Secondo qualcuno l’idea di gender rappresenta l’ultima (la più dernière) e la più estrema battaglia per conseguire una maggiore uguaglianza: è considerata una forma di progresso sociale. E certamente questa battaglia s’inserisce in un processo evolutivo che ha accompagnato questo secolo, nonché il precedente, per contrastare – se non annullare – ogni forma di diseguaglianza. Eppure noi non riusciamo a considerare questa battaglia come una forma di progresso: ci appare semmai come un fatto regressivo di un lungo processo evolutivo. Ci pare che l’idea di diseguaglianza non sia sovrapponibile a quella di differenza. Nel focus di questo mese, dunque, affrontiamo questo delicato tema, che chiama in causa sensibilità assai differenti, etiche e vite diverse. Lo facciamo con l’intento di capire, ma anche di offrire un nostro punto di vista: non siamo tra quelli che ritengono la neutralità un valore. E neppure l’equidistanza.
L’ideologia gender non nasce dal nulla, perché potrebbe essere considerata come una degli esiti di un lungo processo di liberazione da ogni schiavitù, come spiega con brillante sintesi Marco Guzzi: ma come ogni processo sociale, anche questo non è a senso unico, può avere più sbocchi, tra cui uno sbocco distruttivo e uno sbocco che va verso un nuovo modello di coniugazione dei sessi.
La coniugazione dei sessi richiede un’educazione: si nasce maschio o femmina, si acquisisce un’educazione maschile e femminile. Anche il meditato pezzo di Tonino Cantelmi si concentra sull’importanza di educare alla sessualità, non prima di aver chiarito una distinzione basica, rispetto a questo tema, ovvero quella tra sesso e genere, una distinzione che non è puramente terminologica ma che porta con sé tutta una una cultura differente. Questa distinzione si fonda, più profondamente, su un’altra: la differenza tra natura e cultura.
È possibile modificare ciò che è prodotto dalla natura? È opportuno? Ma la domanda che sta più a fondo è: cosa appartiene all’ambito della natura e cosa appartiene all’ambito della cultura? L’articolo di Francesco Valerio Tommasi prova a delineare questa differenza di ambiti rispetto all’antropologia. Cos’è il naturale? Cos’è il culturale? La scienza può sostituire la natura? È l’interrogativo a cui cerca di dare risposta Alessandro Giuliani, che… provoca (e incuriosisce) lanciando un referendum per l’abolizione della legge di gravità! D’altra parte, forse, di qualche norma c’è bisogno. Vincenzo Antonelli ci presenta in poche parole il quadro giuridico che cerca di normare le situazioni che non si conformano al solo matrimonio così come previsto dalla nostra Costituzione. L’esperienza italiana, tra interpretazioni, leggi non approvate e battaglie passionali segna ancora il passo. E questo è un vuoto.
Tocca anche a noi cristiani impegnati in politica dire con chiarezza il nostro punto di vista, rispettando ciò che è ormai un patrimonio consolidato della Dottrina sociale della Chiesa, così come argomenta con efficacia il pezzo di Claudio e Laura Gentili. La politica, come si vede, deve ancora dire una parola finale. Basterebbe anche una mezza parola: basta che parli e provi a far sintesi.
Noi non chiediamo il trasferimento diretto e immutato di tutta un’etica in politica, però chiediamo che una saggia decisione politica si fondi su un’etica che pone l’esperienza umana al centro. Non chiediamo, insomma, una legge perfetta: pretendiamo però una legge profondamente umana, capace di comprendere la complessità dell’umano, e non solo i suoi desideri o voleri. Se ci fosse una legge così, andrebbe bene anche lievemente imperfetta. Un qualcosa del genere, insomma…