Riconoscimento reciproco tra le religioni
In un tempo segnato dall’incertezza che la pandemia ci ha fatto riscoprire e che la guerra ha accentuato, parlare del fatto religioso sembrerebbe rimandare a qualcosa di consolatorio o di magico, un po’ come l’ultima spiaggia dove trovare pace.
Invece siamo qui a parlarne come una via possibile di dialogo e di fratellanza. Perché? Prima che per determinate idee o dottrine, che spesso hanno diviso, ne parliamo proprio come un cammino fatto insieme. Dove spesso la religione è stata occasione di contrapposizione e persino di guerre sanguinose, oggi parliamo di un’esperienza nuova da fare insieme. Ciò richiede il riconoscimento reciproco tra persone di religioni diverse: l’altro non è il male, da rifiutare se non eliminare. Riconosco e stimo nella esperienza religiosa dell’altro una realtà buona, che tocca l’intimo della persona, fino a plasmarne la mente e il cuore.
L’assenza di questo riconoscimento reciproco ha costituito per lunghi secoli l’impedimento più grande a cammini di pace. Riconoscimento non vuol dire che banalmente “siamo tutti uguali”. Qualsiasi religione ha la “pretesa” della verità, riconosce cioè di essere portatrice di un elemento decisivo per la vita degli uomini, in linguaggio cristiano “salvezza”. Non possiamo chiedere di rinunciarvi, per diluirsi in una sorta di indistinto sentimento religioso. Anche perché, se ciascuno non è ben radicato in ciò che crede e da forma alla sua esistenza, non può realmente incontrare l’altro come altro e promuoverne la dignità, riconoscerlo.
Si tratta di riconoscere quell’ “umano” comune che ci lega e che è radicato in un’appartenenza più grande, quel Mistero di cui siamo cercatori prima che possessori e tantomeno “gestori”. Le religioni possono diventare un cammino di dialogo e di fratellanza se ciascuno vive realmente la dimensione religiosa a partire dalla sua interiorità rivolta al Mistero e non mossa da identità etniche, politiche e religiose assolutizzate “contro” l’altro.
La Chiesa Cattolica ha fatto questo passo nel Concilio Vaticano II, quando nel 1965 con la Dichiarazione Dignitatis Humanae ha maturato definitivamente che: «Il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società» [1].
Libertà religiosa significa riconoscimento che il fatto religioso appartiene all’intima costituzione della persona umana e non può essere misconosciuto, oppresso o strumentalizzato. E vale anche tra religioni diverse e non solo verso lo Stato civile. A sessant’anni dal Vaticano II molte cose sono cambiare ed è quest’ultimo aspetto ad affermarsi di più. Infatti, “Le diverse forme di appartenenza religiosa incidono in modo nuovo sulla costituzione dell’identità personale, sull’interpretazione del legame sociale e sulla ricerca del bene comune” [2].
È a questo livello che esse sono chiamate a rendere possibile un cammino di dialogo e fratellanza. La via non è quella di negare le differenze reciproche, spesso incolmabili, quanto di riconoscere l’essenziale comune e che appartenenti ad altre tradizioni religiose non sono immersi semplicemente nelle tenebre dell’errore, ma, nella sincerità della loro coscienza, sono viandanti in ricerca della verità. Questo apre cammini di dialogo e fratellanza. Papa Francesco ha detto bene: «Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza. Come hanno insegnato i Vescovi dell’India, “l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore”» [3].
Una via essenziale per questo riconoscimento è quanto “Il cristianesimo – il cattolicesimo in modo specifico, e proprio con il sigillo del Concilio – ha concepito una linea di sviluppo della sua qualità religiosa che passa attraverso il ripudio di ogni tentativo di strumentalizzare il potere politico, sia pure praticato in vista di un proselitismo della fede” [4]. Non c’è un passo indietro al riguardo e va maturato anche con le altre religioni e fa parte del cammino comune, lento ma costante.
San Francesco e il Sultano
Il singolare incontro tra Frate Francesco e il Sultano Al Malik sul campo di battaglia tra Saraceni e Crociati a Damietta in Egitto, è un precedente unico.
