Il Coronavirus ci ha sorpreso ma d’ora in poi cambierà le aspettative e influenzerà in questo modo le scelte dei cittadini, delle imprese e dei governi. La parola chiave per la ripresa, che deve essere riferimento per tutte le scelte e strategie è quella di “ripresa resiliente” o “generatività resiliente e trasformativa”. Non si tratta di filosofia astratta da di realizzare scelte ed azioni concrete…

La nostra generazione non aveva mai vissuto un’epoca straordinaria come quella dei nostri genitori che hanno vissuto quella della seconda guerra mondiale. Questa della pandemia lo è stata. E come tutte le epoche straordinarie, assieme alla tragedia delle vittime, è stato un tempo kairos (tempo di opportunità e di riflessione per cambiare la nostra vita) e non un tempo-kronos (quello che scorre con i minuti e le ore eguali le une alle altre senza particolari eventi o novità).

Il campanello d’allarme è suonato e dovrebbe farci capire che la soluzione migliore post-pandemia non è quella di ritornare alle nostre abitudini passate. Prima del Coronavirus mostravo sempre nelle presentazioni un grafico del World Economic Forum dove i diversi possibili shock per l’umanità erano distribuiti su un quadrante dove l’asse orizzontale era la probabilità che l’evento si potesse verificare e quello verticale la gravità del suo effetto. Ho scoperto poi che su quel grafico c’era anche un piccolo puntino chiamato “epidemia da malattie infettive”, era considerato grave in materia d’impatto potenziale ma la possibilità che si verificasse era piuttosto bassa.

Per questo il Coronavirus ci ha sorpreso ma d’ora in poi cambierà le aspettative e influenzerà in questo modo le scelte dei cittadini, delle imprese e dei governi.

Le imprese (e i fondi d’investimento che dovranno decidere su quali di esse investire) aggiungeranno una lettera al famoso rischio ESG che già prima misuravano. In altri termini, oltre ad E (environment), S (social) e G (governance) aggiungeranno la lettera H (health). Ovvero calcoleranno quando sono esposti non solo ai rischi ambientali, sociali e di governance ma anche a quelli pandemici.

La conseguenza per le scelte di policy dei governi è evidente. L’Italia ha mostrato tutte le sue fragilità in questa vicenda rivelando come quando arriviamo troppo vicini ad un vincolo siamo costretti a scelte drammatiche che salvano alcuni e sacrificano altri (come accade ad esempio quando non ci sono abbastanza posti in terapia intensiva per tutti i malati). E’ nostro dovere allontanare quei vincoli.

Per questo motivo la parola chiave per la ripresa, che deve essere riferimento per tutte le scelte e strategie è quella di “ripresa resiliente” o “generatività resiliente e trasformativa”. Non stiamo facendo filosofia astratta. Nel mio lavoro concreto di consigliere del ministro dell’Ambiente e coordinatore della task force della regione Lazio (proprio in materia di sostenibilità e resilienza) questo vuol dire che dobbiamo dare priorità assoluta a tutte quelle strategie e politiche che incidono positivamente su creazione di valore economica e lavoro e, contemporaneamente, su sostenibilità ambientale, salute e ricchezza di tempo e di senso del vivere.

Non sembra si tratti di una cosa facilissima ma ci sono almeno quattro/cinque vie che ci portano in quella direzione.

La prima via maestra è quella dell’economia circolare. Che significa progettare i prodotti “dalla culla alla culla” in modo tale che al termine del loro ciclo di vita possano dar vita a nuovi prodotti invece che finire nell’indifferenziata. Aumentando così il contenuto di materia seconda rispetto a quello di materia prima delle nuove produzioni e contribuendo in modo decisivo a disaccoppiare la creazione di valore economico dalla distruzione di risorse naturali.

