Tra i tanti punti di vista dai quali è possibile osservare l’attività delle Acli c’è quello dei territori, punto di partenza essenziale per comprendere la persona e collocarla nel concreto svolgersi della propria vita. Ebbene, nella diversità che caratterizza i territori, e nei divari che li attraversano, mi sembra significativo sottolineare il ruolo che le Acli rivestono nelle aree interne con la loro presenza attraverso i circoli – disseminati in modo capillare –, con la promozione di attività culturali e di ricerca sul tema, con l’impegno per una visione diversa del mondo e del rapporto tra istituzioni e partecipazione sociale.
Le aree interne sono vittime di un sistematico abbandono da parte delle attività produttive, della popolazione e, per quel meccanismo perverso che fa dipendere i servizi pubblici da logiche di efficienza, negli ultimi anni anche da parte delle istituzioni. Gli effetti economici, sociali e culturali di questa desertificazione non sono difficili da cogliere: le aree interne sono lo specchio, da un lato, della caduta a picco dei nostri indici demografici – più che di inverno demografico si può parlare, con riferimento a questi territori, di una vera e propria era glaciale dello spopolamento – e il loro abbandono rischia di far svanire una memoria senza la quale il nostro paese rischia di trovarsi privo di identità.
In questo quadro, va rimarcata l’importanza del tessuto associativo come argine allo spopolamento. Se andiamo a fondo nell’analisi della sfera della vita sociale ed entriamo nel più complesso ambito della vita associativa, che, come sappiamo, contribuisce allo sviluppo della persona in una prospettiva meta-individuale e trova nei c.d. corpi intermedi della società la linfa per la costruzione del bene comune, possiamo confrontarci con dati importanti: una recente ricerca ha mostrato che la partecipazione sociale può fungere da freno allo spopolamento. Tutto ciò è ben presente nel mondo Acli, che con i suoi circoli, la sua attività di promozione sociale e culturale, nonché la spinta alla ricerca e alla formazione dedica da tempo una particolare attenzione ai territori marginali e alle aree fragili, intese non solo come periferie urbane ma anche come luoghi che distano dai servizi essenziali di cittadinanza.
La questione aree interne intreccia tra l’altro un messaggio che ha caratterizzato in questi anni il Magistero di Papa Francesco, ovvero il rifiuto deciso della “cultura dello scarto”. Non sono mancate le occasioni in cui il Santo Padre ha denunciato il meccanismo responsabile delle diseguaglianze nelle aree interne, identificato nel presupposto da cui discendono l’assenza di servizi e la carenza di opportunità lavorative, ovvero il “fatto che risulta troppo dispendioso offrire a questi territori le stesse dotazioni di risorse delle altre aree del Paese”. L’osservanza di uno stretto calcolo costi-benefici impedisce di sviluppare, per le aree interne, quel principio che coniuga solidarietà sociale e ambientale e che viene portato avanti instancabilmente, e del tutto contro-corrente, da Francesco (si pensi, sopra a tutte, all’Enciclica Fratelli Tutti): l’idea che l’umano si costruisca, insieme, attraverso la cura per la comunità e per il territorio.
L’allarme della Chiesa per il declino, non solo demografico, delle aree interne non è, per la verità, un fatto nuovo, visto l’impegno che le istituzioni religiose profondono su questo tema almeno dal 2019, quando si sono avviati a Benevento gli incontri per una “Pastorale delle aree interne”, ancora attivi e produttivi di risultati importanti per dare speranza ai territori abbandonati. La chiusura di tutti quei presidi che ruotano attorno alle parrocchie rappresenta infatti per i piccoli paesi un rischio enorme: il rischio della caduta di uno degli ultimi baluardi della socialità e della solidarietà. Che effetto avrà, nel tempo, la condivisione di uno stesso sacerdote costretto a celebrare la messa domenicale ad ogni ora in un diverso paesino trasferendosi, spesso di corsa e con la sua auto, da una comunità all’altra? La prospettiva della Pastorale per le aree interne è dunque quella di favorire una sinergia tra Chiesa, istituzioni pubbliche e attori sociali per affrontare i divari delle aree interne.
Nessuna struttura è del resto immune dal declino che attraversa le aree interne: non lo sono le istituzioni pubbliche, non lo sono le associazioni, non lo sono i luoghi di culto. Si tratta in sintesi di una preoccupazione che anima da più parti il mondo del Terzo Settore: per fare alcuni esempi, la Caritas della diocesi di Trivento (al confine tra Abruzzo e Molise) chiede aiuto per 40 paesi che di questo passo sono destinati a scomparire entro il 2040; il sindacato dei pensionati approfondisce i rischi di povertà energetica della popolazione anziana. E non è un caso dunque che l’universo ACLI si interroghi da tempo sul ruolo della partecipazione sociale quale argine allo spopolamento.
Ciò che risulta particolarmente interessante, in questo approccio alle aree interne, è una visione di questi territori non ancorata al passato, ma – lo dice molto chiaramente il Cardinale Zuppi confermando l’impegno della CEI sul punto – proiettata verso il futuro, perché è solo in un corretto equilibrio tra urbano e rurale, tra centrale e periferico, che è possibile concepire il benessere della persona nell’ambiente in cui vive. E’ al futuro che guarda, infatti, il contrasto alla cultura dello scarto. Applicare questo discorso alle diseguaglianze territoriale significa andare oltre il grido di dolore per il disastro socio-ambientale che l’abbandono delle aree interne porta con sé, ma spingersi a cogliere nei territori marginali i germi per una visione rinnovata della società: lontano dal conformismo è possibile sperimentare, ad esempio, nuovi modi di concepire il mutualismo (come le cooperative di comunità), forme inedite di welfare territoriale, opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
I margini possono essere, per una volta, al centro di un grande rinnovamento sociale. Occorre, in sintesi, abbandonare una visione del ruolo delle istituzioni prona a quella logica dell’efficienza che costringe a ragionare sugli investimenti pubblici come se fossero privati, portando avanti un discorso che l’universo Acli sviluppa da tempo per i territori e nei territori. In altri termini, un’idea che va nella direzione contraria alla cultura dello scarto, ma interviene proprio a riequilibrare quei vuoti che, se non curati, si trasformano in diseguaglianze.
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