Infatti, in un tempo di contrapposizione totale, questi due uomini sinceramente credenti, sono attenti all’incontro che permette a ciascuno di scoprire nell’altro una persona credente. Frate Francesco oltrepassa la barriera costituita dalla radicale differenza religiosa e dalle strumentalizzazioni politiche della religione per fini di conquista e di dominio. Certamente si porta nel campo nemico per annunciare il Vangelo al Sultano, ma è pronto e aperto all’incontro e, soprattutto, ci va disarmato. Trova in Al Malik un uomo sensibile e tra i due avviene qualcosa che non converte nessuno, ma apre una strada nuova. Francesco manderà i suoi fratelli a vivere tra gli “infedeli”, indicando loro la via della mitezza e del restare sottomessi a ogni creatura per amore di Dio [5]. Solo un’autentica ricerca di fede permette questo e vince la violenza di un campo di battaglia dove ciascuno voleva la distruzione dell’altro. Poi lo scontro tra le armate cristiane e saracene ci fu e si dimostrò sanguinoso. Frate Francesco ha perso e anche Al Malik, ma entrambi hanno aperto un cammino di dialogo e di fratellanza che continua a ispirarci.
Alcune parole chiave per cammini di dialogo
Nel suo Messaggio per la 56ma Giornata della Pace, Papa Francesco indica alcuni passi. Mi sembra di poter ricavare da questo testo alcune parole chiavi per nutrire un cammino di dialogo e di fratellanza aperto dalle religioni.
Vigilanza
La pandemia prima e la guerra poi ci hanno invitato “a restare svegli, a non rinchiuderci nella paura, nel dolore o nella rassegnazione … ma ad essere invece come sentinelle capaci di vegliare e di cogliere le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più̀ buie”[6].
Ogni fede trova è chiamata a esercitare vigilanza su se stessa per non piegare la religione a strumento del regno e restare invece a contatto con la sua originaria sorgente trascendente. Pensiamo quanto questo ha a che fare con le forme di fondamentalismo e di radicalizzazione, prive di autentica dimensione religiosa.
Fragilità e fratellanza umana
“Di certo, avendo toccato con mano la fragilità̀ che contraddistingue la realtà̀ umana e la nostra esistenza personale, possiamo dire che la più̀ grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più̀ grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può̀ salvarsi da solo. È urgente dunque ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana” [7].
La contrapposizione tra religioni ha sempre fatto riferimento alla forza e al potere di ciascuno, alla superiorità sull’altro. Qui si parla di fragilità appresa in questo tempo come via per l’incontro e la fratellanza. A ciascuna fede è chiesto un salto di qualità nel suo approfondimento autenticamente religioso e quindi umano.
Responsabilità e compassione
Sono proprio queste le due parole che raccolgono il nucleo di quanto ho cercato di dire. Esse sono profondamente radicate in ogni credo religioso e non possiamo tenerle solo per noi, ma vanno condivise come patrimonio ed esperienza comune, in modo da cercare insieme come declinarle nell’oggi della storia. Sono parole anche da consegnare alla politica per uno scatto in avanti davanti al dramma della guerra. Alimentare un senso profondamente “politico”, rivolto cioè al bene comune, della responsabilità verso l’essere umano e le future generazioni è il compito che le religioni possono sostenere imparando ad incontrarsi e a camminare insieme.
Note
[1] Dichiarazione Dignitatis Humanae, 2°.
[2] Commissione Teologica Internazionale, La Libertà religiosa per il bene di tutti. Approccio teologico alle sfide contemporanee, Roma 26 aprile 2019, n. 2.
[3] Papa Francesco, Fratelli Tutti, Lettera Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, 2020, n. 271.
[4] Commissione Teologica Internazionale, La Libertà religiosa per il bene di tutti, n. 8.
[5] Regola non bollata 16, 6-10: FF 43: “I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (1Pt 2,13) e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non rinascerà per acqua e Spirito Santo non potrà entrare nel regno di Dio (Gv 3,5)”.
[6] Messaggio n. 1.
[7] Messaggio n. 3.
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