Per ragioni che sarebbe complesso e lungo approfondire – ma tutte politiche – in Italia è scarsamente garantita una prestazione essenziale e cioè la disponibilità di istruzione e Formazione Professionale (FP) in capo alle amministrazioni regionali. La disomogeneità territoriale, il mismatch tra offerta formativa, la quantità delle persone formate e mercato del lavoro, rappresentano un tratto di arretratezza che ci pone in difficoltà nel panorama europeo. Si tratta di vere emergenze nella garanzia di servizi essenziali [1]
La questione appare ancora più grave se confrontato col fenomeno dell’invecchiamento, perché, come vedremo, la FP potrebbe rappresentare lo strumento principale e strategico, per un’alternanza generazionale non rimandabile. Nei prossimi 7 anni la fuori uscita dall’età lavorativa sarà senza precedenti, per numerosità e concentrazione, colpirà tutti i settori produttivi, con impatto particolare sulla piccola e media impresa e con il venir meno di artigiani e imprenditori, formatisi dagli anni 70.
Si stima che il processo di invecchiamento della popolazione italiana porterà presto fuori dall’età attiva 1,8 milioni di persone entro il 2027 [2]. Questo fenomeno è oggetto di attenzione da parte delle strutture politiche e amministrative per l’impatto sui sistemi previdenziali e di welfare, ma non lo è abbastanza per il mercato del lavoro. Il venir meno di un numero così consistente rendono improcrastinabile la ricerca di una via d’uscita da questa situazione. Si tratta di persone che non troveranno rimpiazzo a causo del calo demografico, né è ipotizzabile una crescita della produttività tale da compensare la perdita determinata dalla fuoriuscita di tali risorse dal sistema produttivo.
Circa un terzo degli imprenditori artigiani ha più di 55 anni e l’età media è di 48 anni: le numerosissime imprese artigiane nate negli scorsi decenni saranno investite in pieno dall’esodo generazionale descritto. La presenza di una elevata componente di piccole e medie imprese, spesso di natura artigiana, è tipico della struttura economica e imprenditoriale italiana: le piccole e medie imprese impiegano l’82% dei lavoratori, rappresentano il 92% delle imprese attive, rispecchiano tradizioni e imprenditorialità diffuse nei territori.
Le stime del 2017 valutavano in circa 5,3 milioni le PMI, presso le quali trovavano occupazione oltre 15 milioni di persone, generando un fatturato complessivo di 2.000 miliardi di euro. Le loro attività si concentrano nei i settori dei servizi, dell’edilizia e dell’agricoltura (72% dei dipendenti delle PMI in Italia) e hanno un ruolo fondamentale nell’economia di alcuni territori. Per le regioni meridionali le rappresentano l’83% della produzione (media nazionale del 57%).
Compensare l’esodo, capitalizzare le competenze
Incentivare la permanenza al lavoro, agire sul fenomeno migratorio dei giovani, aumentare la partecipazione al lavoro della popolazione non attiva, a cominciare dalle donne sono strade possibili per compensare l’esodo, ma non basta. Bisogna supportare l’age management aziendale e agevolare in ogni modo i processi di trasferimento intergenerazionale delle competenze.
Ciascuna di queste azioni richiede scelte di politiche complesse, che dovranno necessariamente riconfigurare lo spazio del welfare nazionale. Un ruolo strategico sarà necessariamente quello della formazione professionale: si dovranno approntare processi di skylling o reskilling per giovani, o non attivi in genere, potenziale forza lavoro nuova per ridurre l’impatto del fenomeno descritto.
Per immaginare azioni concrete in cui la FP può giocare ruoli importanti, è bene distinguere i vari livelli a cui si colloca il problema. La figura 1 riporta il modello Rolland [3] che schematizza le componenti dell’age management a livello aziendale e le loro interrelazioni. A regole e politiche invariate, ciascuna azienda può agire e le grandi aziende già lo fanno, come è ben documentato nello studio condotto dall’ISFOL nel 2015 “L’age management nelle grandi imprese italiane. I risultati di un’indagine qualitativa”. [4]
Non mancano inoltre esempi di iniziative che coinvolgono la formazione professionale come risorsa per l’age management. La NeroGiardini ad esempio finanzia dal 2012 un corso per operatore della calzatura presso il centro di formazione professionale “Artigianelli”[5] offrendo una formazione di alto valore artigianale a giovani del territorio, consentendo anche all’azienda di fronteggiare il turnover di manodopera qualificata.
La Pomellato, insieme a Regione Lombardia e Galdus [6], ha dato vita all’Academy del gioiello italiano, dopo una collaborazione precedente in cui i professionisti orafi di Pomellato hanno organizzato laboratori per quasi cento studenti di oreficeria della scuola professionale Galdus, garantendo un trasferimento di competenze professionali di altissimo valore.
