Tali esperienze si collegano ad una attitudine antica dell’agricoltura – da sempre caratterizzata dal legame tra azienda agricola e famiglia rurale e da pratiche di solidarietà e mutuo aiuto – che oggi si presenta come un’ulteriore declinazione del concetto di multifunzionalità, capace di fornire risposte a variegati bisogni della società, soprattutto in ragione dei cambiamenti che interessano e interesseranno negli anni a venire il sistema del welfare.
La multifunzionalità dell’agricoltura è da tempo elemento di riferimento essenziale per l’evoluzione del mondo agricolo, ampiamente affermato dalla legislazione europea e nazionale, che riconosce all’agricoltura la capacità di produrre non solo cibo, ma anche numerosi altri beni e servizi utili. E si tratta non solo di beni e servizi suscettibili di una valutazione economica – e quindi diretti ad assicurare una diversificazione delle attività idonea a garantire opportunità di integrazione del reddito degli agricoltori – ma soprattutto di beni e servizi immateriali caratterizzati da un’utilità sociale che fornisce risposte a crescenti domande dei cittadini: dalla tutela dell’ambiente e del paesaggio al presidio e alla salvaguardia del territorio e delle aree rurali, dall’uso sostenibile delle risorse naturali alla sicurezza alimentare.
L’agricoltura sociale si caratterizza quindi per esprimere il ruolo multifunzionale dell’agricoltura nel campo dei servizi alla persona, affiancando alla tradizionale funzione produttiva la capacità di generare benefici per fasce vulnerabili della popolazione, dando luogo a servizi innovativi che possono rispondere efficacemente alla crisi dei tradizionali sistemi di welfare e alla crescente richiesta di personalizzazione e qualificazione dei servizi sociali.
La possibilità per l’uomo di lavorare a contatto con il mondo vegetale ed animale, in un processo produttivo strettamente connesso con il ciclo della natura, risulta capace di generare effetti benefici sulle capacità motorie e psichiche, permettendo ad alcune fasce di popolazione in condizioni di marginalità, di sentirsi utili e partecipi della crescita economica.
Nelle esperienze di AS l’intervento sociale si colloca quindi in situazioni autenticamente produttive ed organizzate in forma di impresa e quindi non in una logica assistenziale. In particolare, l’inclusione sociale delle persone svantaggiate si realizza attraverso un’integrazione lavorativa nell’attività aziendale che punta all’ autosostenibilità economica dell’occupazione creata, grazie a modelli commerciali che permettano alle fattorie sociali di essere competitive sul mercato.
Per le istituzioni pubbliche favorire lo sviluppo dell’agricoltura sociale rappresenta quindi un interesse non solo etico, ma anche economico. Infatti, in termini economici, investire nelle fattorie sociali è motivo di ottimizzazione dei costi, perché consente alle persone, attraverso il lavoro, di passare dalla condizione di soggetto assistito alla condizione di soggetto attivo, dall’essere un costo all’essere una risorsa.
Al contempo, le pratiche di AS offrono un rilevante contributo allo sviluppo del territorio e delle comunità rurali, in quanto creano nuove opportunità di reddito e di occupazione, offrono concrete prospettive di inclusione sociale per soggetti vulnerabili, generano servizi per il benessere delle persone e delle comunità, migliorano la qualità della vita nelle aree rurali e periurbane, creano beni relazionali.
L’agricoltura sociale, più che una forma di diversificazione aziendale, rappresenta una possibile forma di economia e di agricoltura civile, dove i meccanismi del mercato, del dono e della reciprocità operano in forma combinata nella regolazione degli scambi locali tra i membri della comunità. Essa appare una pratica di «buona» economia e di «buona» crescita, che nell’attuale fase può costituire una piccola grande rivoluzione copernicana nelle modalità di fare agricoltura, in quelle dell’intervento sociale e nei modi di fare economia e sviluppo locale.
Sul piano organizzativo l’AS si esprime in una molteplicità di modelli, nati essenzialmente sulla base di iniziative spontanee. Si tratta, spesso, di realtà aggregate – nel senso che coinvolgono imprese o cooperative sociali agricole, ma anche servizi sanitari pubblici, associazioni e altre realtà del territorio – che utilizzano le norme attualmente vigenti a livello nazionale o regionale per formalizzare accordi o protocolli. In ogni caso è da segnalare la particolare attitudine di queste esperienze a “mettersi in rete”.
