Mentre riflettevo sul tema della cura, mi è capitato tra le mani un racconto che avevo strappato tempo fa da una rivista. Un tassista viene chiamato di notte in una villetta. Sale una donna molto fragile e anziana, con una valigia. Gli dà un indirizzo, poi gli chiede di passare dal centro. Il tassista obietta che non è la via più breve, ma lei risponde che non ha fretta, perché sta andando alla casa di riposo. Non ha famiglia e il dottore le ha detto che non le rimane molto tempo. Il tassista spegne il tassametro e per due ore guida in giro per la città. Lei gli indica luoghi dove ha vissuto, lavorato, luoghi che per lei hanno qualche significato. Al primo raggio di sole arrivano a destinazione. Due infermieri l’accolgono con gentilezza. Lei vuole pagare, ma il tassista non vuole nulla e l’abbraccia. Lei dice: “Avevo proprio bisogno di un abbraccio!” Il racconto si conclude così: “Dietro a me una porta si chiuse, era il suono di una vita conclusa. Non accettai altri clienti in quel turno, e guidai senza meta per il resto del giorno. Ad uno sguardo veloce, credo di non aver fatto niente di più importante nella mia vita”.
Mi ha colpito il racconto, perché pone il tema della cura con una prospettiva diversa, in cui luoghi e care givers non sono solo la casa di riposo e gli operatori, ma il taxi e il tassista. Forse oggi urge una riflessione ampia e approfondita proprio su questo aspetto: il significato profondo del prendersi cura, in tutti i luoghi e in tutte le fasi della vita, che vede protagonisti tutti. Anche la donna anziana si è presa cura del tassista: gli ha regalato nuove consapevolezze. Un bambino, un disabile, un immigrato, sono persone destinatarie di cura, ma sono anche persone che possono “curare” in mille modi la società malata. La società che oggi ha di fronte sfide difficili, che investono tutti gli ambiti: il lavoro, le relazioni, la famiglia, l’educazione. Giuseppe Savagnone, nel suo libro “Educare nel tempo della post-modernità” ne elenca una lista, che fa comprendere quanto sia difficile oggi declinare il tema della cura di fronte alle nuove forme di individualismo e soggettivismo narcisistico, al trionfo dell’effimero, alle ambiguità del virtuale, alla globalizzazione onnivora, ai localismi nazionalistici, alle nuove e pesanti coordinate dell’economia della flessibilità e della precarietà.
In questo senso la cura di tutte le fragilità diventa una dimensione pervasiva, essenziale della società. Essa si intreccia strettamente con la cura del pianeta. Nella’Enciclica Laudato sì Papa Francesco parla di ecologia integrale, cioè ambientale, economica e sociale: “ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali” e afferma che “oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani e dalla relazione di ciascuna persona con se stessa, che genera un determinato modo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente.” Nella Evangelii gaudium Papa Francesco esplicita questo collegamento:” Piccoli ma forti nell’amore di Dio, come san Francesco d’Assisi, tutti i cristiani siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo”.
Merita davvero una riflessione il modo in cui nello stesso testo il Papa indica quattro principi che dovrebbero, a mio giudizio, essere anche alla base del tema della cura.
Il primo è l’affermazione che “il tempo è superiore allo spazio”. Ciò implica dare priorità ad iniziare processi, più che a possedere spazi. Significa privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone o gruppi che le porteranno avanti, fino a dare frutti. La riflessione che dovremmo fare al riguardo è: in che modo tale affermazione si può concretizzare nelle scelte associative che riguardano i servizi, le Acli-colf, ecc.? Quali sono i processi da mettere in moto con una visione di lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati?
Il secondo principio è l’affermazione che “l’unità prevale sul conflitto”. Significa porsi di fronte al conflitto (che non va negato ma accettato) senza rimanerne prigionieri, ma trasformandolo in un nuovo processo. Significa diventare operatori di pace attraverso la pratica della solidarietà, intesa come “stile di costruzione della storia, ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita.” Anche qui, la riflessione che si pone è quella sulla capacità di ognuno, ma anche dei soggetti collettivi di gestire il confronto con le diverse opinioni. Le forme di barbarie cui assistiamo ormai quotidianamente sui siti a tutti i livelli ci danno il segnale di quanto sia urgente avviare pratiche ispirate a questo principio.
Il terzo principio è “la realtà è più importante dell’idea”. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. Ciò pone in evidenza l’importanza del pensiero, dello sviluppo di idee, che sempre cresce nella dimensione collettiva e di confronto, mentre è ostacolata da personalismi e inutili competizioni. Ma il pensiero e le idee debbono poi avere la capacità di tradursi in proposte, progetti, azioni.
Il quarto principio è “il tutto è superiore alla parte”. Non si deve essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari, ma allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia. Anche questa è una importante lezione per il contesto della cura, e del mondo variegato di chi eroga servizi, da quelli educativi a quelli di welfare: il lavoro quotidiano è fatto di piccole grandi cose, dal gesto del tassista al lavoro della badante. Ma occorre continuamente ripensare le politiche, adeguandole non solo alle problematiche economiche, ma anche ai bisogni che mutano e alle prospettive che si stanno configurando, in modo da prevenire forme di esclusione, marginalizzazione, discriminazione.
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