La storia delle difficoltà del sistema bancario è un ottimo esempio. Le banche italiane escono egregiamente dalla crisi finanziaria globale del 2007 con pochi danni per aver investito meno degli altri dei derivati del credito. Non hanno bisogno degli ingenti aiuti di stato che salvano le banche tedesche (238 miliardi) e molte altre del Nord Europa. Nei sette anni successivi però pagano lo scotto di una crisi economica aggravata dall’incapacità dell’UE di rispondere alla crisi. Se gli Stati Uniti infatti si riprendono presto grazie alla immediata combinazione di politiche monetarie espansive (il quantitative easing), politiche fiscali espansive (investimenti pubblici che portano il deficit fino al 10% del PIL) e piano di acquisto pubblico-privato dei titoli tossici (piano TARP) a prezzi stracciati per toglierli dai bilanci delle banche, l’UE non fa nulla di tutto questo. Si prosegue infatti tra diffidenze reciproche tra stati membri con l’austerità e la “prova di fedeltà” del fiscal compact. Il quantitative easing arriva a salvare la baracca dell’euro solo sette anni dopo. In questi anni le nostre banche non restano sorde ai continui appelli a sostenere l’economia reale e fanno il possibile. Alcune forse fanno anche troppo e le sofferenze di clienti sempre più in difficoltà per la perdurante crisi economica crescono.
Le banche italiane si trovano dunque intrappolate nella schizofrenia delle nostre istanze. Da una parte chiediamo loro di prestare di più, dall’altra le accusiamo di aver prestato troppo facendo crescere le sofferenze. Difficile trovare un equilibrio tra queste due esigenze. Si propenderà necessariamente in una direzione (generosità nei prestiti) aumentando il rischio di errori di primo tipo (ritenere solvibili clienti che non lo sono) o nell’altra (avarizia nel prestare) aumentando il rischio di errori di secondo tipo (ritenere non solvibili clienti che lo sono).
Dopo i sette anni di vacche magre arriva l’inasprimento delle regole che sembra paradossalmente fatto apposta per mettere in difficoltà il sistema bancario del nostro paese. Aiuti pubblici sì prima quando servivano a salvare le banche del Nord Europa, aiuti pubblici ora proibiti per evitare che crisi bancarie si trasformino in crisi di debito pubblico quando un po’ di aiuto servirebbe a risolvere il problema delle sofferenze delle nostre banche con una garanzia di stato alla bad bank chiamata a rilevarle. E’ per questo motivo che oggi, dopo gli aiuti alle banche tedesche e a quelle spagnole, abbiamo sacrosanto diritto ad un bonus per le nostre.
La storia degli ultimi 10 anni ci insegna molto anche a proposito di biodiversità e ci ricorda che non esistono modelli bancari vincenti a prescindere. Quello che sicuramente non dobbiamo fare è prendercela aprioristicamente con uno dei diversi generi riducendo la biodiversità. Per evitare il rischio che le banche facciano la fine delle banane. Mezzo secolo fà era infatti predominante una specie di banana, la Grosse Michel che fu attaccata negli anni ‘50 dalla malattia di Panama causata da un fungo, il Fusarium oxysporum, che rischiò di danneggiare seriamente la produzione mondiale. Per fortuna si riuscì a puntare su una specie differente (la Cavendish) resistente a quel parassita. Oggi la Cavendish è a sua volta ad alto rischio e sotto attacco a causa di una malattia la Fusarium wilt, e in particolare la varietà Tropical Race 4 (TR4). La storia delle banane ricorda quella delle banche.
Nel 2007 il parassita dei derivati del credito attaccò la specie delle grandi banche spa provocando una gravissima crisi finanziaria mondiale. Allora si lodarono le banche cooperative e locali che avevano investito poco o per nulla in derivati per essere state maggiormente in grado di resistere alla crisi. Seguirono sette anni di vacche magre in Europa (anche a causa dei limiti delle politiche macroeconomiche post crisi) che misero stavolta a dura prova proprio le banche cooperative e locali più esposte nel credito alle imprese. Quelle meno attente e rigorose nell’erogazione dei prestiti finirono in crisi ed arriviamo dunque alla storia delle quattro banche italiane (non quattro popolari, ma tre casse di risparmio e una popolare). La lezione per le banche come per le banane è la stessa. Non si deve avere la memoria corta e puntare solo sul genere che ha resistito meglio all’ultima crisi ma rinforzare la biodiversità e ciascun genere curando quelle che sono le sue debolezze specifiche.
