In un contesto come quello attuale occorrerà combattere la disillusione, la diffidenza e l’incertezza che di fatto rendono difficile ogni ripartenza. Saremo chiamati ad affinare le nostre capacità di ascolto e cogliere il bisogno di un clima più positivo, dove sia possibile ricostruire quel bene intangibile ma così prezioso che è la fiducia; ad accogliere la domanda crescente di un diverso modo di stare insieme…

Come era naturale e logico aspettarsi, negli ultimi mesi, anche noi responsabili delle ACLI siamo stati travolti dal cambiamento imprevisto prodotto dall’emergenza Covid-19 e ad esso abbiamo cercato di reagire compiendo scelte difficili e faticose.

Abbiamo impiegato il nostro tempo di lavoro (dilatatosi a dismisura) nel chiudere con dolore i circoli e nel cercare di dematerializzare per quanto possibile i nostri servizi, nel sospendere i percorsi congressuali, e prendendo decisioni dolorose ma necessarie come il ricorso agli ammortizzatori sociali.

Abbiamo chiesto ai gruppi dirigenti ad ogni livello di essere all’altezza della situazione: ci siamo riuniti in video conferenza con grande assiduità, abbiamo telefonato ai soci più anziani e più soli, abbiamo pianto i nostri morti tra le mura domestiche e celebrato succedanei di esequie via internet, abbiamo tentato di riorganizzare le attività associative attraverso campagne social ma anche, per quanto possibile, reali, cogliendo così l’occasione di ingaggiare nuove e fresche disponibilità volontarie. E questa non è stata l’unica opportunità che non ci siamo lasciati sfuggire: abbiamo ascoltato di più e insieme la Parola e tentato un più accurato discernimento comunitario; abbiamo colmato molti digital divide e insegnato a utilizzare i social media e le piattaforme di smart working.

Non abbiamo poi smesso di fare politica riprendendo le fila delle nostre reti sociali e ricostruendo alleanze per adeguare il welfare al tempo di crisi e per ripensarlo per il dopo. Abbiamo ancora una volta – e con maggiore forza e convinzione – preso posizione sugli errori della politica sanitaria, recenti e passati, suggerendo riforme e tornando ad affermare che la salute non è un tema legato al singolo individuo, ma una questione di comunità e di territorio. Abbiamo proposto momenti qualificati di approfondimento e di dialogo sui cambiamenti in corso.

E dai primi giorni di maggio finalmente sta ripartendo il nostro agire – sia in termini di promozione sia in termini di impresa – sociale.

Cosa ha insegnato questo tempo a ciascuno di noi?

Nella sua omelia del 27 marzo, dopo la proclamazione del Vangelo, in una piazza San Pietro spettralmente vuota, Papa Francesco ha affermato che questo è il tempo “del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso il Signore e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita e che hanno compreso che nessuno si salva da solo”, poiché con la tempesta che sta travolgendo il mondo intero “è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ego sempre preoccupati dell’immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”. “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” – ha proseguito Bergoglio – “Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”.

Ecco, forse, di fronte a questa lezione della storia, impartita ad ogni singolo uomo e ad ogni singola donna dell’unica famiglia umana, la parola chiave per il “dopo” potrebbe essere “magnanimità”, nel senso in cui la intende Salvatore Natoli quando afferma che il “magnanimo” è colui che punta a cose grandi e impegnandosi per questo produce cose buone e, se forte abbastanza, una sovrabbondanza di bene che ridonda a vantaggio di tutti”. Ognuno di noi, quindi, nella prova di questi giorni e di quelli che verranno deve trovare nei suoi doveri quotidiani esercitati al meglio il talismano che lo accompagnerà per cercare di costruire una società migliore in cui il bene che si fa ridondi su tutti.

Questo sul piano dell’occasione di conversione personale ma sul piano sociale e politico, quali cambiamenti saranno necessari?

In questi ultimi anni abbiamo utilizzato un’immagine molto potente per rappresentare il tempo che stavamo vivendo, la definizione proposta – ancora una volta – da Papa Francesco al convegno ecclesiale di Firenze, ovvero quella del cambiamento d’epoca generato dalle interazioni tra alcuni fenomeni molto rilevanti: la crescita delle diseguaglianze e la crisi dei sistemi di protezione sociale, la questione ambientale ed in particolare il climate change, il nuovo disordine geopolitico e “la terza guerra mondiale a pezzi”, la rivoluzione tecnologica digitale e quella demografica, la presenza di imponenti flussi migratori, la crisi della democrazia, la finanziarizzazione dell’economia, il cambio di paradigma nel campo dell’energia.

Il condensarsi e l’assommarsi di tutti questi fenomeni interrelati e l’incapacità (in primis delle classi dirigenti) di governarli con equità e giustizia ha reso tutti più vulnerabili, più fragili e più insicuri.

In un contesto come questo – amplificato fortemente dalla pandemia mondiale e dalle sue numerose conseguenze oltre l’ambito sanitario – occorreva e occorrerà combattere la disillusione, la diffidenza e l’incertezza che di fatto rendono difficile ogni ripartenza.

Se però sapremo affinare le nostre capacità di ascolto e cogliere il bisogno di un clima più positivo, dove sia possibile ricostruire quel bene intangibile ma così prezioso che è la fiducia; se percepiremo e accoglieremo la domanda crescente di un diverso modo di stare insieme; se, come soggetti organizzati della società civile, torneremo ad essere nuovamente catalizzatori di buona socialità e luogo di relazioni autentiche; allora l’esaurimento del tempo dell’espansione, dell’individualismo e dello slegamento costituirà una straordinaria occasione per ritessere una vita associata che si è indubbiamente sfrangiata. Se, viceversa, non riusciremo in questa impresa può essere che ciò faccia prevalere il tempo della rabbia, del risentimento, della chiusura.

C’è molto da fare dunque per un’associazione come le Acli, a mio modesto avviso.

Vi sono poi alcune opportunità che costituiscono un frutto specifico di questo tempo straordinario. La madre Terra sta rifiatando e non dobbiamo consentire che torni in fretta in crisi respiratoria. Inoltre tutto lascerebbe supporre che l’importanza della politica sia tornata ad essere evidente agli occhi dei nostri concittadini italiani, europei e globali; e che si sia tornati ad essere consapevoli che la sanità come la scuola e la ricerca sono beni comuni, e che non li abbiamo valorizzati e finanziati come si sarebbe dovuto.

Siamo poi tornati a pensare in modo diffuso che di fronte a questa situazione difficilissima sarà più probabilmente la mano pubblica a lenire le nostre sofferenze più che la mano invisibile del mercato. E siamo inoltre consci che si profila all’orizzonte la più grave crisi su scala globale che il capitalismo abbia mai conosciuto, segnata da un contemporaneo doppio shock sia sul lato dell’offerta sia lato della domanda aggregate e che occorrono strumenti di economic policy non convenzionali per affrontarla efficacemente. Sappiamo infine che la UE si gioca, come non mai, il suo futuro e la sua stessa esistenza sul centrare le politiche adeguate per la ripartenza del nostro continente. Nei prossimi mesi verificheremo se il pragmatico sogno europeo manterrà la promessa su cui nacque 70 anni fa, spiegata magnificamente dal celeberrimo passaggio della dichiarazione di Schuman (nella foto a fianco): “l’Europa si farà grazie a concreti atti, capaci di crescere una solidarietà di fatto“.

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