Nonostante la presenza di esperienze di collaborazione e di creazione di reti territoriali di AS vi è ancora un problema di creazione di conoscenza collettiva sul territorio e di collaborazione, di riuscire a mettere insieme le competenze in possesso della cooperazione sociale con le competenze che gli imprenditori agricoli hanno nel gestire processi i produttivi. Lo scopo è quello di creare reti in cui vi siano poli più presidiati dalle competenze sociosanitarie, dove necessario, ma connessi ad altre esperienze, progetti e reti, magari più informali, che consentano la progressiva uscita delle persone da strutture formali verso la società complessiva, in una logica di giustizia sociale e non assistenziale.
L’AS viene a intersecarsi, infatti, anche con gli obiettivi di salute già individuati dai piani sanitari nazionali, come la promozione di stili di vita più salutari, la salvaguardia dell’ambiente e il potenziamento della tutela dei soggetti “deboli”. L’agricoltura sociale può concorrere al raggiungimento di tali obiettivi, creando un circolo virtuoso in cui salute mentale e stile di vita salutare si potenziano vicendevolmente. Inoltre, nel campo della salute mentale, ma più in generale della disabilità, esistono esigenze che non sono soddisfatte nei luoghi tradizionali di cura e quindi la necessità di trovare nuovi percorsi di inclusione non convenzionali, sostenuti da reti di solidarietà in grado di catturare potenzialità inespresse del territorio.
Di fronte alle nuove esigenze anche finanziarie connesse all’invecchiamento della popolazione, l’agricoltura sociale può già offrire percorsi innovativi. Questa esperienza può aiutare a colmare un vuoto, perché è in grado di generare benefìci per una serie di fasce vulnerabili o svantaggiate, dando luogo a servizi innovativi che possano rispondere, da una parte, alla crisi dei sistemi di assistenza sociale, dall’altra al problema della riduzione della spesa sanitaria.
I benefici per le persone, confermati da evidenze scientifiche, appaiono riconducibili ad una pluralità di fattori che creano condizioni di cura o di benessere: il fattore natura, in quanto la vita all’aperto produce benessere e le persone si sentono più attive e motivate; l’importanza dell’attività fisica, con l’impegno delle persone in attività aventi uno scopo, ritmi e compiti precisi; la specificità dell’attività agricola che consiste nel prendersi cura di altri esseri viventi.
Circa il tema del rapporto tra il mondo agricolo e quello sociale, bisogna rilevare che i due ambiti non sono separati e non sono separabili, perché si intersecano nelle varie attività. Può succedere che alcune realtà abbiano una valenza più produttiva e offrano inserimento lavorativo e posti di lavoro per soggetti svantaggiati, mentre altre hanno una valenza più di tipo terapeutico-riabilitativa, fermo restando che in entrambi in casi siano necessarie le competenze richieste per l’attività concretamente svolta.
Sulla base di questa impostazione, si ritiene che dovrebbero essere considerati tre modelli di agricoltura sociale: le imprese agricole e le strutture rivolte prevalentemente alla produzione e al mercato, a prescindere dalla natura giuridica; le strutture terapeutiche, riabilitative e sociosanitarie; altre esperienze di carattere più complessivo e aperto (fattorie didattiche, impegno per gli anziani, e in generale servizi alla cittadinanza).
Una forma importante di sostegno alle esperienze di AS viene individuata nell’introduzione di criteri di priorità nelle assegnazioni di terreni di proprietà pubblica e di quelli confiscati alle mafie (Rete delle fattorie sociali, Forum nazionale dell’agricoltura sociale, INEA).
La considerazione del valore di tali esperienze costituisce la premessa di fondo dalla quale bisogna trarre le ragioni per cercare di fornire, sul piano parlamentare, sostegni agli operatori coinvolti e agevolarne le attività, finora avviate in un contesto di difficoltà normative e amministrative.
Bisogna maturare la convinzione della necessità di dotare l’agricoltura sociale di un definito quadro di riferimento legislativo a livello nazionale, al fine di accompagnarne compiutamente lo sviluppo in un percorso coordinato sul piano istituzionale. Si dovrebbero quindi individuare a livello nazionale i principi regolatori dell’attività, al fine di costruire una cornice di riferimento per la legislazione regionale e di coordinare le politiche e le competenze interessate, evitando tuttavia i rischi di una eccessiva codificazione.