Semplificando al massimo, dati i vincoli di spazio, le spa che massimizzano il profitto non trovano particolarmente interessante fare credito, soprattutto di piccola taglia, perché attività poco redditizia e ad alto costo. Le grandi banche spa hanno il difetto di prendere spesso troppi rischi contando sul fatto di essere troppo grandi per fallire. Le banche locali hanno il vantaggio informativo della distanza breve con il mondo produttivo locale che può aiutarle a ridurre l’asimmetria informativa e favorire il credito. Ma rischiano anche la cattura da parte della politica locale e dunque il credito facile in alcune circostanze nelle quali bisognerebbe essere più severi e selettivi. E il voto mutualistico può generare opacità e difficoltà di ricambio della classe dirigente. Insomma ogni modello ha i suoi problemi e per ogni modello ci sono ricette consigliate per attenuarli: regole più severe sulla leva e limiti all’attività speculativa per le grandi banche spa, miglioramento della governance per le popolari e vincoli di diversificazione del portafoglio e regole più severe per evitare la cattura della politica locale per le banche locali (spa o mutualistiche che siano).
Un’importante prova di autoconsapevolezza è da questo punto di vista probabilmente quello del credito cooperativo che, conoscendo i suoi limiti e opportunamente sollecitato da governo e banca d’Italia, ha messo a punto una riforma che si propone di emendarne le principali debolezze.
In questa prospettiva la riforma delle BCC è una buona riforma perché non distrugge un genere ma lo rafforza riducendone le debolezze. La crisi ci insegna molto anche in termini di quello che possiamo fare noi per ridurre l’esposizione al rischio.
Quando prendiamo la patente, prima di affrontare il traffico impariamo alcune regole basilari non per far piacere all’esaminatore ma per la nostra incolumità. E’ bene che così accada anche in finanza dove esistono alcune regole basilari che assomigliano a quella di non passare quando il semaforo è rosso. Qualcuno dirà che le regole della finanza sono un po’ più complesse di quelle del codice della strada. Non è vero, quelle che seguono si possono insegnare anche ai bambini delle elementari.
La prima, come dicono con un’immagine gli anglosassoni, è che non dobbiamo mettere tutte le uova nello stesso canestro. Perché se quell’unico canestro si rompe le uova le rompiamo tutte. Ovvero dobbiamo diversificare il rischio e non investire tutti i nostri risparmi in un unico prodotto. Il prototipo dei casi più drammatici è quello di risparmiatori con 100000 euro di risparmi investiti tutti in obbligazioni subordinate della stessa banca. Tutte le uova nello stesso canestro. Con cinque mucchietti da 20000 in 5 canestri diversi la diversificazione del rischio è molto migliore. Se proprio non ci entra nella testa allora meglio mettere un limite legale alla non diversificazione. In fondo introducendo le pensioni siamo stati paternalisti e abbiamo impedito a chi non riesce a risparmiare di dilapidare i propri guadagni prima della pensione
La seconda regola è che in finanza non esistono pasti gratis, pertanto se ci offrono un’attività finanziaria ad alto rendimento vuol dire che quell’attività è rischiosa. Il corollario di questa seconda regola è che se cerchiamo testardamente un’attività finanziaria ad alto rendimento senza rischio vuol dire che vogliamo farci da soli e prestiamo il fianco a chi vuole prenderci in giro.
La terza regola è che non dobbiamo pensare che l’operatore di sportello sia un padre spirituale e ci dia un consiglio spassionato su cosa è meglio acquistare è piuttosto ingenuo. Se vogliamo un consiglio su quale macchina comprare ed andiamo dal concessionario di una nota casa automobilistica è molto probabile che la macchina consigliata sarà di quella marca. Così accade anche in banca.
La quarta regola è che non esiste un modello di banca sicura ed uno che non lo è affatto. La storia ci insegna che possono fallire banche grandi, piccole e di diversa forma e struttura. Come è accaduto negli ultimi decenni in tutto il mondo.
La quinta regola è che ogni nuova crisi è differente e ci insegna qualcosa di nuovo. In questo caso abbiamo imparato che il rischio di un’attività finanziaria può essere modificato dopo che l’abbiamo acquistata da cambiamenti della normativa (il bail-in ha reso azioni ed obbligazioni delle banche più rischiose di prima ma non più rischiose dei corrispondenti titoli delle imprese non bancarie). Che con il nuovo regime la quota di depositi al di sopra dei 100,000 euro è un po’ più rischiosa di quella al di sotto e che per essa le banche offriranno probabilmente un rendimento leggermente maggiore in futuro, proprio per remunerare il maggior rischio corso.