Gli ultimi due tre anni si sono caratterizzati per una forte penalizzazione della finanza locale, intesa come insieme di politiche di entrata e spesa degli Enti locali. Non è certo un fatto nuovo; questa recente dinamica conferma la tendenza ormai strutturale, che caratterizza la finanza locale nella fase immediatamente precedente alla crisi finanziaria ed economica del 2008, quando sono state bloccate e regolamentate le operazioni di finanza innovativa, e negli anni immediatamente successivi. Vanno a queste proposito richiamate le considerazioni contenute nel libro, pubblicato da Fondazione IFEL ANCI nel 2014 Crisi ed investimenti negli enti locali, curato da me insieme a Pierciro Galeone.
Per meglio capire l’affermazione sulla penalizzazione della finanza locale molto utili interessanti sono le considerazioni ed i dati che emergono dal rapporto presentati a settembre 2017 dalla Fondazione IFEL ANCI (associazione nazionale dei Comuni italiani) sul “futuro della finanza locale: principi da difendere, nodi da sciogliere e scenari da costruire”.
La definizione di possibili “scenari” o meno ambiziosamente, delle possibili alternative di evoluzione della finanza locale nel 2018 e forse nel 2019 va direttamente raccordata alle considerazioni del rapporto IFEL ANCI e, a mio parere, può essere collegata alle conclusioni del libro, sempre pubblicato dalla Fondazione IFEL ANCI nel 2016, La finanza sociale sulle prospettive della Finanza sociale in Italia ed in Europa ed ai contenuti del recente discussion paper gennaio 2018 , preparato per conto della Commissione Europea Boosting investment in social infrastructure in Europe. La finanza sociale, a cui il rapporto della Commissione, riserva particolare attenzione, discutendo strumenti quali i social bonds, molto diffusi nel contesto italiano (ad oggi circa 1 miliardo di € di emissioni ad oggi) ed i bonds ad impatto sociale, ancora ad uno stadio di pre-fattibilità nel nostro paese costituisce significativa alternativa, sostitutiva o integrativa, della finanza locale.
Questi tre documenti, che esprimono il polso delle tendenze in atto, possono rappresentare il quadro principale di riferimento per la riflessione, contenuta in queste pagine, sui possibili percorsi alternativi per far ripartire le politiche di spesa corrente (meglio di gestione operativa) e di investimento delle amministrazioni locali, ragionando sulle dinamiche reali. Spesso infatti la finanza locale è stata analizzata o guardando i dati macroeconomici, riconducibili alla contabilità nazionale, o discutendo sui dati finanziari contabili, provenienti dai rendiconti finanziari e dai bilanci economici previsionali degli enti locali. Ho quindi deciso in questo contributo, di concentrare la riflessione sulle politiche di spesa, senza entrare in merito alle politiche di entrata.
Richiamando il rapporto IFEL ANCI del settembre 2017, occorre mettere da subito in rilievo alcune considerazioni contenute nella relazione introduttiva del Presidente ANCI Lorenzo Castelli, e rappresentate da:
- La riduzione, in termini reali, della spesa corrente dei Comuni pari al 10% nel periodo 2010 – 2016; il settore degli enti locali si sta quindi progressivamente contraendo, quantomeno a livello di risorse gestite e questo fenomeno e ancora più grave se affiancato alla riduzione della spesa del personale ed al blocco del turnover;
- L’ allargamento del gap tra bisogni /domanda di servizi e risorse, che verrà più avanti approfondito, gap riconducibile alla continua e strutturale riduzione delle risorse a disposizione degli enti locali ed alla crescita dei fabbisogni; alle aree tradizionali e consolidate di intervento, riconducibili alla educazione ed ai servizi socioassistenziali si sono aggiunte infatti aree di bisogno nuove rappresentate dalla esigenza di creare occupazione e supporto allo sviluppo di microimprese a livello locale, dalle diverse tipologie di reddito di inclusione , attivate a livello centrale (SIA sostegno alla inclusione attiva e dal 2018 REI reddito inclusione) e regionale, dai servizi per gli immigrati alla sicurezza urbana ed all housing sociale, riconducibile alle sempre più diffuse dinamiche di esclusione sociale e di disagio abitativo;
- il contributo che le amministrazioni locali stanno dando in termini di “risanamento della finanza pubblica”. Emblematico e il caso della riduzione del debito pubblico locale, a fronte della crescita del debito pubblico a livello nazionale, riduzione che ha penalizzato la stessa capacità di investimento in infrastrutture ed in infrastrutture sociali.