La seconda strada da seguire è quella dello smart work. Il messaggio della pandemia da questo punto di vita è stato chiaro e distinto. Lo smart work ci ha reso “ricchi di tempo” regalandoci un gruzzolo di tempo liberato dal commuting (i percorsi casa lavoro che compivamo due volte al giorno). In qualunque studio empirico realizzato in qualunque paese la soddisfazione di vita risulta essere negativamente correlata con il tempo impiegato nel commuting. Lo smart work è assolutamente resiliente perché aumenta la nostra produttività, migliora l’impatto ambientale, riduce la nostra esposizione agli shock pandemici e appunto, ci rende più ricchi di tempo favorendo la conciliazione tra vita di lavoro e vita di affetti. Quando pensiamo allo smart work ideale del futuro non dobbiamo confonderlo con quello forzato dei tempi della pandemia.

Nello smart work del futuro avremo i nostri figli che torneranno a scuola e potremo usufruire dei servizi domestici interrotti durante la fase uno della pandemia. Potremo inoltre decidere se cucinarci a casa o scegliere una delle tante soluzioni di cibo d’asporto o semplicemente scendere al bar sotto casa per mangiare un panino.

Guardando alla mia esperienza personale del passato con gli occhi di oggi mi sembra una follia quando andavo da Roma e Milano in giornata per una sola riunione. Che oggi faccio a distanza evitando sei ore di treno (che pure mi sforzavo di rendere produttive lavorando) e due viaggi casa-stazione. Riuscendo ad inserire nella stessa giornata un pranzo a casa in famiglia e almeno altre 4-5 riunioni con la task force regionale, del governo e varie altre cose. Non c’è dubbio che le relazioni in presenza sono più ricche di quelle a distanza. Ma per alcuni tipi d’incontro (con persone che già conosciamo) è proprio meglio trovarci ai due capi di un tavolo o non è persino più “intima” una videoconferenza nella quale entriamo l’uno in casa dell’altro? Penso che a regime la pubblica amministrazione potrebbe avere come obiettivo ideale fino a 3 giorni di smart work su cinque (contribuendo così a ridurre per parte propria del 60% il traffico urbano).

Lo smart work andrà accompagnato da investimenti necessari per ridurre le sue tre principali criticità: il problema del comfort della postazione di lavoro domestica (qualità della connessione, del pc e dell’abitazione), quello della ripartizione dei compiti di cura in casa (evitando il rischio di aggravamento soprattutto per le donne) e quello dei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore per evitare da una parte sfruttamento e dall’altra scarsa produttività.

Un’altra politica resiliente è quella dello stimolo fiscale all’efficientamento energetico degli edifici (ecobonus) perché in grado di ridurre il contributo del riscaldamento domestico alle polveri (impattando positivamente sulla sostenibilità ambientale e sulla salute), fornendo al contempo un formidabile stimolo al settore edilizio e contribuendo a ridurre gli oneri in bolletta per i cittadini. Prioritarie anche le scelte di mobilità sostenibile e il sostegno finanziario all’innovazione in materia di sostenibilità.

Con il paradigma dell’economia civile sosteniamo da anni che i problemi sociali ed economici in società complesse come le nostre non si possono risolvere solo con un intervento dall’alto di istituzioni illuminate e l’azione dei meccanismi di mercato (il modello a due mani). C’è bisogno invece di quattro mani perché la terza della cittadinanza attiva (degli stili e delle scelte di vita dei cittadini da soli e in forma organizzata nelle loro rappresentanze) e la quarta delle imprese responsabili sono decisive.

La vicenda del Coronavirus conferma quest’assunto. In questi giorni ci è stato e ci viene continuamente ripetuto che possiamo superare la pandemia se restiamo a casa (fase uno) o se rispettiamo le regole di distanziamento sociale quando usciamo (fase due). Dunque, senza il concorso della terza mano dei cittadini e del coordinamento di tante scelte individuali responsabili non c’è via d’uscita. Il coordinamento in larghissima parte c’è stato e i risultati sono stati raggiunti. Se alla fine della pandemia mettessimo lo stesso impegno e capacità di coordinamento nel votare col portafoglio (ovvero nel premiare coi nostri consumi e risparmi le aziende leader nella capacità di coniugare creazione di valore economico con la responsabilità sociale ed ambientale) molti dei problemi che abbiamo sarebbero risolti.

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