Tra i temi affrontati dalla 48a Settimana sociale dei cattolici italiani – tenutasi la scorsa settimana a Cagliari – una sottolineatura importante è stata fatta rispetto alla questione formativa, sollecitando un dibattito su come innescare un dialogo virtuoso tra mondo della scuola e mondo del lavoro. Si è parlato di alternanza, di orientamento, di percorsi professionalizzanti, senza dubbio, ma soprattutto della necessità di virtù etiche e capacità relazionali (quelle che l’esterofilia dilagante ama chiamare soft skills).
Missione della scuola, si sa, è quella di preparare i giovani alla vita, fornendo loro conoscenze e competenze che sole consentono di mettersi in gioco con libertà e autonomia. Preparare alla vita e preparare al mondo del lavoro, però, non sono due partite separate. Non solo perché il lavoro rappresenta un imprescindibile ambito di vita; quello nel quale maturiamo il senso del nostro stare al mondo e ci realizziamo mettendo a frutto i nostri talenti.
Vita e lavoro si intrecciano perché ciò che da gusto alle nostre giornate – la capacità di intessere relazioni autentiche con le persone, la positività rispetto al nuovo, la capacità di essere generativi – è esattamente ciò che serve, oggi più che mai, al mondo del lavoro. Bisogna pertanto riscoprire il senso umano del lavoro, favorendo una riflessione attorno al “per cosa” e al “per chi” lavoriamo: solo per arredare nel modo più comodo l’isola del nostro egoismo, oppure per costruire assieme un progetto comune?
I nostri ragazzi studiano per lavori che, probabilmente, non faranno mai o che presto si modificheranno in modo radicale; devono quindi far pace con l’idea che entreranno (speriamo!) in un mono del lavoro che cambierà velocemente sotto i loro occhi e sotto le loro mani. Per prevenire i rischi dell‘obsolescenza delle competenze dovranno quindi “imparare ad imparare”, coltivando capacità critiche, curiosità per il nuovo e voglia di rimettersi costantemente in gioco. E questa è una sfida impegnativa non solo per loro, ma anche per gli insegnanti che dovranno accompagnare questo percorso di crescita integrale.
Centrale si rivela allora la capacità di alimentare e sostenere il desiderio di conoscere, la curiosità nei confronti del nuovo, di non sentirsi mai “arrivati”. Va allenato il gusto della sfida, a cui la vita costantemente chiama. Perché vivere – vivere in senso pieno – è un’esperienza rischiosa e difficile, ma bellissima. Bisogna quindi educare i giovani al coraggio del nuovo: sia esso inteso come l’inatteso e l’imprevisto, sia esso inteso come il nuovo da costruire, senza nostalgie per un passato ormai consegnato agli archivi della storia.
Amore per la vita e le sue sfide si traduce, in ambito lavorativo, nella promozione di una rinnovata cultura imprenditoriale, intesa come capacità di inventare soluzioni nuove con libertà e creatività. Per realizzare tutto questo serve però un patto tra le generazioni: gli adulti di oggi devono fare spazio a quelli di domani, mettendoli in condizione di esprimere il loro potenziale e, pur nelle mutate condizioni del mondo del lavoro, ponendo un freno alla precarizzazione esasperata che rischia di soffocare entusiasmo e fiducia nel futuro.
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