Queste prime considerazioni vanno integrate ed arricchite, facendo riferimento ai dati provenienti dalla Ragioneria Generale dello Stato MEF e relativi al personale del comparto “Regioni ed autonomie locali”; l’ultimo dato disponibile fa riferimento al 2016. Tra il 2006 ed il 2016 il personale del comparto RAL è diminuito da 521.000 ca. unità a 446.000 ca dipendenti; nel 2011, a metà periodo, il personale ammontava a 503,000 unità.
Sono stati quindi persi 55.000 dipendenti con una evidente contrazione del capitale umano a disposizione della PA, che peraltro si caratterizza come sempre più anziano (età media 53). Non va dimenticato che età media più avanzata, anche in comparazione con le altre PA a livello europeo, significa possibile indebolimento, se non riduzione della capacità di innovazione con riferimento alle politiche di servizio ed alla innovazione tecnologica. Il progressivo e costante ridimensionamento della dotazione quantitativa e qualitativa del personale non è stato controbilanciato in questi anni, dal turnover; il turnover, sempre guardando ai dati RGS MEF nel 2016 e stato pari a 18.000 ca unità.
L’indebolimento del capitale umano sembra stato essere parzialmente equilibrato dal capitale “tecnologico”, in una fase come quella attuale di sempre maggiore sviluppo del governo elettronico (e-government), di cui indicatore proxy può essere rappresentato dai dati relativi al 2015 e contenuti nel rapporto ISTAT sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle PA locali.
Il rapporto evidenzia, mettendo a confronto i dati 2015 con i dati 2012, la crescita delle tecnologie ICT, sottolineando la forte diffusione dell’e-procurement (che ormai interessa quasi il 79,5% degli enti locali), lo sviluppo delle attività di formazione ed aggiornamento basate sull ‘e-learning ( 34,5%), e la diffusione dei servizi di cloud computing, che interessano ormai il 25,7% delle PA .
L’ISTAT mette in rilievo che si stanno sempre più diffondendo i servizi offerti dalle amministrazioni locali, in particolare Regioni e Comuni di grandi dimensioni, tramite il web; il 33,8% degli enti offrono la possibilità di avviare e concludere online l’intero iter del servizio richiesto. Inoltre le amministrazioni locali utilizzano sempre più tecnologie mobili (invio di SMS – 22,4%).
Per un maggior approfondimento sui dati economico finanziari occorre riprendere le considerazioni contenute, sempre nel Rapporto IFEL ANCI La finanza comunale in sintesi (settembre 2017), nel contributo di Andrea Ferri su “una difficile transizione”. Il contributo al risanamento della finanza pubblica viene chiarito dalla modifica del peso dell’indebitamento degli Enti locali sul debito pubblico complessivo della PA; nel 2010 gli Enti locali pesavano per il 6,3%; la percentuale si e ridotta nel 2016 al 4,0%. Tra il 2007 e il 2017 l’indebitamento è sceso da 47 a 40,6 miliardi (comuni) e da 8,8 a 7,4 miliardi (province e città metropolitane); il dato apparente molto elevato, va sicuramente riaggiustato, depurandolo dall’indebitamento dei grandi Comuni (caso emblematico Roma capitale con i 12 miliardi €) e non rappresenta la replica nel nostro paese di un fenomeno descritto ed osservato in Germania delle tante piccole “Grecia” (circa il 30% dei Comuni tedeschi considerato seriamente indebitato nel periodo 2010 – 2014).
