Bruno Manghi parlava di santi minori, descrivendo sindacalisti, uomini e donne impegnati nel sociale. Una santità silenziosa, sobria, che non sopporta l’uso pubblicitario degli atti di carità. Levinas diceva che l’amore significa innanzitutto l’accoglienza dell’altro come un Tu, senza mistificazioni filantropiche.
Papa Francesco nella catechesi di mercoledì 2 gennaio riprendeva l’antica massima di Ignazio di Antiochia “meglio essere cristiani senza dirlo che dichiararlo senza esserlo” associando il comportamento di chi va a messa tutti i giorni e odia il prossimo con una vera e propria forma di ateismo.
Anche la dimensione sociale e politica può essere letta con la categoria della santità. L’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, e la lettera Placuit Deo della Congregazione per la dottrina della fede offrono una visione feriale della santità, una sorta di santità che dagli eroismi retorici ci viene presentata come santità della porta accanto, santità dei mariti e delle mogli, dei padri e delle madri, delle persone nella loro dimensione integrale. Chi non è santo è un uomo triste. La santità non è un privilegio di pochi ma la misura alta della pienezza dell’umano.
Due sono i nemici della santità, ben descritti sia dall’Esortazione che dalla Lettera, sottolineando due possibili riduzioni della salvezza tendenzialmente presenti anche oggi: una riduzione pelagiana, che esalta l’autoaffermazione dell’uomo affidata alle sue sole forze, e una riduzione neo gnostica che esalta una conoscenza astratta, una salvezza puramente interiore, che elimina il mistero redentore dell’incarnazione.
«Sia l’individualismo neo-pelagiano che il disprezzo neo-gnostico del corpo – si legge nella Placuit Deo – sfigurano la confessione di fede in Cristo, Salvatore unico e universale. Come potrebbe Cristo mediare l’Alleanza dell’intera famiglia umana, se l’uomo fosse un individuo isolato, il quale si autorealizza con le sole sue forze, come propone il neo-pelagianesimo? E come potrebbe arrivarci la salvezza mediante l’Incarnazione di Gesù, la sua vita, morte e risurrezione nel suo vero corpo, se quel che conta fosse solo liberare l’interiorità dell’uomo dai limiti del corpo e dalla materia, secondo la visione neo-gnostica?».
Il cristiano non può essere uno gnostico, non vive una capacità di pensiero priva di incarnazione. I cristiani impegnati nel sociale e nel politico e che hanno i tratti della santità feriale di cui parla papa Francesco – penso in particolare a Tommaso Moro, a Giorgio La Pira, ad Achille Grandi, a Don Luigi Sturzo, ad Alcide De Gasperi, ad Aldo Moro – hanno conciliato lo sguardo rivolto al cielo con un profondo realismo che allontana il rischio di ogni moralismo e di ogni idealizzazione. Ma ci insegnano anche a evitare gli opportunismi della poltrona e il marketing delle buone azioni.
Nel realismo che prende le distanze da gnosticismo e pelagianesimo, si esprime la capacità di “attrazione” della santità sociale, dentro il dialogo con altre culture. Dialogo umile e critico, capace di ascolto e di annuncio, capace di indicare anche il limite, mentre ne riconosce la grandezza.
La santità sociale non sopporta il pelagianesimo così tipico di un certo cattolicesimo moralista. Il santo sociale è un uomo che non pretende di andar insegnando una dottrina spirituale senza mistica, né una virtù senza grazia. L’Occidente sempre così proclive al pelagianesimo, prigioniero di un individualismo senza speranza, è non di meno attratto dal fascino di una conoscenza esoterica, tipicamente Orientale.
