Il povero dà sempre fastidio, perché il povero grida, mentre il ricco vuole starsene in pace a godersi i propri comodi. I ricchi sono pronti a denunciare la minima violenza degli oppressi, ma non riconoscono mai l’oppressione quotidiana e le stragi determinate dalla loro ingiustizia.
Questa evidenza è quanto mai occultata…Ciò dimostra che oggi quasi l’intero sistema della comunicazione di massa è in mano ai ricchi e ai loro portaborse, all’ipnotismo del loro linguaggio pubblicitario così “non-violento” e sempre politicamente corretto; ma, come scrive Papa Francesco nella Esortazione Evangelii gaudium: “La pace sociale non può essere intesa come irenismo o come una mera assenza di violenza ottenuta mediante l’imposizione di una parte sopra le altre” (n. 218).
Così è sempre stato, d’altronde, i potenti schiacciano i più deboli e vogliono imporre la loro “pace”; ma oggi la situazione sta raggiungendo un punto estremo, di svolta radicale.In primo luogo infatti i ricchi veri sono un numero sempre più ristretto, i veri Masters of the universe, come li chiama Paul Krugman, sono una percentuale minima della popolazione mondiale, forse lo 0,1%, e di fatto dominano su tutto il resto della terra. Negli ultimi decenni, come scrive Luciano Gallino, questo fenomeno di polarizzazione delle ricchezze ha raggiunto livelli paradossali di ingiustizia: “Il finanzcapitalismo incorpora la più grande operazione di trasferimento di reddito e ricchezza dal basso verso l’alto – in altre parole di sfruttamento – che la storia abbia mai conosciuto”.
In tal senso il mondo globalizzato, intendendo con questa espressione non solo il governo politico-economico del pianeta, ma anche le comunicazioni di massa, l’editoria, lo spettacolo, e il giornalismo, sono nelle mani di una ristretta oligarchia i cui fini non sono affatto il benessere dell’umanità, ma l’incremento folle dei propri profitti. Tutto sembra ormai monetizzato, come dice da tempo il filosofo americano Michael Sendel, e il denaro è tutto in poche mani, tra l’altro ben poco rassicuranti…
Scrive a tal proposito il sociologo Jeremy Rifkin: “Quello che per qualcuno può essere un’utopia, per altri è un incubo. Provate a immaginare di svegliarvi, una mattina, e di scoprire che ogni cosa che vi riguarda è a pagamento: la vostra vita è diventata un’esperienza di natura esclusivamente commerciale. (…) L’era dell’accesso si definisce, soprattutto, attraverso il crescente asservimento delle esperienze alla sfera economica. Reti commerciali di ogni dimensione e della più varia natura tessono una ragnatela che avvolge completamente l’esistenza umana, riducendone ogni momento a merce”. E per di più tutte queste reti sono ormai gestite e controllate da un numero sempre più piccolo di persone, che incominciamo tra l’altro a conoscere precisamente, con nomi e cognomi. Non è certo un caso che negli ultimi mesi siano usciti in Italia due libri con titoli del genere: “Il colpo di stato di banche e governi (L’attacco alla democrazia in Europa)”, di Luciano Gallino, e “Banchieri – Storie del nuovo banditismo globale”, di Federico Rampini.
Di conseguenza, di fronte a questi dominatori del mondo, il resto della popolazione, e cioè il 99,9%, finisce per risultare (in senso lato) povero. E’ povero infatti chi non detiene più alcun potere sul proprio destino, non è povero solo chi non abbia da mangiare o da lavorare, ma anche chi sa che non può più eleggere liberamente i propri rappresentanti, chi sa che le leve del vero potere non dipendono più in alcun modo dalle sue scelte democratiche, è povero chi sa che le grandi reti della comunicazione di massa, e quindi di produzione della cultura a tutti i livelli, sono dominate da élites che selezionano solo opere e autori in linea con il sistema, e così via.
La povertà è oggi caratterizzata più dall’esclusione che dallo sfruttamento, o meglio da uno sfruttamento spietato, determinato a sua volta da una esclusione sempre più radicale da qualsiasi centro decisionale.
La buona notizia, dentro questa situazione estrema, consiste nel fatto che questo sistema, questa mega-macchina sociale di asservimento mentale e corporale, sta tracollando, fa acqua da tutte le parti, sta mostrando cioè la propria insostenibilità sostanziale, per cui si apre un tempo di possibili ricominciamenti, che dovranno assumere il carattere di una vera e propria rivoluzione culturale planetaria.
Abbiamo urgentissimo bisogno perciò di una nuova classe politica che sappia pensare e operare a questo livello di radicalità, come la invoca a gran voce Papa Francesco: “Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo!” (Evangelii gaudium, n. 205).
Servono politici che sappiano comunicare con forza ai loro popoli oppressi che la rivoluzione, del tutto inedita, cui siamo chiamati, deve operare su diversi livelli contemporaneamente.
Sul piano culturale dobbiamo innanzitutto rivedere l’antropologia che tuttora domina il senso comune: dobbiamo criticare a fondo ogni riduzionismo, ogni materialismo, ogni nichilismo, che aiutano a rendere gli uomini “polli da allevamento”, come cantava Giorgio Gaber. Dobbiamo elaborare una nuova antropologia dell’uomo aperto all’infinito e sostanziato di relazioni, dell’uomo cioè che si realizza non solo con l’elevarsi del proprio reddito, ma con il nutrimento del Senso che viene dal collaborare alla costruzione del bene, e dalla profondità e dalla ricchezza delle amicizie e degli affetti in cui viviamo.
Su questa base dobbiamo elaborare poi una nuova cultura della trasformazione in atto, dobbiamo comprendere molto meglio che tipo di umanità vogliamo far crescere nei prossimi secoli sul nostro pianeta, e scatenare così un’azione critica radicale smascherando le mille facce dell’oppressione e della menzogna. Solo questo lavoro spirituale e culturale potrà dare all’azione rivoluzionaria la potenza e la costanza necessarie, facendo uscire la rivolta dei popoli dalla fase infantile della rabbia verbale e della violenza cieca.
Un grande tempo si sta aprendo, dobbiamo però tutti impegnarci per impedire che questa spinta trasformativa ineluttabile produca aberrazioni e altre mostruosità, in quanto i processi evolutivi non guidati degenerano facilmente nella violenza. Dobbiamo perciò avviare processi anche lunghi di maturazione, invece di dedicare il nostro tempo soltanto ad occupare spazi di potere, come scrive con forza il Papa: “Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. (…) Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi” (E.G. n. 223).
Il futuro sarà, ed in realtà è già di chi oggi sa dedicarsi all’avvio dei grandi e faticosi processi evolutivi attraverso i quali si arricchisce, si dilata, e risplende sempre di più la nostra umanità.