Sono numerosi gli istituti di ricerca che in queste settimane di emergenza sanitaria e di isolamento forzato hanno provato a sondare gli atteggiamenti e le sensazioni degli Italiani, ancora preoccupati per l’epidemia da Covid-19 ma anche per le prospettive economiche ed occupazionali di più lungo termine.
Secondo l’Osservatorio SWG, già da qualche tempo gli Italiani hanno cominciato a mettere in atto la strategia del risparmio, rinunciando a molti abbonamenti in corso e contraendo la voce riguardante la beneficenza. Le previsioni per il futuro lavorativo iniziano ad assumere contorni foschi; i lavoratori autonomi specialmente sono pessimisti sull’andamento della propria attività: uno su quattro ritiene che subirà gravi perdite o dovrà chiudere. Più di recente l’Osservatorio ha di nuovo evidenziato una forte perplessità fra i connazionali circa la ripresa: tre Italiani su quattro ritengono, infatti, che la crisi si supererà a fatica.
Potendo ora cominciare ad apprezzarli a pieno, gli effetti di medio-lungo periodo iniziano a destare apprensione tra i nostri concittadini. Stando ad una recente rilevazione Bva Doxa, poco più della metà dei nostri concittadini teme di non riuscire a pagare le bollette, mentre il 63% è preoccupato per i propri risparmi. Una quota ancora maggiore (70%) teme una lunga e difficile fase di recessione. Sarà con ogni probabilità ancora questo il tema centrale delle prossime settimane, supponendo che il quadro epidemico continui a migliorare. Lo sarà a livello macro e a livello micro.
Secondo l’UNCTAD, l’Agenzia Onu per il commercio e lo sviluppo, a causa della pandemia l’economia mondiale crescerà solo dello 0,5% (in flessione del 2% rispetto alle previsioni), con un contraccolpo da 2 trilioni di dollari al Pil, di cui uno solo nel 2020. Anche l’Oecd (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha previsto un rallentamento della crescita mondiale e prefigura scenari più o meno complicati a livello economico e finanziario, a seconda del tipo di estensione del contagio che verrà sperimentata. Sul fronte occupazionale, l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha pubblicato di recente una nota sui prevedibili effetti della pandemia nel mondo del lavoro, prevedendo una crescita della disoccupazione e della sottoccupazione, come di fenomeni quali i lavoratori poveri. A livello mondiale ha previsto una crescita di 25 milioni di disoccupati.
Secondo le stime della Banca Centrale Europea (BCE), nella Zona Euro è previsto un calo del Pil tra il 10% e il 15% (dell’8%-9% per l’Italia a fine anno), con effetti persistenti sulla crescita potenziale dei sistemi.
Sul fronte interno, inoltre, la nostra borsa (il FTSE MIB) nella prima fase di emergenza ha cancellato in soli 5 giorni i guadagni degli ultimi 5 mesi, pari a 14 miliardi di euro, chiudendo il mese di febbraio a -3,76%. Gli addetti ai lavori prospettano diffuse revisioni al ribasso delle aspettative di crescita aziendali, rallentamenti dei settori manifatturiero e dei servizi e utili societari minori delle attese per il primo trimestre dell’anno, ma è probabile che ripercussioni di tipo strutturale si avvertiranno per tutto l’anno in corso.
Gli osservatori ritengono che i Paesi “periferici” dell’Europa, come l’Italia, soffriranno di più perché con economie più vulnerabili. Del resto, l’Italia ha dovuto isolare fin da subito buona parte della popolazione, nonché quello che è considerato il cuore industriale e finanziario del Paese, e vedere arrestarsi settori fondamentali per l’economia nazionale. Si pensi soltanto al turismo, risorsa strategica per l’Italia e voce importante per l’occupazione. Il Paese si trova ora nella condizione di dover contenere gli effetti economici oltre che sanitari del Covid-19, per evitare una recessione prolungata.
A livello micro, la vita di tutti è salita di livello lungo la scala dell’incertezza: non solo ci si chiede sempre più spesso come si farà fronte ai pagamenti correnti, quali saranno le prospettive lavorative del dopo crisi, ecc., ma in alcuni casi lo stop totale delle attività ha prodotto immediate difficoltà nell’acquisto di beni di prima necessità, che nelle scorse settimane hanno dato luogo a fenomeni di disagio e a qualche esplosione di insofferenza, specialmente nelle aree più fragili del Paese. Anche dopo il 4 maggio, data di avvio del primo allentamento delle misure di lockdown, i dubbi restano molti così come le richieste e le insistenze di categorie e attività ansiose di ripartire.
