Prendere sul serio i giovani, la loro cultura, le loro esigenze, le loro risorse e le loro fragilità mette di fronte alla necessità del cambiamento, così da aprirsi alla novità di cui queste generazioni sono portatrici: è anche questa, o forse soprattutto questa, la posta in gioco dell’ormai imminente Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani.
Il titolo dell’Assemblea dei vescovi, che accosta i tre termini “giovani”, “fede” e “discernimento vocazionale”, rischia di risultare ostico e di lasciare nell’ombra il percorso che li lega o di fare apparire ciò che accadrà in Vaticano come un evento unicamente intraecclesiale. In realtà, il Sinodo tocca un punto cruciale per l’intera società, e non solo quella italiana: lo spazio a disposizione dei giovani per tracciare il proprio percorso di vita e il sostegno su cui possono contare per compiere le scelte necessarie a tal fine. Pensiamo ad esempio a ciò che si legge al n. 14 dell’Instrumentum Laboris: «Oggi tra giovani e adulti non vi è un vero e proprio conflitto generazionale, ma una “reciproca estraneità”: gli adulti non sono interessati a trasmettere i valori fondanti dell’esistenza alle giovani generazioni, che li sentono più come competitori che come potenziali alleati». Si tratta, evidentemente, di una constatazione che interpella l’intera società. Questa divisione percorre non solo le famiglie, ma anche il mondo della scuola, quello del lavoro e le realtà ecclesiali, a partire dalle parrocchie.
Provare ad affrontare la questione non solo in chiave diagnostica, ma lasciando emergere, attraverso un serio lavoro di ascolto e di interpretazione condiviso, concreti itinerari di cambiamento per costruire una rinnovata solidarietà tra le generazioni è la posta in gioco del Sinodo, attraverso cui la Chiesa svolge nei confronti dell’insieme della società il servizio di indicare una priorità che non può essere disattesa.
Facendo più specificamente riferimento al rapporto tra i giovani e la Chiesa, mi pare siano essenzialmente tre i nodi problematici che il percorso sinodale ha fatto emergere.
Vi è anzitutto un problema di comunicazione tra la Chiesa, in particolare le sue istituzioni ufficiali, e il mondo giovanile, in particolare quella parte, maggioritaria in molti Paesi anche di tradizione cattolica, che non ha un riferimento ecclesiale preciso e non si riconosce in strutture e organizzazioni di ispirazione cattolica. Con accenti e prospettive diverse lo affermano tanto i giovani quanto le Conferenze episcopali che hanno risposto al questionario proposto dal Vaticano nella fase preparatoria. I giovani segnalano la difficoltà a sentirsi davvero accolti e ascoltati all’interno della Chiesa, a ricevere fiducia e a trovare spazi di protagonismo. Li tengono lontani non solo un generale disinteresse, ma anche la «scarsa preparazione» dei sacerdoti, oltre agli scandali economici e sessuali.
Diverse Conferenze episcopali, dal canto loro, dichiarano di non conoscere o non comprendere alcuni tratti caratteristici del mondo giovanile e spesso di esserne spaventate, ad esempio riguardo alla pervasività dei media digitali, alla cultura globale di cui sono portatori, alle sue conseguenze sulla comprensione della realtà, le dinamiche di apprendimento e la strutturazione delle relazioni interpersonali. Il risultato di questa fatica comunicativa è l’allontanamento dalla Chiesa da parte di molti giovani, pur portatori di domande e di sensibilità autenticamente spirituali.
La questione investe così la capacità della Chiesa di presentarsi come interlocutore credibile dei giovani, molto attenti ai temi della trasparenza e della coerenza e abituati a vivere in contesti di pluralismo, in cui diverse visioni del mondo sono immediatamente a contatto e a confronto, se non in lotta. Il peso di scandali e abusi di ogni genere non può essere sottostimato, ma ancora più cruciale è la gratuità dell’annuncio: i giovani sono particolarmente sensibili ai tentativi di strumentalizzazione da parte degli adulti e tendono ad allontanarsi quando percepiscono che l’interesse nei loro confronti non è genuino, ma motivato da una logica di autoconservazione istituzionale. Anche nei confronti della Chiesa i giovani desiderano giocare da protagonisti, a partire dalla propria originalità e dalle peculiarità della cultura di cui sono portatori, ricevendo appoggio e fiducia sincera, senza sentirsi ingranaggi di un meccanismo che li supera.