In questa situazione le associazioni rappresentative del settore degli enti locali (ANCI e Lega delle Autonomie locali) si stanno muovendo per una rinegoziazione delle condizioni contrattuali, ed in particolare dei tassi di interesse (superiori al 5% in media per i Comuni), con il duplice obiettivo di alleggerire l’impatto sulla gestione corrente e di liberare fondi per futuri investimenti. IFEL ANCI mettono in rilievo due altri significativi elementi; l’andamento ad U del debito, ossia un debito più elevato nei Comuni di piccole dimensioni (854 milioni € nei Comuni con meno di 1000 abit) e nei Comuni di medie grandi dimensioni (1,4 ca miliardi € nei Comuni con più di 250.000 abitanti). Il costo del debito riflette lo stesso andamento; pesa infatti in misura maggiore sulle politiche di bilancio dei Comuni di piccole dimensioni.
Rilevante a questo proposito e la riflessione condotta sulla dinamica degli investimenti degli Enti locali. Il rapporto IFEL ANCI segnala la conferma della tendenza alla riduzione degli investimenti, in tutto il periodo considerato, con una unica eccezione rappresentata nel 2015, e riconducibile alla accelerazione delle decisioni di spesa per rispettare i vincoli definiti dalla programmazione comunitaria (Fondi strutturali). La tendenza alla diminuzione progressiva degli investimenti dovrà essere necessariamente contrastata, tenendo conto che gli Enti locali sono stati e costituiscono un attore chiave nel rispondere al recupero del gap infrastrutturale e del rilancio dello sviluppo; nel 2016 hanno infatti realizzato il 52,4 per cento di tutti gli investimenti della PA. Il disegno di legge di bilancio 2018 amplia gli spazi finanziari riconosciuti ai Comuni (aggiungendo 200 milioni annui nel biennio 2018-2019 e disponendone un ulteriore finanziamento di 700 milioni annui nel quadriennio 2020-2023) e stanzia altri 850 milioni nel triennio 2018-2020 per contributi agli investimenti in opere pubbliche di messa in sicurezza degli edifici e del territorio degli enti locali.
Lo stesso rapporto della Commissione Europea Boosting investment in social infrastructure evidenzia il ruolo centrale dei governi locali negli investimenti in infrastrutture in Europa; il rapporto segnala innanzitutto che l’investimento complessivo in infrastrutture nel 2016 risulta inferiore del 20% rispetto a quello rilevato nel 2007. E questa dinamica appare ancora più rilevante nelle “periferie dell Europa”; nella periferia Sud in cui il nostro paese è collocato insieme a Portogallo, Spagna e Grecia e Cipro e nella periferia dell’Europa dell’Est, Balcani e Sud Est. In queste periferie la diminuzione rispetto ai livelli di investimento pre crisi varia tra il 9% ed il 27%.
Il rapporto presenta anche altre indicazioni interessanti, anche se è opportuno ricordare, fa riferimento ad un intervallo temporale 2013 – 2014, poco utile per comprendere le tendenze reali negli ultimi due tre anni. Tra queste la distribuzione del peso relativo tra investimenti finanziati dal livello centrale, dal livello locale; in Europea 2/3 degli investimenti sono di responsabilità delle PA subnazionali (Enti Locali, enti di governo subnazionali come Regioni – Provincie – Lander) ed il nostro paese e pienamente allineato a questa tendenza. Inoltre il rapporto evidenzia (sempre facendo riferimento ai dati 2013 – 2014) che le amministrazioni locali investono in misura superiore alle amministrazioni nazionali locali in ambiti quali abitazioni e servizi per le comunità, protezione dell’ambiente, cultura e tempo libero, welfare sociale ed educazione.
Se i governi locali sono quindi “naturalmente” chiamati ad assumersi maggiori responsabilità sul fronte degli investimenti per i servizi alla persona e per le infrastrutture sociali, nel nostro paese come in altri paesi europei, occorre capire quali saranno gli effettivi margini di intervento in futuro.
Nei prossimi anni si aprono sicuramente spazi di manovra per nuovi investimenti, riconducibili alla messa in campo di risorse proprie grazie all’alleggerimento dei vincoli del Patto di stabilità interno, sostituito dal pareggio di bilancio, e riconducibili a risorse proprie ed a risorse provenienti da trasferimenti di tipo orizzontale (tra amministrazioni locali della stessa Regione) o di tipo verticale. Il rilancio degli investimenti comunali non è pero semplicemente legato all’ incremento delle risorse disponibili ma dipende significativamente dalla ripresa della capacità di progettazione degli enti locali, da decisi interventi di semplificazione del quadro normativo di riferimento, dal rafforzamento dei meccanismi (come il patto nazionale verticale) che favoriscono lo sblocco degli ingenti avanzi accumulati in passato da numerosi comuni.
