La pace è bella. Non solo nel senso estetico. Ma soprattutto sul piano etico. La bellezza, parola poco usata in politica, ha in sé un contenuto fortemente etico, in quanto l’idea di bello e quella di bene sono legate dalla medesima radice etimologica latina (bellus è il diminutivo di una forma antica di bonus=buono). La pace è strettamente connessa con la politica.
La pace è bella perché è buona. All’apparenza potrebbe sembrare una frase troppo elementare, quasi infantile. Ma nelle profondità delle nostre coscienze conosciamo tutti cosa significa stare bene. Sappiamo cos’è il bene per noi. Tanto che, quando lo viviamo, associamo inconsapevolmente queste due parole: perché tutto ci appare più bello.
La bellezza della pace è, però, una condizione segnata da una profonda ambivalenza: è tanto sensibile quanto invisibile. Tanto importante quanto effimera. La proviamo personalmente con tutti i nostri sensi, emotivamente ed anche fisicamente. Quando siamo in pace il nostro volto si allarga al sorriso e le tensioni che spesso ci oscurano tendono a sparire per dar spazio ad espressioni di serenità. Ma tutto rimane sul piano soggettivo. Narrare la bellezza della pace diventa molto più complicato quando cerchiamo di rappresentarla nella sua dimensione sociale e collettiva: la fine di una guerra, il ritorno ad una normalità agognata e sofferta. Ci accorgiamo a questo punto di quanto sia difficile rendere per immagini la pace.
Al contrario siamo immersi, da sempre, dentro una narrazione visiva della guerra, della violenza e della brutalità. Le guerre ed i conflitti hanno abitato il mondo da sempre. Siamo esseri in perenne stato conflittuale. Una condizione antropologica? Una dimensione ineliminabile? Polarizzazione e frazionamento sono le coordinate che caratterizzano le nostre società, dentro le quali crescono e prosperano gruppi umani che faticano a trovare un terreno d’incontro comune. Noi e gli altri stanno diventando i paradigmi fondanti di società sempre più conflittuali. Ma questa non può né deve diventare una condizione immodificabile né può considerarsi una condizione geneticamente e scientificamente determinata. Noi siamo esseri in conflitto ma, nello stesso tempo, capaci anche di alleanze e di ricerca di contatti.
Non sembri strano se a determinare in maniera preponderante il nostro modo di stare ed essere nel mondo sia proprio la politica. Più siamo politicamente indotti a pensare solo con le categorie escludenti del noi e del loro, più tendiamo a chiuderci e ad alimentare conflitti ad ogni livello. Se invece la politica incoraggia le persone a far proprie più appartenenze trasversali anche il nostro sistema cognitivo tende a ridurre le emozioni negative stimolando la creazione di nuove alleanze. Ci sono numerosi studi scientifici che hanno corroborato queste ipotesi.
Tutto ciò per dire che la bellezza della pace esiste. La proviamo, la viviamo e per quanto difficile sia narrarla e rappresentarla è possibile sempre cercarla nella quotidianità e nelle scelte che ogni giorno possiamo fare: che significa fare politica. Sappiamo che la pace non è un fatto ma un processo: una concatenazione di azioni che deve partire dalla volontà di tutti animati dal desiderio di ricercarla con tenacia e determinazione. Agendo con coscienza, sulla base di un pensiero critico che non si lasci ingabbiare dentro politiche corrosive, noi tutti possiamo decidere ed essere decisivi: possiamo contare!
Come Acli la ricerca, il desiderio, il sogno della pace sono il nostro impegno quotidiano. Ogni nostro sforzo va nel solco di costruire alleanze di pace. Ogni occasione di approfondimento, ogni opportunità di incontro, ogni possibilità di dialogo e di ascolto camminano sulla strada della pace. È quindi con gioia che presentiamo questo numero di BeneComune, a cui hanno aderito con inaspettata partecipazione tanti studiosi che con occhi e competenze diverse ci aiutano nel compito, sempre prezioso, di allargare gli orizzonti offrendo un’occasione preziosa di approfondimento sul tema della pace.
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