L’analisi dell’anzianità, il continuo monitoraggio e la valutazione degli interventi messi in atto sono gli elementi base da cui partire per introdurre interventi di questo tipo. Per arrivare allo sviluppo di un approccio olistico alla tematica dell’Age Management nell’organizzazione è necessario toccare diverse aree della politica della stessa HR Human Resources, partendo dal recruitment, per finire ai meccanismi di uscita e ritiro, con una particolare attenzione alla formazione, allo sviluppo di competenze e al sistema di salute e benessere.
Qui si evidenzia una prima possibilità di studio e di azione per la FP, che si potrebbe configurare in:
- ricognizione dello stato dell’arte di processi già in atto in campo aziendale in cui la FP è già partner e analisi dei tratti salienti, per cominciare a delineare le caratteristiche di un modello di azione immediatamente replicabile nel quadro normativo, finanziario e contrattuale esistente.
- Promozione di iniziative per stimolare a livello locale processi analoghi.
La fig. 2 rappresenta lo spazio del “welfare” in cui l’asse verticale “Politiche per occupazione – Previdenza sociale” appartiene al governo nazionale, con un ruolo centrale del MPLS e delle parti sociali. L’asse orizzontale “Formazione iniziale e continua – Sanità e assistenza” è governato localmente dalle Regioni, pur dipendendo per aspetti strategici dalla normativa nazionale. Si delineano cosi due specifici livelli – quello regionale e quello nazionale – in cui si possono individuare diverse tipologie di intervento, da costruire nell’ambito della concertazione con le parti sociali e le istituzioni. A partire da quelle di mero indirizzo, a norme e bilanci invariati, a quelle che potrebbero richiedere interventi importanti, per finire con quelli di natura previdenziale e contrattualistica, e, nel nostro caso, legati alla formazione iniziale e continua dei lavoratori, in particolare di quelli in entrata nel mercato del lavoro
Un primo livello di riflessione potrebbe essere dedicato a una ricognizione dello stato dell’arte e a proposte di “ingegneria istituzionale”:
- stato dell’arte del Paese su norme, finanziamenti dedicati al tema, politiche sanitarie e formative in atto a livello nazionale e regionale, per un miglioramento del loro uso nella linea nell’emergenza demografica e formativa
- scenari locali: valorizzazione di quanto – e non è poco – è già attivo a livello territoriale, in particolare le esperienze dei Centri di Formazione Professionale con le aziende. L’approccio bottom-up si potrebbe rivelare l’unico realmente praticabile, da incentivare con forza, attraverso alleanze strategiche con il mondo produttivo, condizionando in questo senso le policy regionali sulla FP [7].
- scenari regionali di gestione delle dinamiche occupazionali legate all’invecchiamento, declinati in base alle specificità territoriali, attraverso il rafforzamento e vere politiche formative e sanitarie, indirizzate dell’age-management.
- scenari nazionali, di coordinamento e concertazione con le Parti Sociali e la Conferenza Stato Regioni, per approntare strumenti normativi, contrattuali e finanziari e agevolare le dinamiche occupazionali legate all’invecchiamento, insieme alla costituzione di strutture di pilotaggio del quadro nazionale (osservatorio CNEL)
La fig. 3 richiama la presenza di un livello internazionale e globale, le interazioni economiche e politiche ad esso correlate, i conseguenti stimoli o freni alle scelte da effettuare. Emerge l’opportunità di agire a livello europeo. In Europa possono e debbono svilupparsi azioni a sostegno dell’alternanza generazionale, al trasferimento di competenze intergenerazionali. Sarebbe indispensabile un’azione di lobbing per indirizzare fondi per il potenziamento di offerta formativa mirata.
Le ultime vicende legate all’epidemia di corona virus, infine, sono un esempio eclatante di come gli scenari economici siano ormai totalmente interconnessi, e da considerare anche nella elaborazione di strategie locali.
Note
[1] Maurizio Carucci, Formazione professionale. Tra regionalismo e unitarietà, in Avvenire.it (11 dicembre 2019).
[2] Ricerca Ebitemp, Laboratorio di Statistica Applicata dell’Università Cattolica, coordinamento del prof. Alessandro Rosina.
[3] Rolland Louise, 2004, The Age Chasm; Successfully Managing Age in Your Organisation, Drake White Paper Volume 2 n. 5, Australia.
[4] ISFOL, L’Age management nelle grandi imprese italiane. I risultati di un’indagine qualitativa, in BollettinoAdapt.it (2015).
[5] Giulia Cerqueti, Fermo, ecco i ragazzi che vi faranno le scarpe, in FamigliaCristiana.it (28 giugno 2018).
[6] Al via Pomellato Virtuosi, Academy del Gioiello Italiano in Galdus.it (18 settembre 2018)
[7] Si veda a tale proposito la recente ricerca CNOS-FAP in collaborazione con Noviter Srl, Politiche della Formazione Professionale e del lavoro Analisi ragionata degli interventi regionali in Cnos-Fap.it
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