Questo è il fenomeno dell’over shooting (letteralmente il sovra centrare il bersaglio), che ha interessato particolarmente Emilia Romagna e Lombardia, viene definita la capacità dei Comuni di conseguire risultati finanziari superiori a quanto richiesto dal pareggio di bilancio. Alcuni osservatori (ma il dato viene messo in discussione) quantificano questo fenomeno in risorse pari a 6 miliardi €, risorse che potrebbero essere messe a disposizione per ulteriori investimenti. Una analisi più articolata, condotta sempre all’ interno del rapporto IFEL ANCI e confermata dagli interventi delle Regioni Emilia Romagna e Lombardia, discussi nel workshop promosso dalla Regione Toscana nel novembre 2017, conferma che vi sono spazi significativi pari a circa 2 miliardi € che si concentrano in Emilia Romagna ed in Lombardia; l’overshooting e del tutto assente nelle Regioni del Mezzogiorno, ad esclusione di cifre molto modeste in Sicilia.
Importanti e significativi sono i dati sull’ andamento della spesa corrente, che è possibile quantificare in 85 miliardi € (dato ISTAT 2015); tra il 2010 ed il 2015 la spesa corrente delle amministrazioni locali è aumentata complessivamente del 3% a prezzi correnti, il che significa, considerando la dinamica inflazionistica, leggermente diminuita.
Sulla dinamica della spesa ha inciso sicuramente la riduzione della spesa del personale, ricordata in precedenza; la riduzione relativa della spesa corrente si e sviluppata in un contesto caratterizzato dalla crescente autonomia finanziaria salita dal 55% del 2010 al 73% al 2016. Il rapporto IFEL ANCI presenta la dinamica della spesa per i diversi settori di intervento, da quelli generatori di spesa, come trasporto pubblico locale e la gestione dei rifiuti, che hanno mantenuto il loro peso relativo ad altri che sono, come vedremo, direttamente legati alla spesa sociale, quale educazione ed istruzione, socioassistenziale o amministrazione (pensiamo alla sicurezza o ai servizi per gli immigrati); questi ultimi hanno registrato una significativa contrazione.
Interessanti sono le considerazioni che emergono da uno studio comparativo sui processi di pianificazione strategica e sui processi di bilancio in quindici grandi città – Roma, Milano, Napoli, Torino, Bari, Firenze, Bologna, Genova, Venezia, Catania, Messina, Palermo, Verona, Padova e Trieste – nel periodo 2011 – 2013; lo studio è stato svolto da Denita Cepiku, Filippo Giordano ed Andrea Bonomi Savignon ed è stato recentemente pubblicato(2018). La ricerca presenta gli effetti dell’approccio adottato nel far fronte alla crisi e individua tre principali “cluster” o meglio gruppi di città, che si distinguono in relazione alle scelte politico amministrative adottate. Nel primo gruppo, definito dall’autrice e dagli autori come le città inerziali, (Roma, Milano, Genova, Bari, Catania, Venezia, Verona, Messina, Padova e Trieste) sono inserite Città che hanno scelto di non ridurre i livelli di spesa corrente, di agire sulla leva fiscale (incremento tasse e tariffe) e di ridurre gli investimenti. Il gruppo incrementalista, o meglio basato su un approccio di risposte di gestione contingente e mirate ad affrontare e risolvere i problemi, via via che questi si pongono.
Il gruppo comprende le città di Napoli, Bologna e Firenze ed è caratterizzato da comportamenti eterogenei, legati ad aggiustamenti marginali alla crisi. Le città sono riuscite a ridurre il livello dell’indebitamento, attraverso soluzioni differenziate rappresentate per Bologna da un miscela tra aumento degli investimenti, riduzione delle spese correnti e bassi livelli di imposizione fiscale. Firenze, invece, ha conseguito la riduzione del debito attraverso un taglio consistente degli investimenti ed un aumento della pressione fiscale. Infine nel cluster della pianificazione razionale, sempre secondo gli autori, è inserita Torino, che forte di una esperienza almeno decennale di pianificazione strategica, ha scelto di integrare nel piano strategico 2011 – 2013 priorità, obiettivi e gestione finanziaria, pur non riuscendo ad invertire la tendenza alla rigidità della spesa corrente ed a ridurre l indebitamento.
