di fertilizzanti in Europa sono stati costretti a chiudere o a rallentare la produzione a causa dell’impennata dei prezzi del gas naturale, conseguenza della guerra. Il gas naturale è fondamentale per la produzione di fertilizzanti.

Gli aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari nell’ultimo anno sono quindi una diretta conseguenza di ciò che sta accadendo in un’area geografica, quella russo-ucraina, che da sola, come detto, produce circa un quarto del grano al mondo. Questi aumenti sono stati particolarmente forti in Medio Oriente, Nord Africa e Sud America, ma in realtà nessuna regione ne è stata immune, come da “effetto farfalla” – l’idea che variazioni, anche piccole, nelle condizioni iniziali in una parte del sistema possano produrre grandi variazioni nel comportamento a lungo termine del sistema stesso – in un mondo sempre più, che ci piaccia o meno, interconnesso e interdipendente.

Già prima della guerra, i prezzi dei prodotti alimentari erano saliti ai livelli più alti a causa delle interruzioni pandemiche della catena di approvvigionamento e della siccità dilagante. Gli Stati Uniti, il Brasile e l’Argentina, altri produttori chiave di cereali a livello mondiale, hanno infatti vissuto tre anni consecutivi di siccità. Il livello del fiume Mississippi si è abbassato a tal punto che le chiatte che trasportano il grano americano verso i porti sono state temporaneamente bloccate. L’indebolimento poi di molte valute estere rispetto al dollaro statunitense ha inoltre costretto alcuni Paesi a comprare meno cibo sul mercato internazionale rispetto agli anni passati. Insomma, la guerra si è innestata su altri problemi strutturali creando la più classica delle “tempeste perfette” fatta da eventi umani e naturali, questi ultimi in buona parte provocati da azioni dell’uomo.

Ove ve ne fosse ancora bisogno, anche questa guerra dimostra che, sempre di più, abbiamo bisogno di idee, politiche e azioni condivise per la pace tra gli uomini e la salvaguardia del “bene comune” pianeta che, pure questo dovrebbe esser superfluo ricordare, è la salvaguardia di noi stessi.

 

Letture consigliate

Giordano A., Lucenti F. (2021), «La geopolitica russa del cibo, limiti e prospettive. La produzione alimentare russa nel passaggio dall’economia pianificata a quella di mercato», in Bollettino della Società Geografica Italiana, Vol. 4, N. 1, pp. 19-32.

Giordano A., Lucenti F. (2018), «Il cibo come strumento di pressione geopolitica: il caso russo-ucraino», in Bollettino della Società Geografica Italiana, Vol. 1, N. 1, pp. 168–180.

Giordano A. (2013), «L’insostenibile nesso prezzi agricoli, crisi alimentari e migrazioni», in Bollettino della Società Geografica Italiana, numero monografico “Sostenibilità alimentare e prezzi agricoli” a cura di Giordano A., Belluso R., Vol. VI, N. 1, pp. 77–99.

 

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