Oggi è più che mai necessario a diversi livelli far crescere la partecipazione nella società. Partecipazione vuol dire che c’è qualcosa di più grande che ci unisce. È questo a permetterci di unire le forze, di comporre anche visioni diverse e di provare a camminare insieme. Non si tratta di farlo solo come piccolo gruppo, ma di proporlo a una società, dove uomini e donne si ritrovano per promuovere qualcosa di più grande di noi. Se guardiamo indietro vediamo come Frate Francesco d’Assisi abbia generato una nuova cultura politica per il suo tempo e per quelli successivi, tale che può continuare a ispirarci e ad aprirci vie nuove. Offro una lettura sanfrancescana di tre parole chiave per una cultura politica nuova
Disarmo
Francesco d’Assisi ha attraversato frontiere sin da giovane. Un limite invalicabile era quello che separava la città medievale, chiusa nelle sue mura, dai lebbrosi, chiusi nei loro spazi riservati. Un conto era sovvenire alle loro necessità, un altro vivere con loro e servirli. Il giovane mercante ha oltrepassato questa frontiera e ha cominciato ad apprendere la misericordia, parola “politica” paradossale, ma necessaria.
Un altro confine è stato quello morale. Francesco non rifiuta i sacerdoti “poverelli”, ma addirittura si sottomette a loro per poter predicare. Questa era una scelta molto forte nel contesto ecclesiale dell’epoca, una vera “presa di posizione” umano-evangelica di Francesco. Non separa buoni e cattivi, non criminalizza, cerca l’incontro, fa crescere insieme grano e zizzania e sa riconoscere l’altro compagno di umanità e persino superiore a sé. Non vuole affermare idee o valori astratti, ma contribuire a far crescere una rete di relazioni che permette di oltrepassare chiusure e negazioni reciproche.
La terza frontiera che il Poverello oltrepassa è quella dai cosiddetti “infedeli”, quel mondo musulmano che era agli antipodi di quello cristiano, da ogni punto di vista. Non solo. Rappresentava il nemico per eccellenza, specie in tempo di crociate. Francesco attraversa il Mediterraneo e dalla Siria arriva a Damietta in Egitto, dove si inoltra nel campo “nemico”, contro ogni prudenza e convenienza. Le cronache del tempo narrano che i saraceni furono sorpresi dal vedere un cristiano avvicinarsi a loro in vesti dimesse e senza armi. Ecco la novità! Andare tra i “nemici” disarmato, per aprire una via nuova e non ripetere solo quella della guerra. Quali strade inedite è urgente aprire oggi nel deserto minato in cui viviamo? Quali frontiere attraversare per osare un pensiero e prassi diverse da quelle già battute del conflitto? Ogni passo compiuto in questa direzione è prezioso.
Dialogo
Francesco ha conosciuto la solitudine che isola. Durante la sua conversione, si accorge di essere solo e nessuno sa indicargli la strada. Potrebbe percorrere quella che ha intuito, senza nessun altro. Sarebbe più facile, forse. Ma gli si presentano alcuni giovani di Assisi che vogliono vivere come lui e inizia l’avventura della fraternità. “Il Signore mi donò dei fratelli”, dirà Francesco al termine della sua vita. Gli altri, scoperti fratelli, diventano il criterio del suo cammino, mai solipsistico e autoreferenziale. Chiara d’Assisi, sua sorella nella vita evangelica, farà dell’incontro e del dialogo la cifra fondamentale, veramente “politica”, della nuova forma di vita che inaugura. La madre responsabile della comunità deve sempre ascoltare le sue sorelle, radunarle ogni settimana, ascoltarle e attenersi al loro parere e consiglio: una vera rivoluzione nella società gerarchica e sacrale dell’epoca. Promuovere il dialogo, crederci contro ogni evidenza, non stancarsi di attivare spazi e modi per farlo crescere è atto “politico” per eccellenza. È quanto mai urgente non dimenticarlo e continuare a farlo, contro ogni evidenza. Le scorciatoie sono cieche.
Francesco ha allargato lo spazio del dialogo con l’altro alle persone che incontrava lungo il suo cammino, nei villaggi come nelle città del tempo, così divise e conflittuali. La sua era una società della guerra e della contrapposizione, dell’affermazione di una parte. Lo spirito di fraternità è stato un seme che ha aperto nuove strade e ha orientato anche lo sviluppo dei liberi comuni del tempo, dell’apertura dei confini feudali verso una società più aperta.
Democrazia
Francesco d’Assisi è vissuto in uno dei passaggi d’epoca molto importanti della storia dell’Europa. La società si lasciava sempre più alle spalle il mondo feudale, mentre cresceva la città, più aperta, crocevia di persone, di beni e di scambi. Al potere feudale, piramidale e legato alla terra e ai suoi diritti, subentrava quello oligarchico delle cerchie dei maggiori delle città, nel confronto, spesso aspro, tra classi sociali diverse, nobili, mercanti e cavalieri. Il passaggio tra di esse non era possibile, ma i confini diventavano man mano più porosi. Le correnti spirituali di un evangelismo pauperista contribuivano da parte loro, permettendo a persone di provenienze di verse di condividere i medesimi ideali. Tanti gli esempi. Francesco e Chiara vivono in questa atmosfera di rinnovamento. All’ideale diffuso di rinnovare la forma di vita apostolica della comunità primitiva di Gerusalemme, i nostri danno l’accento della fraternità, centrata più sulla qualità delle relazioni che sulla condivisione dei beni. Anzi, è proprio la rinuncia a ogni possesso e soprattutto al denaro a caratterizzare relazioni improntate sulla gratuità, su uno stile materno, sulla misericordia reciproca. Ecco la chiave per relazioni nuove, non solo tra fratelli e sorelle, ma anche nella società. Infatti, la strada aperta da Francesco è stata percorsa da laici e laiche di ogni classe e tipologia, gettando i semi di una cultura nuova, quella della forma fraterna della persona e della comunità.
Credo che le ACLI, a 80 anni dalla loro nascita, dimostrino ancora la possibilità di essere fermento di questa forma fraterna, promuovendo spazi di partecipazione, di educazione alla pace e al dialogo, di disarmo verbale e mentale per aprirsi alla possibilità di relazioni nuove.
Ho conosciuto più da vicino le ACLI grazie alla persona e alla parola di p. Pio Parisi, ormai oltre trenta anni fa. Porto con me la provocazione alla vita nello Spirito come trama di ogni vera azione politica. A distanza di tanti anni, mi sembra che quella parola continui a essere attuale. Come alimentare narrazioni nuove e differenti della persona e delle domande che questo oggi ci pone, senza l’ascolto di una parola “altra”, che metta in movimento e in discussione critica le nostre parole e i nostri schemi mentali, per aprirli a una novità vera e attiva, e non solo di maniera? Certo, questa scelta non è mai immediatamente vincente rispetto alle “urgenze” immediate. Resta vero che se non vogliamo inseguire solo ciò che preme, è necessario riprendere sempre l’arte del discernimento nello Spirito. Così potremo coniugare storia e parola, Spirito e carne e non restate estranei né a ciò che è genuinamente umano né quindi a ciò che è veramente cristiano. In questo svincolo credo che le ACLI si giochino non solo gli 80 anni già trascorsi, ma quelli che vengono e che hanno ancora bisogno della loro presenza.
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