Se questo è lo scenario, non si può fare a meno di considerare quali saranno le direttrici lungo le quali indirizzare la ripresa. Questa crisi planetaria, infatti, ci costringe a riflettere non solo sulle misure pratiche di contenimento del rischio, anche economico, ma a come orientare le nostre scelte e alla direzione del cambiamento che vogliamo imprimere. Da più parti viene sollecitata un’attenta programmazione economica e sociale, ma ciò che conta è essere consapevoli che le misure adottate avranno un impatto sul nostro futuro. Secondo alcuni studiosi la crisi sanitaria accelera i processi di crisi già in atto a livello economico e politico, scuote le appartenenze, rimette in gioco le classi sociali e i loro rapporti, stressa le rappresentanze, le associazioni, i sindacati, i partiti. Alla fine di questa guerra dobbiamo aspettarci una riorganizzazione dei rapporti sociali, ma gli esiti possono essere assai diversi.
Se si consentirà al capitalismo globalizzato e all’individualismo di riprendere la propria strada si tornerà allo scenario precedente, allo sviluppo di produzioni senza valutazione delle conseguenze, ad un mondo del lavoro senza tutele, ad una comunità nazionale scarsamente coesa. A livello sociale la conservazione dei privilegi sarà il motore più forte nella resistenza al cambiamento, come lo è stata finora per frenare la mobilità sociale. Più di prima, il dopo-coronavirus si tradurrà in una lotta tra chi ha gli strumenti e le risorse per affrontare la situazione e chi non ne ha e risulta più esposto. Un’effettiva qualità della vita sarà possibile solo per i gruppi sociali più ricchi e culturalmente attrezzati, facendo crescere la pressione dei ceti esclusi.
Per segnare una vera discontinuità rispetto al pre-epidemia, dando prospettiva al risveglio della solidarietà, va pensato un destino diverso. Un destino che fa perno sul recupero della consapevolezza che siamo esseri sociali, che vivono all’interno di uno Stato, e se questo non si propone la nostra salvezza, ben difficilmente accadrà che ci salviamo da soli. L’importanza fondamentale del capitale sociale, anche per il sistema economico e per l’affidamento alle istituzioni che devono tutelarci, non declina. Vale anche per le istituzioni europee, uscendo finalmente dalla favola dei cattivi europei del Sud del continente e varando interventi per una ripresa di portata storica come simbolo di una comunità di destino.
Come tutte le crisi, anche l’attuale può rappresentare un’opportunità per cambiare rotta e correggere le scelte del passato. Per costruire una nuova economia più a misura d’uomo, memore della centralità del lavoro umano e dell’importanza delle competenze che l’emergenza restituisce. L’interrogativo allora è: un piano strategico di investimenti, da molti invocato, potrebbe partire dai bisogni delle persone e dei territori, e, attraverso processi decisionali condivisi, favorire un modo diverso di crescere, attivando una domanda in ambiti differenti dal passato cui far corrispondere un’offerta adeguata?
Se, come molti sostengono, l’Italia è ormai una terra ai confini dell’Impero, può però essere un laboratorio, per l’esistenza di una sanità ancora pubblica, benché privata di molte risorse negli ultimi anni, e per la capacità di immaginare il futuro. All’alba dell’emergenza il Prof. Luigino Bruni ha scritto parole illuminanti sull’impotenza dei mezzi dell’economia e della finanza in questo frangente. “Se non avessimo salvato – ha scritto il coordinatore del progetto per un’Economia di Comunione – qualche residuo del vecchio stato sociale, massacrato dagli amanti delle mani invisibili, saremmo già stati spazzati via da un invisibile parassita”. La direzione dello sviluppo – come la tragedia del virus si è incaricata di dimostrare – è tutt’altro che una speculazione teorica e astratta, ma una questione concreta e impattante sulla vita di ciascuno. Se saranno i centri del potere economico a decidere e la logica del profitto a prevalere (anche a livello internazionale) o se si muoverà verso configurazioni nuove e diverse mettendo precisi driver alla guida non è questione per addetti ai lavori ma un dato di vita reale che riguarda tutti.
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