In questi mesi la Commissione Europea e gli Stati Uniti stanno stringendo i tempi per arrivare a siglare il Partenariato Transatlantico su commercio e investimenti. Le criticità legate a questo tipo di accordo sono tante, ad incominciare dalla segretezza delle trattative, che vedono i cittadini europei lasciati all’oscuro dei termini di un accordo che li riguarderà direttamente, per finire ai possibili impatti sull’economia dei paesi membri che recenti studi stimano in uno 0,5% del Pil, rivedendo di gran lunga al ribasso le stime fornite dai principali sostenitori dell’accordo.
L’aspetto più controverso del TTIP, e anche quello che preoccupa di più, riguarda però la tutela degli investimenti delle aziende. L’accordo prevede infatti la possibilità da parte di qualunque impresa di poter citare per risarcimento danni gli stati sovrani che emanano leggi che possono danneggiare la loro attività e ridurre i loro profitti.
Ovviamente non stiamo parlando di leggi discriminatorie verso una singola impresa, ma di qualunque tipo di provvedimento, come una legge per la tutela ambientale o per garantire maggiori diritti ai cittadini. In sostanza questo accordo priverà gli Stati aderenti di una parte della loro sovranità in nome della tutela del profitto dei privati.
Ci si domanda anche che fine farebbero e quanto l’accordo approvato porrebbe premesse per il loro indebolimento nel tritacarne di questi accordi il made in Italy, le denominazioni di origine, la tutela della diversità locale, la ricchezza e la storia dei prodotti e delle loro tradizioni e con esse la biodiversità economica che è ricchezza e resilienza dei territori e delle comunità.
Preoccupante è anche le modalità di svolgimento di queste litigation: non saranno infatti i tribunali nazionali a decidere su tali controversie. Si tratta infatti di un arbitrato presso dei tribunali speciali sovranazionali già esistenti chiamati ICSDS, composti da 3 membri: un rappresentante dello stato, uno dell’impresa e uno nominato di comune accordo, che avranno il potere di definire le controversie senza possibilità di appello della parte soccombente. Un meccanismo poco trasparente che dà il potere ai colossi multinazionali di evitare i processi nei tribunali ordinari che, ovviamente, riconoscerebbero sempre il diritto ai singoli Stati di autodeterminarsi. Che succede se l’impresa vince? Gli Stati hanno due strade: cancellare la legge o risarcire l’impresa dei mancati profitti…
In questi anni la storia degli arbitrati presso l’ICSDS parla chiaro: in Germania la Vattenfall, colosso energetico Svedese, ha chiesto oltre 4 miliardi di euro di risarcimento danni dopo che la Germania ha deciso di abbandonare l’energia nucleare. Il colosso francese Veolia ha chiesto un risarcimento allo Stato Egiziano colpevole di aver alzato il salario minimo per i propri cittadini da 41 a 72 Euro al mese erodendo i suoi profitti. Nell’ambito dell’accordo NAFTA (North American Free Trade Agreement) il Canada è stato citato 35 volte, ha perso o ha transatto sei cause e ha risarcito danni ad investitori esteri per un importo complessivo di oltre 171,5 milioni di dollari canadesi.
In un mondo dominato dalle lobby in grado di influenzare le politiche a livello mondiale, perchè siglare un accordo che lega ancora di più le mani agli Stati togliendo loro la possibilità di autodeterminarsi e di tutelare i propri cittadini o il proprio patrimonio ambientale in nome della tutela dei profitti delle corporations?
Il TTIP è esattamente il contrario di ciò che abbiamo bisogno in un momento come quello attuale dove il problema fondamentale per la sostenibilità sociale ed ambientale dello sviluppo è lo squilibrio dei poteri tra stati, cittadini e imprese a favore di queste ultime.
In un recente lavoro alcuni economisti si domandano perché la democrazia non abbia ridotto la crescita delle diseguaglianze promuovendo maggiore sostenibilità sociale (ed ambientale). Se è vero il dato impressionante che gli 85 cittadini più ricchi del mondo possiedono la ricchezza dei 3 miliardi più poveri è altrettanto vero che il principio una-persona-un-voto della democrazia dovrebbe garantire l’affermazione nell’urna elettorale degli interessi dei 3 miliardi.
Gli economisti autori della ricerca spiegano che così non accade citando un semplice dato: il 40% delle spese elettorali negli Stati Uniti è finanziato dal 5 per cento dei più ricchi. Avremmo pertanto bisogno di correttivi che riducano il potere delle imprese a vantaggio degli stati e della società civile (correttivi intelligenti e globali che stimolino “voto col portafoglio”, trasmissione delle informazioni sui comportamenti delle imprese, azione dal basso e partecipazione democratica dei cittadini che non riducano solo la concorrenza in alcune aree a svantaggio di altre). La campagna Oxfam “Scopri il marchio” è forse oggi la best practice a livello globale da questo punto di vista.
Concetti simili sono sviluppati dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz il quale qualche mese fa, durante una Lectio Magistralis presso la camera dei deputati, è stato molto esplicito a riguardo: le barriere al libero scambio sono già poche e gli investitori sono già tutelati, il TTIP è solo uno strumento per le imprese per poter svolgere le proprie attività senza preoccuparsi di dover fare i conti con la tutela dell’ambiente e dei cittadini.
Si tratta di un potenziale passo indietro rispetto alla Responsabilità Sociale di Impresa sempre più necessaria per evitare nuove crisi, contrastare lo squilibrio di potere immenso esistente oggi tra le imprese e gli stati che in alcuni casi porta a conseguenze rovinose per tutti (l’esempio della crisi finanziaria globale dove banche più grandi egli stati hanno catturato regolatori creando le premesse per la crisi e continuano ancora oggi a farlo) ed evitare che la globalizzazione si trasformi in una gigantesca incontrastata corsa al ribasso su diritti del lavoro e ambiente in un mondo dove sempre di più la ricchezza senza nazioni tiene in scacco nazioni e cittadini senza ricchezza.