Il primo passo per giungere ad una soluzione di un problema è partire dall’individuazione della giusta domanda. In tal senso, il Documento preparatorio al prossimo Sinodo dei Vescovi correttamente si interroga sulla difficile condizione giovanile in Italia e sulle risorse da attivare affinché le giovani generazioni possano divenire soggetti attivi del cambiamento.
L’Italia soffre in maniera più accentuata una serie di problematiche che anche altri paesi del mondo occidentale vivono: la disoccupazione giovanile elevata che, sempre più frequentemente, conduce ad un incremento allarmante del numero dei Neet; l’accentuata precarizzazione del lavoro che incide sulle sicurezze individuali e frammenta le esistenze collettive; l’impoverimento degli strumenti di welfare a sostegno dei giovani e lo sbilanciamento di risorse economiche verso le prestazioni erogate ad una popolazione sempre più anziana; lo scarso sostegno alle politiche abitative e l’assenza di strutture pubbliche rivolte ai bambini per aiutare famiglie e madri; la rabbia verso un sistema percepito come escludente nei confronti di un numero via via sempre più elevato di cittadini e fasce sociali che diviene intolleranza.
Negli ultimi anni si sono acuite le differenze tra vecchie e nuove generazioni: da una parte, la difficoltà ad adeguare il nostro sistema produttivo alle rinnovate necessità economiche globali, dall’altra, la riduzione delle risorse disponibili dovuta all’alto debito pubblico accumulato e alla lunga crisi economica che ha sottratto finanze utili ad aggiornare il nostro sistema di assistenza ed inclusione sociale. I giovani italiani sono rimasti costretti in una morsa micidiale: meno risorse economiche – e scarsa cognizione da parte delle classi dirigenti del cambiamento epocale che stiamo vivendo – proprio nel momento in cui l’organizzazione del lavoro subiva una rivoluzione e il welfare tradizionale si rivelava insufficiente ad includere la nuova società, meno solida, che andava formandosi.
Nel mentre, si è sgretolata la funzione sociale dei soggetti politici, si sono ridotte le capacità di analisi, studio, si è affievolita la propensione alla cooperazione delle organizzazioni industriali e del commercio. Il ruolo stesso delle istituzioni statali è entrato in crisi e le professionalità di cui dispone (dal professore di scuola, al ragioniere del comune, al medico condotto) sono costantemente messe in discussione da una società incapace di affidarsi, seppur criticamente, al giudizio e al consiglio qualificato di soggetti terzi. In una società sempre più polverizzata, atomizzata, refrattaria all’opera comunitaria e segnata profondamente da disillusione, pessimismo e superficialità una revisione della propria collocazione sociale investe gli istituti religiosi e la spiritualità soggettiva.
Oggi progettare è un’opera titanica poiché nella società del “tutto e subito” – del “life is now” – traguardare l’immediato per tentare di scrutare il futuro è complicatissimo, tanto più se l’azione programmatoria necessita di un impegno individuale in un contesto collegiale. Appare, invece, prevalere l’isolamento soggettivo, la ricerca del proprio immediato quanto effimero successo, e una scarsa propensione al sacrificio in vista di un traguardo più importante in divenire.
La Chiesa si interroga sugli effetti dei cambiamenti epocali degli ultimi decenni e ne indaga le ragioni profonde: è un modo per intervenire prima di tutto su se stessa, rinnovando la propria missione e il proprio ruolo nella nuova organizzazione sociale. Le domande che il mondo cattolico italiano si pone hanno insieme un intento indagatore e programmatico, quasi politico, quando si afferma che “se nella società o nella comunità cristiana vogliamo far succedere qualcosa di nuovo, dobbiamo lasciare spazio perché persone nuove possano agire. In altri termini, progettare il cambiamento secondo i principi della sostenibilità richiede di consentire alle nuove generazioni di sperimentare un nuovo modello di sviluppo. Questo risulta particolarmente problematico in quei Paesi e contesti istituzionali in cui l’età di chi occupa posti di responsabilità è elevata e rallentano i ritmi di ricambio generazionale”. In poche parole un vero e proprio “manifesto” sociale che individua la necessità di costruire un cambiamento sostenibile mediante la promozione di un nuovo modello di sviluppo al quale non possono mancare di offrire un determinante contributo le giovani generazioni, ovviamente messe nelle condizioni di essere supportate adeguatamente in un nuovo patto sociale.
Il Forum Nazionale dei Giovani da anni opera proprio in questa direzione mediante una molteplicità di azioni: da una parte, stimolando i giovani ad assumersi responsabilità, ad avere il coraggio di porre con forza un nuovo punto di vista, ad acquisire professionalità studiando e qualificando il proprio bagaglio culturale; dall’altra, sollecitando istituzioni pubbliche e soggetti privati, rappresentanti politici e sindacali, categorie professionali e produttive, settori della formazione e della cultura a porre al centro della propria riflessione e della propria azione la difficile condizione dei giovani attuali e delle generazioni future.
Per questo, riteniamo necessario costruire un nuovo sistema di inclusione sociale, un welfare che tenga conto della flessibilità del lavoro ma che non calpesti le esistenze; è fondamentale costruire le condizioni per il mutamento mediante la promozione di nuove occasioni e opportunità, la valorizzazione dei talenti e, uscendo dalla retorica delle eccellenze, è necessario produrre inclusione innalzando la qualità media delle nostre competenze lavorative, della nostra organizzazione sociale e delle nostre vite.
La sfida che abbiamo di fronte è forte: ripensare l’uomo contemporaneo in relazione ai rischi di un mondo globale e dei tumultuosi mutamenti derivanti dall’innovazione tecnologica e produttiva. Ma anche ripensare all’organizzazione sociale, all’economia, ai diritti del lavoro, alle relazioni internazionali e agli scambi culturali, alle politiche migratorie e di redistribuzione delle ricchezze perché siano in funzione delle esigenze dell’uomo. Soltanto un nuovo patto tra generi e generazioni, tra laici e religiosi, tra italiani europei e migranti, che tenga conto dell’uomo, può dare un futuro diverso al nostro Paese.
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