Un secondo nodo che emerge con forza è quello della cultura dell’accompagnamento. I giovani manifestano con forza un bisogno di sostegno e vicinanza da parte di figure di riferimento lungo il processo di crescita verso la maturità, in un mondo che si fa sempre più complesso e segnato da incertezza e precarietà, rendendo ogni scelta estremamente faticosa. Per portare a termine questo compito i giovani cercano aiuto, ma a condizione che non sia venato da paternalismo o da tentativi di manipolazione e controllo.
Parlare di cultura dell’accompagnamento significa mettere a tema il rapporto tra generazioni, chiedendo a ciascuno di assumere il proprio ruolo e anche il proprio limite, evitando ambiguità e confusioni. In un mondo sempre più variegato, rinnovare la cultura dell’accompagnamento richiede anche di valorizzare il potenziale di tutte le figure che, a vario titolo e per diverse ragioni, assumono un ruolo di riferimento nella vita dei giovani. La classica figura dell’accompagnatore spirituale (che può essere non solo un sacerdote, ma anche una religiosa, un laico o una laica) non perde di importanza, ma non può godere di una sorta di monopolio. Esercitano un ruolo di accompagnamento certamente i genitori, ma anche molte altre figure: insegnanti, educatori, allenatori, psicologi, medici, colleghi anziani, amici coetanei e, infine, la comunità cristiana nel suo insieme. Tutti hanno ovviamente bisogno di aiuto e formazione per assumere ed esercitare al meglio questo ruolo.
A proposito di accompagnamento, poi, non vanno dimenticate le situazioni di marginalità socio-economica o culturale (a partire dalla mancanza di lavoro, drammatica in alcuni Paesi), o in cui i giovani fanno esperienze estreme di dolore (il caso della malattia), di violenza (vittime di tratta e di abuso, bambini-soldato, ecc.) o di alienazione (dipendenze, disturbi alimentari, forme di distacco dal mondo reale e di rifugio in quello virtuale): anche a questi giovani è necessario offrire opportunità di accedere alla gioia e alla pienezza della vita, anzi più che in altri casi è indispensabile scoprire le forme migliori per rendere un servizio di accompagnamento.
Un terzo nodo, infine, ha a che fare con quella che potremmo chiamare la “Chiesa relazionale”. La sfiducia nelle istituzioni è senza dubbio uno dei tratti caratteristici della cultura contemporanea, in particolare giovanile. Incoerenze e fallimenti minano alla base la loro pretesa di rappresentare un punto di riferimento, ma non è solo questione di scandali. Questa situazione non può non interrogare la Chiesa, che proprio della sua struttura istituzionale fa uno degli elementi portanti della propria azione e che rischia di diventare un boomerang, se non è accompagnata dalla capacità di costruire relazioni interpersonali autentiche.
È una dimensione di concretezza che per la mentalità dei giovani risulta più credibile di qualsiasi argomentazione teorica. Il senso, anche quello di una appartenenza istituzionale, oggi non può essere dato per scontato, definito a priori o ricevuto dall’alto, ma deve essere costruito e scoperto da ciascuno attraverso un percorso di apprendimento dall’esperienza. L’orizzonte istituzionale non è escluso per principio, ma rappresenta un punto di arrivo e non di partenza, che si tratti dell’appartenenza a una associazione (ecclesiale o meno), così come della stabilizzazione di un legame affettivo in una configurazione istituzionale come il matrimonio. Incontriamo qui elementi di continuità con il lavoro dei due Sinodi sulla famiglia: il procedere per tentativi, per prove ed errori anche nella costruzione del proprio itinerario esistenziale non può essere ridotto a espressione di superficialità e incostanza, ma rappresenta una strategia in un’epoca in cui ci si deve muovere senza una mappa del territorio definita in ogni dettaglio (cioè senza le grandi narrazioni ideali ed ideologiche in cui si iscrive la totalità della realtà e della vita).
Una mentalità di questo genere spiazza il modello di Chiesa che si è andato costruendo nel corso dei lunghi secoli della cristianità, al cui interno molti adulti sono comunque cresciuti e a cui continuano a fare riferimento in modo più o meno irriflesso, senza riuscire a comprendere o magari persino scandalizzandosi quando si azzera la presa di questo modello sulle generazioni più giovani. La sfida del Sinodo è proprio quella di scoprire all’interno della tradizione spirituale e teologica della Chiesa quelle ricchezze che possano consentirle di sintonizzarsi anche con la mentalità di questa epoca, così da poter continuare a mostrare la rilevanza e la vitalità del messaggio evangelico per ogni generazione.
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