Al pelagianesimo (esaltazione della volontà) e alla gnosi (esaltazione della ragione) corrispondono anche due modalità di espressione politica oggi molto diffusi: il moralismo e il populismo. Moralismo e populismo sono malattie infantili della politica. Entrambi nascono da un bisogno reale, un bisogno di giustizia, di lotta contro la corruzione, di onestà, di ricerca del bene. Come i bambini che desiderano tutto e subito, il populista e il moralista dichiarano di soddisfare le richieste di giustizia del popolo e di cancellare ogni immoralità. Peccato che poi arriva sempre qualcuno più puro che ti epura. Le pagine della Città di Dio di Agostino e le lucide riflessioni contro il perfettismo di Rosmini stanno alla base della santità sociale. Il dogma del peccato originale è una vera e propria garanzia contro moralismo e populismo, proprio perché alla base della buona politica c’è la chiara percezione della fragilità della condizione umana. Chi promette tutto e subito e fa sognare l’impossibile inganna un elettorato che purtroppo non ha perso il vizio di farsi sedurre dai venditori di sogni.
La santità sociale è una santità dell’imperfezione, della gradualità, del passo dopo passo, del fare prima di annunciare, del portare a casa risultati possibili piuttosto che vendere illusioni e poi far marcia indietro. La santità sociale è accompagnata spesso dall’insuccesso politico perché non illude e non inganna, non è impopolare ma è im-populista.
I santi sociali hanno un rapporto profondo con Dio che si esprime nella preghiera non illuminata dai riflettori. Se la preghiera, il rapporto verticale con il Dio della storia, resta imprescindibile, oggi, si rende necessaria una nuova presa di coscienza: ci troviamo davanti ad un vero cambiamento di paradigma culturale, antropologico, politico, che non può spingerci ad una chiusura difensiva mascherata di difesa dell’identità cristiana, ma che deve trovarci aperti alle novità che lo Spirito Santo suggerisce alle Chiese nel nuovo contesto.
In questo cambiamento di paradigma introdotto dal pensiero postmoderno si affaccia l’esigenza di un cambiamento personale nelle relazioni umane. Con la postmodernità sono venute meno delle categorie di pensiero proprie della tradizione, come: la divisione in classi sociali, le differenze sessuali, le diversità di razza, religione, di usanze, persino la gerarchia uomini animali.
Se la verità, come atteggiamento veritativo oggettivante e impositivo, lascia posto al dialogo, alla solidarietà, la soggettività acquista un posto mai conosciuto nella storia. Al centro si situa la qualità delle relazioni umane.
Non un vago amore per il prossimo, più moralistico che autentico, più sbandierato che vissuto. Non più rapporti subiti, ma la ricerca di relazioni di riconoscimento, compassione, comprensione, rispetto, benessere, armonia, conciliazione, dialogo, solidarietà, comunione, condivisione, così difficili da attuare, per due ragioni concrete: per la scoperta della mancanza di strumenti che ci attanaglia, e per l’esperienza quotidiana dell’incapacità di costruire comunione.
Ma la storia oggi passa qui e su questa frontiera ci deve trovare come cristiani pronti ad accompagnare uomini e donne in questo percorso di alfabetizzazione o meglio di evangelizzazione e umanizzazione delle relazioni umane (cfr. Papa Francesco, Discorso tenuto durante l’incontro con i rappresentanti del V Convegno Nazionale delle Chiesa Italiana – Firenze, 10 novembre 2015).
Certo la psicologia e le scienze umane hanno avuto e hanno un grande ruolo in questo processo di cambiamento che è sotto gli occhi di tutti noi ed è innegabile la necessità di un discernimento di fronte ad eccessi di pelagianesimo o di gnosticismo psicologico che possono mascherare il nuovo mito postmoderno del selfismo.
Forse oggi passano qui, nella fatica di camminare a fianco degli altri e non contro, i nuovi percorsi politici. La rete sembra ormai padrona della politica. Ma al di sotto e al di sopra dello sciame digitale si avverte un grande bisogno di relazioni umane autentiche. Come amava dire Michel de Certeau: “mai senza l’altro”. Da una politica che oggi sembra fatta dalla permanente denigrazione dell’altro, ad una politica che pur nelle diversità, che sono il sale della democrazia, sia capace di dare rappresentanza alla sinfonia sociale delle famiglie, dei borghi, dei piccoli gruppi, delle comunità. E’ questo l’effetto sperabile di una santità sociale diffusa.
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