La ricerca presenta, come già sottolineato per Boosting social infrastructure in Europe, un limite importante, legato al fatto che considera il periodo 2011 – 2013 e non registra le politiche di intervento e di impatto sulla gestione corrente che si sono sviluppate dal 2014 ad oggi, in ambiti quali disagio sociale e nuove povertà, immigrazione, manutenzione ordinaria e straordinaria delle infrastrutture collettive (ad esempio gli edifici scolastici, edilizia pubblica e popolare) e sicurezza urbana. Inoltre non prende in esame la capacità di collegare interventi di finanza locale con interventi di finanza sociale; se consideriamo ad esempio ad esempio negli ultimi 3 anni i casi di Milano e Roma, ne emerge chiaramente la capacità di Milano di aver promosso e sviluppato un approccio integrato al crowdfunding civico, che ha permesso di raccogliere 300.000 € (con un effetto leva di altri 300.000 € messi a disposizione dal Comune) destinati al finanziamento di 16 progetti. Altro esempio significativo e il bando 2017 per le periferie urbane, che ha messo a disposizione 540.000 € destinati a 150 progetti per la rigenerazione urbana in cinque quartieri strategici.
In conclusione le valutazioni sulla andamento della spesa corrente, riferite all’ insieme delle amministrazioni locali che a specifici segmenti, come il caso dei grandi Comuni e soprattutto ed ite all’ intervallo temporale 2010 – 2016, sono sempre riconducibili alle aree consolidate e tradizionali di intervento; diventa urgente muoversi con decisione verso una integrazione/modifica dei sistemi di rilevazione e soprattutto di rendicontazione delle informazioni economico finanziarie, modifica finalizzata a mettere a disposizione informazioni più puntuali su dinamiche rilevanti quali marginalità e disagio sociale, nuove povertà e marginalità amministrativa. Del resto l’orientamento a rilevare e rendicontare ciò che già si conosce bene è confermato dal rapporto già citato della task force della Commissione Europea, che concentra l‘attenzione su area consolidate di bisogno, rappresentate dalla educazione e dalla formazione ed apprendimento (lifelong learning), dalla sanità / salute e dai servizi di lungodegenza (long term care) e dall’ housing (nel rapporto non si parla di housing sociale ma di affordable housing).
La modalità di classificazione economico funzionale, basata da un lato sulle tipologie di fattori produttivi utilizzati (personale, acquisti di beni e servizi ecc…) e dall’altro sui settori di intervento, utilizzata nei sistemi contabili adottati dagli Enti locali e base di riferimento per le relazioni ISTAT , risulta poco adeguata a fornire informazioni su dinamiche puntuali collegate alla crisi economica e sociale. Un esempio che vale per tanti; i servizi per immigrati e rifugiati, erogati grazie al sistema SPRAR, sono suddivisi, nei bilanci degli enti locali tra diverse funzioni come amministrazione ed educazione e sociale.
In conclusione le amministrazioni locali sono in grado di mettere in campo circa 90 miliardi di euro di spese correnti, da sommare ad investimenti in ripresa con un ulteriore surplus di investimenti pari a 9-10 miliardi € , legati al superamento dei vincoli del Patto di stabilità interno , ad avanzi di bilancio ed alla messa in atto di meccanismi di perequazione orizzontale (all interno della singola Regione) e verticale (dallo Stato agli enti locali) sul modello di quanto avviene in alcuni Stati europei. Si rinvia a questo proposito alle considerazioni contenute nella pubblicazione IFEL ANCI 2014 Crisi ed investimenti locali in Europa (a cura di Pierciro Galeone e Marco Meneguzzo) in cui vengono analizzati i meccanismi di perequazione orizzontale attivati in Austria, Germania e Svizzera; nella Confederazione elvetica molto rilevante il modello della NPC perequazione finanziaria e dei compiti tra Confederazione e i Cantoni, a cui guarda ad esempio la Lombardia.
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